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Federico Memola Disegni: Gino Vercelli 37a-38a Stefano Martino39a copertina:Giancarlo Alessandrini lettering:Cristina Bozzi SERIE REGOLARE n.37a "La stirpe di Elän: Sull'orlo dell'abisso" - 120pp - 98.07 n.38a "La stirpe di Elän: La fine di un impero" - 66pp - 98.08 n.39a "La stirpe di Elän: Armageddon" - 120pp - 98.09
Riuniti finalmente i grifoni, con l’involontaria complicità di Dagon, ed avvenuta la (ri)fusione della Terra e di Elän in un nuovo mondo, riunificato e dimentico del passato diviso, Anith può scatenare l’offensiva dei demoni suoi figli contro l’umanità, per distruggerla completamente e trionfare dove aveva fallito millenni prima. Il suo disegno fallirà grazie a Ran che per fermarla sacrificherà, oltre a sé stesso, l’amata Selene. La vittoria finale è dunque per la "nuova" umanità terrestre-elänita, ma a quale prezzo...
Un soggetto ovvio, se vogliamo, quello di questo trittico conclusivo, ma comunque promettente (oltre che necessario, essendo l’episodio finale della serie); con tutte le trame e sottotrame intessute da Federico Memola che vengono a concludersi: sciogliendo le situazioni di tensione createsi tra i personaggi, portando a compimento le numerose storie d’amore disseminate dall’autore, svelando il piano di Anith (il cui primo sentore risale addirittura alla prima puntata della serie, con i primi dubbi e incubi di Astrid). Su questo soggetto complesso ed in potenza interessante, l’autore innesta una sceneggiatura insufficiente: la narrazione rimane spezzettata in troppi quadri distinti che non riescono a fondersi in quell’affresco corale che - qui più che in precedenti episodi - sarebbe stato necessario; dalla puntata finale - che tirava le somme della Stirpe di Elän - sarebbe stato lecito attendersi una maggiore unità d’azione. Forse è la sovrabbondanza di personaggi, l’accavallarsi delle loro tante storie, a ridurre la narrazione ad una serie di bozzetti consecutivi, ma tra loro slegati. Sempre il numero eccessivo di personaggi impedisce a Memola di poterli sviluppare degnamente: a parte Jakara - ancora una volta unica ad elevarsi ed acquisire una personalità vera in poche pennellate - nessuno degli altri personaggi principali riesce ad innalzarsi al di sopra della propria funzione di puro elemento della narrazione. Ancora una volta assistiamo ad uno "spreco" di personaggi affrettato ed immotivato: la morte di Brent avviene in modo così repentino da toglierle ogni pathos, lo scontro tra Friel ed Anith sembra tirato via tanto si esaurisce in fretta (sono solo due esempi). Certo, lo spazio è tiranno e si era alla fine dell’albo, ma si sarebbero potute sfruttare altrimenti le pagine a disposizione, magari non introducendo del tutto i personaggi di Margot Miller e Jack Remington, la cui funzione si rivela pleonastica: se non ci fossero stati non sarebbe cambiato nulla. Lo sforzo di Federico Memola nel voler dare un finale non banale alla serie rimane, tuttavia, evidente, ed è encomiabile. Ciò non toglie che su questo "grande scontro finale" aleggi un’aria di fretta, di approssimazione che va ad inficiare le buone intenzioni dell’autore. Anche i disegni contribuiscono a comunicare l’impressione di fretta che caratterizza la trilogia. Il tratto di Gino Vercelli, di solito così accattivante, appare meno curato del consueto; i suoi personaggi non trasmettono quella corrente di simpatia che è abituale per l’artista e finiscono per risultare troppo stereotipati. Con tutto questo, la prova di Vercelli singolarmente non sarebbe insufficiente, dato che il suo stile ben collaudato dà comunque una buona resa dei volti degli "attori" del "dramma" e degli ambienti in cui essi si muovono. A risultare insufficiente è soprattutto la prova di Stefano Martino nella terza e ultima parte della trilogia finale: il personaggio di Anith - centrale in questa puntata - appare caratterizzato in modo nettamente contrastante con il resto della serie; il suo personaggio cupo e minaccioso (cosa naturale, dato il suo ruolo nella vicenda) assume troppo spesso i tratti di una ragazzina sbarazzina (pag. 5, seconda vignetta di pag. 20, terza di pag. 66, vignetta centrale di pag. 95, pag. 105 ecc.); o quelli di una seduttrice, laddove il suo personaggio dovrebbe essere freddo e distaccato (terza vignetta pag. 6, quarta di pag. 107). Altre volte, poi, sono difficilmente riconoscibili alcuni dei personaggi fissi (Selene con il volto "schiacciato" a pag. 33 e a pag. 59, Jessica Hammond nella terza vignetta di pag. 70, Astrid nella prima a pag. 73, Roman nella terza di pag. 94 e nella prima di pag. 106). E’ un peccato questa cattiva resa dei protagonisti, perché nel complesso la prova di Martino risulterebbe tutt’altro che disprezzabile. E’ un fatto, però, che in più di un’occasione per il lettore è difficile raccapezzarsi e riconoscere immediatamente quello che vede. In conclusione, anche questo ultimo atto della serie finisce per perdersi in mille direzioni narrative divergenti senza mantenere le promesse iniziali della Stirpe di Elän. Federico Memola era riuscito ad evitare questo problema con "Legione Stellare"; dove, grazie ad una solida presa sui personaggi era riuscito a farli "recitare" in modo convincente e dare loro una personalità concreta, emancipandoli dal ruolo di macchiette. L’operazione non gli è riuscita una seconda volta con La Stirpe di Elän, particolarmente nella trilogia finale.
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