I colori dell'avventura

l'esordio centenario di Mauro Boselli
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I colori dell'avventura
Tex

Scheda IT-TX-600

Può suonare singolare sentir parlare di "esordio" riferendosi a Mauro Boselli, che da oltre sedici anni firma le storie di Tex e che da qualche tempo è diventato l'indiscussa colonna portante della testata, eppure, se è vero che gli esami nella vita non finiscono mai, anche per lui prima o poi doveva arrivare il momento di confrontarsi con un albo "centenario". Un compito non facile, se pensiamo che questi particolari numeri celebrativi avevano messo in difficoltà persino papà Bonelli, che dei cinque predecessori soltanto i primi due possono essere annoverati tra quelli riusciti, e che forse solo il n.200 è realmente memorabile.

Boselli affronta l'impresa con le armi che più gli sono congeniali, ossia coralità, ritmo, mistero, azione e cura dei comprimari. Il risultato? Tanto vale dirlo subito: ottimo.

Il mistero s'infittisce
Tex 600, pag.20, disegni di Giovanni Ticci

(c) 2010 Sergio Bonelli Editore

Il mistero s'infittisce<br>Tex 600, pag.20, disegni di Giovanni Ticci<br><i>(c) 2010 Sergio Bonelli Editore</i>

Perché "impresa"? Perché non era facile condensare nell'angusto spazio di 110 pagine una vicenda che desse spazio adeguato, oltre che ai quattro pards (come tradizione impone per i multipli di cento), anche a Jim Brandon e allo stuolo di comprimari di cui Boselli regolarmente si serve per arricchire le sue già sostanziose trame, e che il tutto non risultasse un polpettone male amalgamato. Non solo l'impresa è pienamente riuscita, ma le ristrettezze di spazio hanno (forse) aiutato l'autore a non indulgere a eccessi di complimentosa verbosità o di erudito autocompiacimento, rendendo dialoghi e sceneggiatura quasi perfetti. I pochi interventi "accademici" sono limitati alla figura del dottor Stevenson, forse un alter ego dello stesso autore il quale, con apprezzabile autoironia, lo fa regolarmente rimbeccare dai suoi compagni di sventura per l'infelice scelta dei tempi delle sue dotte dissertazioni.

la linearità non impedisce alla storia di essere divertente e sorprendente

Ovviamente a qualcosa si doveva rinunciare. La trama è decisamente più lineare della media boselliana ma, lungi dall'essere un difetto, risulta perfettamente bilanciata nella lunghezza di un singolo albo. Soprattutto, la linearità non impedisce alla storia di essere divertente e sorprendente al punto giusto, riuscendo a stupire con una successione di colpi di scena, fino alle ultimissime pagine.

Per il resto, tutto fila liscio. I quattro pards hanno ciascuno il giusto risalto, e se forse il più penalizzato in questo caso risulta essere Brandon, la cui natura di uomo d'azione veste sempre meno agevolmente i galloni di colonnello, lo consideriamo senz'altro un peccato veniale. L'azione abbonda senza essere scontata, dando modo a protagonisti e antagonisti di mostrare di che pasta sono fatti, grazie a scene serrate che ne esaltano le rispettive abilità. Era da tanto che non si vedevano avversari così pittoreschi e inquietanti, capaci di mettere in seria difficoltà i nostri eroi (per propri meriti e non per altrui demeriti, sia chiaro) con il solo ausilio di primitive armi bianche. E non possiamo tacere di un Kit Carson insolitamente, e piacevolmente, brontolone e battutista, ma che non potrebbe essere più lontano dalla caricatura macchiettistica che ne aveva fatto Claudio Nizzi nella sua personale, discutibilissima reinterpretazione.

Coralità, si diceva, come ingrediente essenziale di una storia che, a dispetto dell'angusto spazio a sua disposizione, riesce a essere epica. Poche pennellate sono sufficienti per dar vita a personaggi azzeccati come il già citato dottor Stevenson, i trapper Petit Louis e Danglard, gli indiani Lontra, Volpe Nera e Gwinee, perfino la coppia di soldati Ryan e Robinson; tutti azzeccati e convincenti; tutti, a modo loro, funzionali al racconto e non mere controfigure.

Fuoco a volontà!
Tex 600, pag.69, disegni di Giovanni Ticci

(c) 2010 Sergio Bonelli Editore

Fuoco a volontà!<br>Tex 600, pag.69, disegni di Giovanni Ticci<br><i>(c) 2010 Sergio Bonelli Editore</i>
Trovateci un altro capace di raccontare l'avventura con la stessa efficacia di Giovanni Ticci e forse -forse- riparleremo dei suoi difetti

Rivalità tribali, crudeli riti ancestrali, fortini assediati, agguati nella nebbia, un pizzico di magia e una forte componente drammatica: non si può dire che Boselli si sia risparmiato, ma come sarebbe stato il risultato finale senza l'apporto dei disegni di Giovanni Ticci? L'artista senese rappresenta per noi un autentico rebus. Nonostante l'età non più verde e l'inevitabile decadimento che affligge qualsiasi artista, nessuno escluso, il suo dinamismo, la sua perfetta interpretazione dell'ambiente e dell'azione o, per farla più semplice, la sua splendida capacità di narrare sono ancora intatte e continuano a sorprendere. Grazie anche all'apporto del colore, che riesce a compensare certi eccessi di stilizzazione, specie nei paesaggi, il risultato è una perfetta rappresentazione delle atmosfere cariche ora di brumosa tensione, ora di travolgente azione, sempre perfettamente sintonizzate con la sceneggiatura. E pazienza per qualche rara espressione facciale poco riuscita o per un paio, giusto un paio di prospettive non troppo convincenti. Trovateci un altro capace di raccontare l'avventura con la stessa efficacia di Giovanni Ticci e forse -forse- riparleremo dei suoi difetti, ma sia chiaro che la nostra è un'affermazione spudoratamente retorica!

Il secentesimo numero di Tex va pertanto a collocarsi a buon diritto sul podio dove già risiedono i numeri cento e duecento. A chi assegnare le rispettive medaglie è un compito che volentieri lasciamo ai lettori, con la consapevolezza che, quale che sia la classifica finale, siamo comunque di fronte a tre gran belle storie.



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