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Una presentazione dell'opera.
Epica di un presente alternativo
Sanctuary è una saga di ampio respiro, dai toni volutamente e fortemente drammatizzati. E' caratterizzata dalla ricerca di una costante "estetica dell'eccesso" atta a scolpire sulla pagina scritta e disegnata - ma soprattutto nella mente e nelle emozioni più profonde del lettore - una galleria di personaggi potentemente tipizzati ma anche minuziosamente indagati - vivisezionati quasi - in una dimensione di rappresentanti esemplari delle categorie umane che, attraverso di loro, vengono in tal modo portate sulla scena e sotto la lente di un'analisi psicologica ed etica che mira a far emergere in superficie le molle dell'agire umano (e dell'agire giapponese, sarebbe da aggiungere).
Ad una prima, epidermica lettura, Sanctuary si mostra come una storia di (fanta)politica dalle coloriture trash che raggiungono, e oltrepassano spesso e volentieri, il limite di una truculenza pulp caricata all'eccesso. A tale livello l'opera si presenta piena di inverosimiglianze, assurdità, situazioni involontariamente (all'apparenza.) caricaturali, characters scolpiti con l'accetta, dialoghi improbabili. Ad una prima, epidermica lettura, Sanctuary si presenta come un'opera realistica (ancorché di fantapolitica). In verità, però, Fumimura violenta la logica stessa di una narrazione realistica e scardina il senso comune, irridendo al bisogno di sicurezza psicologica del lettore medio e trasportandolo dalle tranquillizzanti acque di un mondo fast-comics - dove questi può leggere opere predigerite, anchilosate in canoni prefissati - nell'oceano turbinoso della materia narrativa che esige una partecipazione attiva ed interpretativa. Per penetrare il significato dell'opera e godere la lettura di una delle storie più interessanti, raffinate, ricche di fascino e spunti di riflessione apparse in Italia negli ultimi anni, si deve accostare, riconoscere e far propria la simbologia che fa da trama e ordito dei presupposti della narrazione. Al centro della seducente rappresentazione teatrale di Sanctuary (ché una profonda teatralità caratterizza i personaggi - anzi le maschere - portati in scena, così come il linguaggio, testuale e grafico) sta l'Onore. Il patto d'onore di Hojo e Asami, certo. E il debito di onore di Hojo verso Asami, ma ancora più l'Onore assopito del Giappone, narcotizzato dal benessere, dalle sirene di una modernità che in cambio della ricchezza e dell'agio ha preteso il pagamento dell'identità culturale più profonda della nazione e della popolazione, omologando la peculiarità nipponica alla standardizzazione di un'occidentalità superficiale. Onore che Asami e Hojo si pongono l'obiettivo di risvegliare attraverso la "riforma" delle due istituzioni che più hanno deviato dall'antica concezione etica: la Yakuza e la classe politica, ma che per struttura e potenzialità sono gli unici vettori attraverso i quali operare la "rivoluzione", portando nei propri geni sociali la possibilità del proprio riscatto. Asami e Hojo rappresentano la purezza degli ideali, ancora non contaminati dalla realtà, forse persino in grado di non farsi contaminare dalla realtà; rappresentano il passato di Isaoka - che nel suo presente è incarnazione di ogni nefandezza della politica, della resa dell'ideale alla prassi - e dell'anziano patriarca della Yakuza, le cui tensioni ideali sono inaridite.
E figura profondamente simbolica è anche Tokai, nel quale gli autori fanno incarnare i lati degenerativi della Yakuza: la violenza gratuita nella quale ha finito per ridurre l'ideale guerresco del samurai, ma anche il nucleo antico della lealtà, dell'obbedienza, dell'onore; e in questo senso Tokai arriva fino ad essere il prototipo dell'homo nipponicus da rivedere e correggere. Così la Bissett offre da un lato la visione del rapporto conflittuale di malcelato odio/amore del Giappone moderno verso gli USA, fratelli maggiori, antichi protettori ma anche i vincitori che hanno tolto l'onore al Giappone. Allo strapotere americano, soprattutto passato, incarnato dalla glaciale inviata presidenziale ma fondato sul pervertimento dell'etica sociale, Asami oppone una nuova/antica visione morale del lavoro e delle relazioni umane: il Giappone pur vicario afferma la sua superiorità culturale sull'ingombrante oggetto d'odio/amore. E il rapporto personale che si sviluppa tra Asami e la Bissett è chiave privilegiata di lettura di un sistema dove lo spazio concesso alla donna è minimo.
Componente essenziale di questa costruzione concettuale, vero e proprio motore della narrazione è il disegno di Ikegami. Rigido quanto si vuole, replica all'infinito di sé stesso quanto si vuole, è in realtà il perfetto veicolo tipizzante necessario a Sanctuary. Il tratto di Ikegami congela personaggi ed eventi nella fissità dell'azione teatrale: attraverso l'occhio, colpito dall'effetto cumulativo del ripetersi di espressioni, volti, atti, imprime alla sceneggiatura il suo respiro così epico, profondo e lento anche nella maggior frenesia. Esso sottolinea le pause e i silenzi con i quali Fumimura dilata ad arte il tempo narrativo congelando il dramma nella rappresentazione fotografica del suo culmine: Ikegami sospende il fluire degli eventi e lo trasferisce letteralmente dentro l'occhio e il cervello del lettore.
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