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la nuova storia-fiume (in montagna) dello Spirito con la Scure
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Zagor 506-509 "Morte Sospesa, La"

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Scheda IT-ZG-506-509

Ogni autore che sposa narrativamente un personaggio tende a trasporre, prima o poi, i suoi interessi e le sue passioni nella serie che affronta. Nolitta, il padre letterario di Zagor, non ha mai coinvolto i suoi personaggi in avventure di carattere alpinistico perché, come confessava in una posta di anni fa su Mister No, non ha pratica di questo sport. A sfruttare questa tematica per lo Spirito con la Scure ci ha pensato, con l'ennesima storia-fiume di questi anni, Moreno Burattini, appassionato di montagna nonché l'erede nolittiano più abile nel far muovere Zagor modernizzandolo ma in ossequio alla sua essenza. In realtà le aree toccate dall'episodio sono più ampie e si riagganciano ai filoni consueti del viaggio in terre inesplorate e delle eredità contese, tra cariche di bisonti, assalti di indiani sioux e delinquenti senza scrupoli. La parte veramente alpinistica arriverà soltanto con il 33% finale della vicenda.

L'esperienza procurata da questa lettura riesce a trasmettere le emozioni e l'amore per questo sport che guidano due coprotagonisti dell'episodio: il ricco industriale Norman Boswell ed il suo amico Jerry Lachman, le cui caratterizzazioni sono efficaci sebbene affidate più alle loro affermazioni che alle loro azioni. Sul primo dei due pende la minaccia di qualcuno che compone la sua spedizione, di cui fanno parte anche tre giovani nipoti che erediterebbero il suo patrimonio, mentre il secondo è tormentato dai fantasmi del suo passato, legati al mistero della scomparsa del fratello durante la sua precedente ascesa al Monte Leigh (la medesima destinazione del nuovo viaggio). Questi elementi di mistero, sapientemente dosati e depistati durante le varie tappe della storia, mantengono acceso l'interesse per la narrazione sino alla conclusione.

Il ghiacciaio
disegni di Michele Rubini, Zagor n.509, pag.50

(c) 2007 Sergio Bonelli Editore

Il ghiacciaio<br>disegni di Michele Rubini, Zagor n.509, pag.50<br><i>(c) 2007 Sergio Bonelli Editore</i>

Finale suggestivo ma dai fondamentali fragili

Il finale è atipico, tra i più suggestivi che si ricordi da anni su Zagor. Potente, ma purtroppo poco sostenuto dal racconto che lo ha sin lì preceduto. La metafora della vita e delle sue sfide come una montagna da scalare (andando oltre la retorica contenuta in un messaggio che, banalizzato a parole, è semplice) procura emozione poiché la composizione testo/figura che chiude la storia sfrutta appieno le potenzialità del medium fumetto.

L'esperienza procurata da questa lettura riesce a trasmettere le emozioni e l'amore per l'alpinismo che guidano due coprotagonisti dell'episodio
E lo fa tramite un efficace montaggio parallelo tra i pensieri di Zagor (in dubbio su come comportarsi con le autorità per i fatti accaduti durante il viaggio) e le immagini (l'arrivo in cima e il successivo rientro al campo), queste ultime in flash-forward rispetto alla riflessione dello Spirito con la Scure. Ci piace evidenziare che Burattini ha scelto il momento giusto e più poetico per chiudere la narrazione, lasciando fuori tutto il resto (destino dei vari sopravvissuti compreso) e senza svilire, con inutili strascichi, la sequenza appena introdotta. Che funziona, perché richiamarsi alle esperienze ed al patrimonio comune delle vite dei lettori (il confronto con le proprie angosce, il passato e il presente che si intrecciano, la dannazione o la redenzione dopo un'esperienza provante) è uno dei segreti per rendere coinvolgente una storia. C'è chi si attiene a questa regola facendo precipitare un aereo in un'isola in cui accadono cose strane...

Come si diceva, tuttavia, tale messaggio è poco supportato dai "fondamentali" del racconto. Le trame di Burattini, sempre più spesso incentrate sull'obiettivo di stupire il lettore con colpi di scena (si ricordino i recenti casi del legame tra il cattivo Skull e la "fanciulla in pericolo" Sophie nella recente quadrupla del "ritorno del mutante", oppure l'identità del nemico misterioso del n.500), stanno condizionando e limitando la sua narrazione. La ricerca della sorpresa imprevedibile ma perfettamente coerente (efficace anche in questa quadrupla) porta le sue trame a percorrere dei binari in cui l'intero svolgimento diventa funzionale all'ottenimento del "prestigio" che va contro le aspettative sin lì generate.

Chiacchiere ad alta quota
disegni di Michele Rubini, Zagor n.509, pag.20

(c) 2007 Sergio Bonelli Editore

Chiacchiere ad alta quota<br>disegni di Michele Rubini, Zagor n.509, pag.20<br><i>(c) 2007 Sergio Bonelli Editore</i>

Luci ed ombre nella sceneggiatura

Questo racconto è invece carente, in tutta la lunga introduzione che ha preceduto la scalata vera e propria (la parte migliore della quadrupla), nel gusto di raccontare o nel sense of wonder tipico di storie basate su un viaggio, focalizzato com'è sulle riflessioni di Zagor per le indagini o su lunghe sequenze di azione. I dialoghi spesso sono tutt'altro che brillanti: colpa dello spiegazionismo imperante, autentica piaga di buona parte della produzione bonelliana negli ultimi anni (tra cui, purtroppo, lo Zagor di Burattini), che qui raggiunge un apice di goffaggine con Boswell che "sente" la necessità di spiegare che risponderà sinceramente ad una domanda perché è ubriaco ("Avete scelto la sera giusta per chiedermelo, Zagor. Ho bevuto un po' troppo cognac e non potrò che essere sincero, come lo sono gli ubriachi... "in vino veritas".", n.508, pag.68).

Questo racconto è carente nel gusto di raccontare o nel sense of wonder tipico di storie basate su un viaggio
Ma anche altri dialoghi non convincono. Se ci può stare che un uomo di montagna come Lachman (che però proviene da un ambiente ricco) se ne esca con frasi come "Non pare che Giove Pluvio abbia intenzione di chiudere le cataratte del cielo" (n.508, pag.94), suona guasto sentire un delinquente usare espressioni come "non mi sorride l'idea di essere messo sotto processo" (n.507, pag.18), o che Cico conosca lo spleen, malattia esistenziale dei ricchi (n.508, pag.67). I tre cugini sono poi pressoché indistinguibili come caratterizzazioni (a parte l'immancabile, ma piatto, fifone lamentoso) malgrado il respiro della storia. Va invece dato atto a Burattini di avere costruito una sceneggiatura agevole e fluida nei momenti d'azione, molto attenta agli aspetti visivi, a cui ha aggiunto un tocco di modernità con sequenze dal taglio cinematografico, caratterizzate da più vignette da leggere in rapida continuità e con continui cambi di inquadratura (es. la caduta nel crepaccio nel n.509, in ben tre tavole, da pag.59 a pag.61) che un tempo non avremmo visto. Il ruolo del disegnatore diventa fondamentale per questo aspetto...

Dinamismo di un moribondo
disegni di Michele Rubini, Zagor n.507, pag.46

(c) 2007 Sergio Bonelli Editore

Dinamismo di un moribondo<br>disegni di Michele Rubini, Zagor n.507, pag.46<br><i>(c) 2007 Sergio Bonelli Editore</i>

I disegni sorreggono visivamente le sequenze

Il tratto di Rubini è funzionale, dinamico e al tempo stesso voglioso di provare inquadrature che aggiungono intensità e contrasto drammatico alla narrazione
... in questo caso, quello di Michele Rubini. Cresciuto al fianco di Stefano Andreucci, presenta un tratto in cui è ancora ben ancorata la somiglianza con quello del disegnatore di classici moderni di Zagor come "Texas Rangers" (n.362-364) o "Il terrore dal mare" (n.386-388). Funzionale, dinamico e al tempo stesso voglioso di provare inquadrature che aggiungono intensità e contrasto drammatico alla narrazione sfruttando la loro differenza con le immagini precedenti (si vedano l'esempio sopra riportato oppure, nel n.509, l'ultima vignetta di pag.76, la terza vignetta di pag.84 e la prima di pag.85), il tratto di Rubini migliora sensibilmente (soprattutto nella confidenza con Zagor e Cico) col procedere delle tavole. Ottiene il massimo proprio nella sezione alpinistica, rendendo in maniera credibile e convincente crepacci, ghiacciai, paesaggi e la dilatazione dei tempi dell'azione di cui si parlava in precedenza. Il suo lavoro è efficace anche per quanto riguarda le espressioni (si veda l'aria sorpresa e combattuta per l'emozione di Jerry a pag.24 del n.508, quando Zagor gli chiede della scomparsa del fratello, oppure lo sguardo perplesso di una guida a pag.9 del n.509, ultima vignetta, pensando a quale sia l'origine dei rumori provenienti dal carro di Cico) e la varietà di fisionomie e caratterizzazioni grafiche di personaggi primari e secondari.

Conclusioni

In conclusione, siamo di fronte all'ennesimo buon racconto di Zagor di questi anni, e se abbiamo sottolineato più le zone d'ombra che le luci della storia è perché proviamo un po' di rammarico nel vedere un proliferare di storie-fiume, un tempo riservate solo ad occasioni epocali, che "tradiscono" le possibilità epiche o contenutistiche date dall'ampia foliazione per inseguire, invece, un'ottusità di chiarezza che mal si concilia con intensità ed equilibrio della narrazione.

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