Figlio di nessuno

Che i figli non osino aspirare alla grandezza dei padri
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Figlio di nessuno
Tex 627-628

Figlio di nessuno

Scheda IT-TX-627-628

Faccio una breve premessa: questa storia si regge su un presupposto errato e assolutamente non condivisibile, ossia che Kit Willer si possa comportare nel modo che viene qui descritto. O meglio, che il modo in cui lo sceneggiatore lo fa agire sia consono al carattere del personaggio.
Il fatto è tanto più grave perché riguarda il carattere di uno dei quattro pards, di un personaggio che - piaccia o non piaccia ad alcuni o a molti - è da più di sessant’anni un mito, insieme a suo padre, a Carson e a Tiger.

Ciò premesso, come prima cosa parlerò della storia escludendo, per quanto possibile, il personaggio di Kit, sul quale tornerò con alcune considerazioni successivamente. Quando sarò costretta ad identificarlo, userò le virgolette ("Kit"), immaginando che al suo posto ci sia qualcun altro.

Immagina, puoi!

"Salt River" è una storia d’avventura western in piena regola, che non può non accontentare chi in una storia di Tex cerca divertimento, azione, botte e sparatorie. C’è tutto questo e molto di più, inclusa una presenza femminile di notevole fascino che ricorda certe figure dei film western degli anni Quaranta e Cinquanta.
A partire dal classico canovaccio della banda di rapinatori in fuga, Mauro Boselli realizza una storia per molti versi intrigante e che dà modo al lettore - accompagnando due mastini come Tex e Carson nel loro percorso di avvicinamento ai banditi - di "vivere" il West del Mito, attraverso i molteplici luoghi e i topoi che ne hanno reso immortale la leggenda come l’inseguimento dei banditi, gli indiani sconfitti e la loro vita grama nelle riserve, la cittadina tranquilla che diventa un Inferno, la rapina alla banca, l’assalto al treno, la bella in pericolo, la legge che latita e che induce i cittadini a farsi giustizia da sé e persino un villaggio dei mormoni.

Spero di non dover attendere altri dieci anni per ammirare la prossima storia di Andreucci

Un grande merito per aver reso coinvolgente questo viaggio nei territori dell’Arizona va naturalmente a Stefano Andreucci, qui alla sua seconda prova su Tex a distanza di dieci anni dalla precedente, apparsa sull’Almanacco del West. Ebbene, la prima cosa da dire è che spero di non dover attendere altri dieci anni per ammirare la sua prossima storia.
Il suo approccio all’universo di Tex è convincente; molto buona la resa grafica complessiva, con alcune inquadrature decisamente spettacolari nella sequenza della sparatoria a Salt River e in tutta la lunga parte relativa alla rapina al treno, a partire dalla corsa di "Kit" e del suo cavallo stremato, con la bava alla bocca. Nel secondo albo vi è addirittura un miglioramento, anche per quanto riguarda i volti di Tex e Carson e il relativo giusto equilibrio tra teste e cappelli, per quanto si notino ancora, qua e là, delle imperfezioni nel volto di Tex.
I personaggi di contorno sono tutti abilmente caratterizzati, mentre sono decisamente belli sia la dottoressa Sarah Wyatt, per la quale Andreucci s’inventa una folta e ondulata capigliatura e diversi cambi d’abito, sia "Kit", la cui rappresentazione grafica evolve dal "ragazzo" di circa i tre quarti del primo albo, fino al giovanotto dallo sguardo deciso e dal cappello finalmente calato sulla fronte, della restante parte.

Tex cavalca nell'acqua (come nella copertina di C.Villa)
Tex 627, pag.27 - Tavola di Stefano Andreucci

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Tex cavalca nell'acqua (come nella copertina di C.Villa)<br>Tex 627, pag.27 - Tavola di Stefano Andreucci<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>

L’avventura comincia con un serratissimo faccia a faccia tra Tex, Carson e i banditi, introdotto da una coppia di personaggi che Boselli tratteggia in poche battute: un bianco, il vecchio Buzz, a cui sembra di poter vedere il rossore del naso di chi è abituato ad alzare un po’ il gomito, e un indiano forse ancor più vecchio, Corvo Giallo, che accetta con rassegnazione il suo destino di morte così come, poco dopo, il giovane Lobito cercherà di trovare il suo destino nel compimento della prova d’iniziazione e nella fermezza, nell’ostinazione, con cui vuole tenere vicino a sé il suo trofeo.

Anche di Jack Curtiss apprendiamo quanto occorre già nelle prime trenta pagine: dal modo in cui si approfitta della lealtà dei suoi uomini, Curtiss dimostra di essere, prima ancora che un bandito, un opportunista e un manipolatore, un mascalzone che, quando le circostanze glielo consentono o impongono, abbandona chi gli sta vicino senza alcuna remora. Nel corso della storia scopriremo inoltre che è un bugiardo matricolato e forse anche un po’ geloso, elemento questo che però non verrà sviluppato.

Chi non conosce Curtiss è certamente la moglie, Sarah Wyatt, una donna "quasi troppo perfetta per essere vera" e che infatti vera non è. Quella che nel primo albo pare una "donna forte, coraggiosa, straordinaria, tenace, generosa, che ha a cuore la sorte degli indiani di Tonto Creek" - così come descritta da Tex usando le parole di "Kit" - si squaglia non appena torna in scena il marito/complice. Scopriamo così che non è affatto una dottoressa, che quando ha conosciuto Jack credeva che avesse "un lavoro onesto" e che tutto quello che voleva era "una vita tranquilla a San Francisco" dove svolgere "una piccola attività". Quella che emerge è la figura di un essere umano fondamentalmente fragile, di una moglie che segue il marito in tutto, anche nei suoi crimini, benché consapevole del male che contribuisce a compiere; che gli rimane fedele e lo aspetta durante la sua permanenza in galera; che crede ingenuamente a tutte le sue promesse, forse perduta nell’illusione di riuscire a cambiarlo.

Basta la sola presenza di Sarah a far capire che è, in qualche modo, in combutta con i banditi; che ci starebbe a fare, altrimenti, un tale personaggio - così rivoluzionario se fosse positivo - in una storia di Tex?
Quello che resta da scoprire è, ovviamente, in quale modo e, fin da subito, Boselli dissemina il primo albo di alcuni indizi, che - stando ai risultati - non hanno significato solo per "Kit" (ma di questo parleremo dopo): la baracca di Sarah si trova in fondo al paese, lei è a Green City da pochi mesi, possiede una derringer (arma più adatta ad un’avventuriera che ad una dottoressa) e quando "Kit" la accompagna a casa e le offre protezione, lo liquida sbrigativamente per poi portarselo a cena un paio di sere dopo quando, guarda caso, a Green City sta per succedere qualcosa di grosso. Non dimentichiamo inoltre i riferimenti alla fama di rubacuori di Jack Curtiss.

Carson non si rende neppure conto che, nonostante le sue evidenti colpe, l’abbindolata - qui - è stata lei

L’unico elemento a scombinare un po’ le carte in tavola è il dedicarsi disinteressato di Sarah agli indiani della riserva: un fondamento di buon cuore o solo una copertura? Che ci sia "qualcosa di buono" in lei, non lo sapremo mai (speriamo): quello che è certo è che se ci ha creduto "Kit", sicuramente non ci crede Carson, il quale tratta la falsa dottoressa come una poco di buono, sottovalutandola in quanto donna e sottovalutandone le colpe, consigliandole addirittura di "fare gli occhi dolci alla giuria per avere una pena lieve" per poter poi, una volta uscita di galera, "abbindolare altri polli". Non si rende neppure conto il nostro Carson che, nonostante le sue evidenti colpe, l’abbindolata - qui - è stata lei.

Con la sparizione di Jack Curtiss nelle acque del fiume, la narrazione si concentra costantemente sui tre pards, alternando la ricerca di tracce di Tex e Carson alle incombenze in carico a "Kit" e ai suoi incontri con Lobito e Sarah. I tre pards si trovano, successivamente si dividono per seguire ciascuno una pista, per poi rincorrersi fino a pag.28 del secondo albo, quando sono in procinto di sorprendere i tre uomini della retroguardia di Curtiss, in una caccia che ha il suo momento più sorprendente nell’impiccagione dei tre banditi - prima interrogati e poi lasciati liberi dai pards - da parte della posse formata dai cittadini di Green City.
Prima dell’ultima separazione dei tre pards, che prelude al lungo scontro con la banda Curtiss sul treno e all’ultimo breve inseguimento dei superstiti, abbiamo modo di conoscere qualche altro personaggio di contorno, alcune figure simpatiche e ben caratterizzate - grazie anche alla raffigurazione di Andreucci - come i tre ostaggi di Green City, quel bonaccione dello sceriffo Drayson e lo sceriffo della cittadina mormone di Cottonwood.

Se è di quello buono, non si rifiuta mai!
Tex 627, pag.86 - Tavola di Stefano Andreucci

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Se è di quello buono, non si rifiuta mai!<br>Tex 627, pag.86 - Tavola di Stefano Andreucci<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>

Nel primo albo vi sono un paio di sequenze e alcuni spunti ripresi da Morte nella nebbia n.556-557; anche la "posse", seppure molto meno presente e influente ai fini narrativi, ricorda quella guidata dallo sceriffo Langdon.
Sempre nel primo albo, troviamo condensati, in una trentina circa di pagine, i consueti complimenti che contraddistinguono la scrittura di Mauro Boselli e che vedono protagonisti l’allevatore Diaz, "Kit", Lobito, i due vecchi indiani Apache, Sarah e non ultimo Tex, che si vede magnificato a distanza prima da Diaz, poi dal giovane Navajo Ashay e persino da Sarah.

Il secondo albo è più fiacco rispetto al primo, principalmente per via di quel morbo che si chiama spiegazionismo

Il secondo albo è più fiacco rispetto al primo, principalmente per via di quel morbo che si chiama spiegazionismo e che, nelle storie di Tex, cacciato dalla porta, rientra sempre dalla finestra: nell’intento forse di evitare qualsiasi incongruenza, Boselli giustifica alcune soluzioni narrative facendole spiegare ai personaggi, come a pag.13-17 dove il dialogo tra "Kit" e gli ostaggi ha anche la funzione di rinverdire l’aura di insospettabilità attorno alla figura di Sarah o a pag.26-27, dove "Kit" è intento a riflettere su lampi di luce, segnali di fumo, vegetazione protettiva e sul suo sonno leggero e a fare ipotesi sulle azioni degli avversari o, a pag.6, dove Tex e Carson discutono del cavallo di scorta e della taccagneria dei cittadini di Cottonwood oppure ancora, a pag.77, dove vi è una sequenza di tre vignette ("alla Nizzi"?) che raffigura uno dei banditi che prende di mira il vecchio Carson; Tex che vede e pensa che sta per sparare; Tex che spara, con il bandito ancora con la pistola puntata.

Veniamo ora alle note dolenti.

Per chi, in una storia di Tex, pretende - come prima cosa e prerequisito essenziale per la bontà della storia stessa - di ritrovare i suoi eroi, di riconoscerli nei loro caratteri, nel loro modo di comportarsi e nel loro eroismo, quest’avventura è una delusione pressoché totale. Principalmente per "Kit", ma in parte anche per Tex e Carson, perché è indubbio che, se viene intaccato pesantemente il carattere di uno dei componenti del quartetto, come viene fatto qui, anche il carattere degli altri ne risente.
In breve, se non si è complici, rifiutando che quello che ci viene proposto qui sia veramente Kit Willer, tutto il palco casca giù.

Non sono cretino, è che mi sceneggiano così

Non voglio offendere nessuno, ma credo che qualsiasi lettore che abbia letto Tex fin dall’infanzia o che comunque conosca, anche non profondamente, i caratteri dei protagonisti, si renda conto che questo "Kit" è improponibile (con qualche eccezione, ma solo nel primo albo). Risulta ancora più preoccupante, dunque, che sia stato sceneggiato da Mauro Boselli, attento conoscitore di Tex & pards, l’unico - almeno per il momento - tra gli sceneggiatori attualmente in carica che ha pubblicato storie con il quartetto al completo.
Non pensavo che si arrivasse a tanto, ma non è stata comunque una sorpresa folgorante, considerata qualche avvisaglia nell’ultimo periodo, ad esempio Caccia infernale n.606-608, ma soprattutto E venne il giorno Color Tex 1. Purtroppo, per il "Kit" che vediamo in Salt River, non basta più evidenziare come nelle storie di Boselli il più giovane dei pards rivesta ormai una "funzione di jolly, di carta multivalente da giocare in modo differente a seconda delle convenienze, a rischio di farlo apparire schizofrenico" (dalla recensione di Giorgio Loi).

Non basta perché non si tratta più "solo" - si fa per dire - di schizofrenia, di comportamenti che collidono a seconda delle "funzioni" che, secondo Boselli, i pards dovrebbero assumere totalmente o in misura diversa a seconda che siano in azione separatamente o in gruppo; regola o teoria, questa, che - per inciso - viene applicata solo nei riguardi di Kit. E mi chiedo quali necessità narrative possano essere invocate a giustificazione di un "Kit" a cui vengono fatti compiere una serie di errori indegni del suo retaggio e del suo sangue Navajo, errori la cui valenza viene amplificata da una sceneggiatura che offre al lettore tutti gli elementi per capire prima di "Kit" - sempre prima di "Kit" - quello che sta per succedere ossia - nel primo albo - che Sarah è complice dei banditi e che sta attirando "Kit" in trappola e - nel secondo albo - attraverso l’impiego dei dialoghi, delle movenze e di alcune inquadrature del volto del bandito Lovett, che "Kit" sta per cadere nuovamente in trappola.

Mr. & Mrs. Curtiss e... "Kit"
Tex 628, pag.65 - Tavola di Stefano Andreucci

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Mr. & Mrs. Curtiss e... "Kit"<br>Tex 628, pag.65 - Tavola di Stefano Andreucci<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>

Come se ciò non bastasse, i fallimenti di "Kit" vengono rimarcati nei dialoghi attraverso frasi che, quando pronunciate dallo stesso "Kit", hanno l’effetto di qualificarlo come uno sbruffone, mentre, quando pronunciate da Tex e Carson, ma più ancora dagli avversari, evidenziano l’abisso tra l’eroe che dovrebbe essere e ciò che egli è qui.
Per tutti i particolari rimando alla scheda. Vorrei però far notare come la figura di "Kit" risulti umiliata già dal semplice confronto con il vicesceriffo di Green City: "Kit" lo trova ubriaco (il whisky offertogli da Curtiss era drogato) e perciò lo ritiene un "idiota" e lo tratta da idiota, ma sarà il vicesceriffo l’unico rappresentante della legge ad opporsi alla banda Curtiss, prendendosi pure una pallottola in un braccio, mentre nel frattempo "Kit", fattosi "mettere fuori gioco come un pollo", dormiva nella cantina sotto la scuderia di Sarah. Certo, appena liberatosi "Kit" si getta da solo all’inseguimento dei banditi (visto che "nessun altro ha osato" - come dice lui - sfidare il loro ultimatum), colpirà ad un braccio uno degli uomini di retroguardia, galopperà come un "Navajo", scalerà un tratto di montagna, salterà da uno spuntone di roccia su un treno in corsa, ma, a parte queste imprese da fondista o da acrobata, tramuterà in fatti le parole dette ai tre ostaggi: «Quei bastardi mi vedranno solo quando saranno a tiro della mia pistola... non lascerò loro il tempo di lanciare l’allarme né quello di pregare! »?

Ora, le dichiarazioni d’intenti che vengono disattese e l’eroe presuntuoso che si rivela un incapace non vi ricordano niente?

Ora, le dichiarazioni d’intenti che vengono disattese e l’eroe presuntuoso che si rivela un incapace non vi ricordano niente? Oppure non hanno importanza perché tanto non riguardano Tex oppure Carson?

Stando ad alcuni commenti letti in Internet, la parola magica che dovrebbe giustificare la pochezza di "Kit" sarebbe amore: mente e sensi ottenebrati di un ragazzo in crisi ormonale. Ma andiamo!
Non stiamo parlando di un giovanotto qualunque, di uno dei tanti comprimari che Boselli ci ha presentato nelle sue quaranta e più storie, di un giovane inesperto, che si imbarazza o intimorisce e balbetta quando vede una gonnella, e che ne viene sconvolto a tal punto da non capire più nulla.
Per la figura di Kit Willer, per la maturità raggiunta da questo personaggio - indipendentemente dal fatto che possa avere diciotto, venti, ventidue o venticinque anni - quale giovane uomo, mezzosangue e ranger che vive e rischia la vita nella seconda metà dell’Ottocento, rimando alle storie di Tex scritte da Gianluigi Bonelli; per quanto riguarda il discorso "amore", ricordo che Kit non è un dongiovanni, come potremmo qualificare Carson, ma che, a fronte della sua giovane età, non è certo un imbranato con le donne (cfr. I due rivali n.214-215), con una delle quali ha pure vissuto un’esperienza tragica (L’uomo senza passato n.423-425), che non può non averlo segnato.
Affascinato da Sarah? Senz’altro! Colpito dal suo carattere forte e dalla singolarità della sua professione, all’epoca prerogativa totalmente maschile? Certamente sì. Vogliamo pure aggiungere il fatto che anche Tex si è trovato in difficoltà di fronte ad alcune signore - seppure delle dark ladies molto più impegnative di Sarah - nel cui cuore non leggeva con la stessa facilità con cui legge in quello degli uomini? D’accordo!
Ma tutto ciò non può aver trasformato Kit in uno qualunque, magari più coraggioso e dotato di tanti altri, ma comunque sempre uno qualunque, così "ragazzo", così "giovane", così "umano" da non essere in grado di valutare gli elementi a disposizione, da non avere i sensi all’erta e quindi entrare in quella stalla buia dritto come un fuso, facendosi venire un dubbio quando è ormai troppo tardi. E poi venire messo fuori gioco di nuovo come un idiota, con il bandito Lovett che lo accompagna a farsi intrappolare, "Kit" che lo ringrazia e Lovett che addirittura risponde «Non c’è di che!», poco prima di puntargli una pistola alla schiena: Kit reagisce, certo, ma la reazione dura tre vignette, quattro se aggiungiamo quella in cui si scaglia contro Curtiss, che lo canzona per essersi lasciato ingannare.
Ma quanti marinai "scazzottava" Kit sul "Black Shark", lottando come una furia fino ad arrivare sul ponte, prima di venire fermato da un colpo di caviglia?

L’umanità dei quattro pards non può andare disgiunta dalla loro dimensione eroica

L’umanità dei quattro pards non può andare disgiunta dalla loro dimensione eroica: se sbagliano, devono sbagliare da eroi, e poi sempre e comunque rimediare, riscattare i loro errori, raddrizzare il torto che loro stessi hanno subìto. Non potrebbero essere Tex, Carson, Kit e Tiger, altrimenti.

Tale figlio, tale padre?

Kit, quello in gamba, non è che non si veda proprio. Lo ritroviamo quando parla con il vecchio Apache che lo scambia per un bianco, nel dialogo serale del primo incontro con Sarah (quando ancora non si comporta da presuntuoso), nella bella scena di pag.60-64 (quando sistema in modo deciso, efficace e veloce i tre bellimbusti di Green City) e in alcuni scambi di battute con i due pards: il momento più bello è il loro incontro, a pag.78, con Kit che prepara il caffè, avendo visto arrivare da lontano padre e padrino.

Di Tex e Carson dicevo che sono due mastini: felicemente caratterizzati nella prima parte, grintosi ed efficaci nelle parole e nei fatti, non mollano la pista nonostante abbiano perso le tracce della banda. Carson è forse un po’ troppo brontolone, ma la battuta di pag.76, pronunciata quando lui e Tex trovano vuoto il rifugio dei banditi, fa dimenticare qualsiasi altra cosa («Al diavolo! Almeno avessero lasciato del caffè!»).
Già a partire da pag.7 del secondo albo, tuttavia, il fattore "K" comincia a intravedersi nei dialoghi e nel comportamento dei due "vecchietti".
Arrivano a Green City preoccupati per "Kit", ma anche sicuri che il giovane avrà messo "i bastoni fra le ruote ai banditi"; quando entrano in città, però, "è già tutto finito" come acutamente nota Carson. Il becchino sembra infastidito dalla sua battuta («Un gran sollievo!») quando lui e Tex si rendono conto che il morto sul carretto non è "Kit" ed ancora più infastidito quando conferma loro che i banditi "hanno fatto il bello e il cattivo tempo...senza incontrare alcuna resistenza". Dal dialogo dei due con il vicesceriffo si ha poi la spiacevole sensazione che la figuraccia di "Kit" venga fatta passare in terzo piano, dopo quella dello sceriffo "mandato su una falsa pista" e addirittura quella del vicesceriffo "preso in giro" dai banditi, vicesceriffo che - ricordo - i banditi li ha fronteggiati, insieme al defunto banchiere Morris.
La storia si ripete a pag.68: giunti al passo di Rocky Bend, dove il treno è stato fermato, Carson si chiede dove sia "Kit" e Tex, notando che non c’è stata battaglia, ipotizza che il figlio abbia "dimostrato del buonsenso" e stia nascosto in attesa di un loro cenno. Nascosto lo è di sicuro, anche se in un senso ben diverso da quello auspicato dal padre.
A questo punto della lettura, ritornando alla battuta pronunciata da Carson a pag.49 («Tuo figlio è proprio uguale a te! Uno scriteriato rompicollo dalla testa calda!»), ho solo sperato che la prima frase non si concretizzasse nel prosieguo della storia.

Qui Tex non sembra un padre che parla a suo figlio, ma piuttosto un professore che bacchetta l’alunno un po’ tardo

Tutto avviene senza emozioni: anche quando Tex corre verso il carro del becchino, temendo per la vita di "Kit", alzi la mano chi ha temuto con lui e invece non ha scosso la testa. E non perché è ovvio che Kit è vivo e che non può morire (il lettore lo sa, a differenza di Tex), ma perché questo "Kit" non se lo meritava. Non si meritava il nostro coinvolgimento emotivo e nemmeno l’ansia di suo padre, come lui stesso scoprirà poco dopo. E poi ancora. L’orgoglio di padre - in questa storia - Tex non sa proprio cosa sia.
Tutto il rapporto Tex-Kit è connotato da una sorta di freddezza, soprattutto verso la fine della storia, quando Tex manifesta il suo disappunto a "Kit" con la battuta sulle "innamorate" e la successiva ramanzina, alla quale poi interviene anche Carson. Padre e zio stanno scherzando, prendendo in giro "Kit"? Sarà! Ma qui Tex non sembra un padre che parla a suo figlio, ma piuttosto un professore che bacchetta l’alunno un po’ tardo.

La questione del metodo

La domanda da porre ora è: perché?
Perché la figura da cretino che Mauro Boselli fa fare qui a Kit non l’ha invece appioppata ad un nuovo personaggio o ad uno qualsiasi dei comprimari con i quali, in passato, lo ha sostituito in parti più o meno lunghe di alcune storie come, ad esempio, Novak (Terra di confine n.469-470) o Shadow (L’ultima diligenza n.546-547) oppure Mazay (Caccia infernale n.606-608) o ancora Mitch (Gli assassini Gigante 12)?
Perché non ha trattato in questo modo quel bamboccione del tenente Baines (Spedizione in Messico n.556-557) od un qualsiasi epigono del defunto Bronco Lane (I sette assassini n.463-465 e Morte nella nebbia cit.)?

La storia di per sé funziona, è proprio l’uso sbagliato di Kit a inficiarla: la scelta di uno sconosciuto le avrebbe giovato e, soprattutto, avrebbe evitato a Kit questa pesante ridicolizzazione.
È mai possibile che si possa credere che un "Kit" come questo attualizzi la regola non scritta secondo la quale Kit non dovrebbe superare il padre? Come può non risultarne screditato anche Tex?

Si è passati sopra per così tanti anni alle caratterizzazioni dei personaggi, che forse si crede che sia normale continuare a farlo

Si è passati sopra per così tanti anni, chi con scarpe chiodate (Guido Nolitta) chi con un rullo compressore (Claudio Nizzi) alle caratterizzazioni dei personaggi, che forse si crede che sia normale continuare a farlo. Che si possa fare reset e riscriverle o semplicemente modificarle, forse pensando di adattarle ai tempi che cambiano. E con ciò sperando di conquistare dei nuovi lettori, confidando nel contempo che, per affetto o abitudine, i vecchi continueranno ad accettare tutto.
Io appartengo ai vecchi, quindi la mia è una scelta facile; quanto ai giovani, mi chiedo come possano provare interesse per un personaggio come questo "Kit", ridicolizzato e spinto in un angolo, come accade nella realtà dei nostri giorni a molti di loro.

Post scriptum

Il voto a soggetto e sceneggiatura è dato dalla semplice media aritmetica tra due voti: quello alla storia in sé, immaginando un altro personaggio al posto di Kit (4, 5) e quello alla storia con "Kit" (1, 1).
Ho creduto che fosse corretto procedere in questo modo, nello spirito della recensione, piuttosto che lasciare la storia senza voto, così come mi sarei sentita di fare da semplice lettrice, posto che la ritengo non classificabile.



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Scheda IT-TX-627-628