Never say (only one) Never

le solite 3 storie inedite e complete
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Never say (only one) Never
Nathan Never maxi 7

Never say (only one) Never

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  • Yeti!
    valutazione (1,2,2) 19%

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Tanto per riprendere un’espressione già utilizzata in un contesto analogo, anche il "parco auto" di Nathan Never si arricchisce una o più volte l’anno di mallopponi complementari alla serie regolare, come questo Maxi.

La sensazione di avere a che fare con storie di seconda scelta è, come al solito, immediata e quasi tattile, contemporanea allo stesso atto d’acquisto; forse è proprio per questo che nel redazionale si sono messe le classiche mani avanti, dichiarando che le tre storie in questione erano sicuramente destinate in origine a diventare altrettanti numeri mensili, ma che la programmazione di medio/lungo termine, ormai incentrata sull’imminente "Guerra dei Mondi", ha reso necessario individuare altri canali di distribuzione per lavori altrimenti di difficile collocazione in edicola. Ad ogni modo, superando il giudizio della prima lettura, penso che ciò sia vero (o almeno verosimile) solo per una delle tre storie, come si renderà maggiormente chiaro in seguito.

Chiediamoci allora (in maniera assolutamente oziosa) quale sia il valore aggiunto che abbiamo ricavato comprando questo Maxi. Di certo, non la copertina di De Angelis (che appunto, tanto per cominciare, ne ha disegnata una sola in luogo di tre), la quale tra l’altro ci presenta l’ennesimo Nathan Never con contorno di Città Ovest, in una posa (sia quella di Nathan che della Città) bolsa quasi in maniera imbarazzante. Lasciando per un attimo da parte il giudizio che può esprimere un lettore di vecchia data, anche nei confronti del mai troppo citato lettore occasionale una copertina del genere non si presenta davvero come una "catchy cover" (tanto per scadere nello slang da azienda), anzi a dirla tutta la pioggia che cade sembra avere come effetto principale quello di annacquare ogni riferimento (anch’esso trito e ritrito) a "Blade Runner". Va bene cercare di veicolare un messaggio generico, nel senso di rappresentativo di alcuni dei principali elementi dell’immaginario neveriano, ma francamente una copertina che riprendesse le tematiche di una delle storie del malloppone sarebbe stata maggiormente efficace.

All'oziosa ricerca del valore aggiunto del Maxi

Continuiamo quindi, sempre oziosamente, a cercare questo fantomatico valore aggiunto nelle singole storie proposte.
La "Rivolta a Redsand" appartiene all’ampio filone delle storie in cui Nathan agisce sotto copertura, e nello specifico al sottoinsieme delle storie di ambientazione carceraria, presentando però un inizio "in medias res" come elemento distintivo; al di là però di questo, l’episodio presenta poco in termini di originalità, pur concedendosi alcuni passaggi "sofferti", per quanto funzionali alla risoluzione dell’intera vicenda.
Rigamonti sta prendendo progressivamente la mano con situazioni e personaggi dell’universo neveriano, attraverso una serie di storie dall’impianto sicuramente robusto, perseguendo soggetti rodati e "sicuri" che, se da un lato mettono alla prova la sua capacità di adeguarsi alle molteplici peculiarità di un background narrativo di respiro oramai ventennale, dall’altro però ne pongono in risalto una certa povertà stilistica in termini di ricerca del nuovo, cosa che invece proprio in autori giovani (per la testata) si richiederebbe soprattutto nelle prime prove. Sui disegni di Resinanti, poi, aleggia un continuo senso di "smarrimento" di alcune tra le sue cifre stilistiche che ne avevano mostrato il potenziale anni addietro (il ricordo va a "La strage", o "La città del vizio"), e che ora sembrano essersi arrese ad una maggiore ricerca di chiarezza nel tratto. Il risultato è, se vogliamo, un tratto più comunicativo, ma certo meno "viscerale" rispetto a prima.

Passiamo oltre. "Nathan vs. l’abominevole uomo delle nevi" è la classica confutazione di quanto dichiarato in sede di redazionale. Già dal titolo si intuisce che una storia come questa - per di più con quel titolo! - non avrebbe mai potuto vedere la luce nella serie regolare. Dispiace vedere un Casini dalla resa così asimmetrica e incostante, a ben vedere molto simile a quella vista in "Assassinio sul TB 961" sul Maxi n.2 del 2006, tra l’altro sempre su testi di Stefano Piani, quasi a pensare che le due storie siano state disegnate nello stesso periodo (è comunque doveroso riportare che Casini ha detto che questa è la sua prima storia disegnata interamente in digitale) .
Senza voler fare (troppe) pulci, ciò che rimane è un soggetto sconclusionato, che presenta diverse incongruenze a livello di sceneggiatura, la quale in generale non riesce a produrre una visione d’insieme dotata di sufficiente coerenza interna (un esempio su tutti: il coinvolgimento e l’entrata in scena di Nathan, che costui spiega con un pretesto che verrà poi scoperto, ma senza che venga fornita in seguito una spiegazione più chiara). Relegare lo Yeti all’avvilente ruolo di "Mostro nell’ombra" è un’ingiustizia non da poco, seconda solo al fatto di averne voluto forzare la presenza in un contesto sì popolato da non pochi esseri sovrannaturali, ma mai in maniera così deludente ed artificiosa. A ciò si aggiunge, ultimo ma non ultimo, una gestione davvero poco equilibrata dei personaggi e delle loro dinamiche di relazione, presentando in più di un caso delle situazioni di "detto/non detto", non si sa se e quanto involontarie, che sortiscono nel lettore un subdolo effetto di confusione, con tanti saluti a Hergè e Tintin.

Fortunatamente la bilancia ha due piatti (o tre, come in questo caso), così che il primo (o i primi due) possa ritrovarsi nuovamente a mezz’aria dopo essere rovinato a terra sotto il peso di un giudizio adeguatamente greve. A mezz’aria, però, si badi: non è detto quindi che la controparte riesca da sola a riequilibrare il tutto come nelle jpeg da oroscopo. Ecco, se intorno alla metà del mese fosse uscita in edicola la terza storia "a solo", lì il concetto di valore aggiunto avrebbe avuto senso. Se proprio si volesse trovare un difetto marchiano, probabilmente starebbe nel titolo, che così è talmente convenzionale da risultare inadatto. Dimenticandosene, invece, si ha modo di leggere una storia anch’essa dall’impianto solido e "rodato", ma con un forte sottotesto misto di malinconia e di inquietudine che smussa eventuali appesantimenti (come potrebbe apparire la riproposizione di alcuni comportamenti di Elias Klein) in favore di una riflessione sul malessere dell’uomo.
Questo punto, unitamente alla collaborazione tra Nathan ed un comprimario esterno, coinvolto a diverso titolo nella vicenda, richiama storie come "La cognizione del dolore", dove anche il semplice e limitato ricorso alle didascalie di pensiero ricongiunge il lettore con una delle anime più intime dell’agente Alfa, ossia quell’abisso dei ricordi con il quale egli ingaggia continuamente un gioco di sfida, nell’impossibile speranza che quello distolga per primo lo sguardo. Anche se non l’unica, è questa la dimensione di Nathan attraverso la quale gli autori hanno meglio saputo rendere al lettore la sofferta maturazione del personaggio, ad in questo il giovane autore Perniola mostra di aver voluto e saputo osare in quella ricerca del nuovo che, in questo stesso Maxi, è mancata a Rigamonti.
Menzione d’onore va infine fatta per i disegni di Calcaterra che, anche grazie alle chine di Oskar, hanno saputo proporre al meglio quel senso di "legame" con il passato prima menzionato, vuoi per un "senso di nero" che non era infrequente ai tempi del primo affresco dell’universo neveriano, vuoi per alcune inquadrature dello stesso Nathan che, almeno per chi scrive, continuano fortunatamente ad evocare echi castelliniani, richiamando alla mente in maniera naturale anche quelle basette a punta, tolte le quali il look del personaggio ha perso non poco della sua iniziale caratterizzazione.

Da Dylan Dog a Nathan Never, dunque, attraverso l’espediente del Maxi: un risultato editoriale che anche stavolta riesce solo a metà (o meglio, per un terzo), e che offre anche stavolta spago per lamentarci per più di una serie di ragioni.
Sarà anche vero che "chi sa, fa, chi non sa, insegna, e chi non sa neanche insegnare, fa il critico", ma è altrettanto vero che chi sa una cosa, poi sa anche spiegarla. In questo caso, chi sa leggere una storia, perché "vuole" davvero leggerla, oltre la sola dimensione di intrattenimento, non può non rendersi conto della dolorosa discrepanza che una cattiva storia ingenera nel vissuto di un eroe di carta, ed il tentativo di spiegarla è volto a null’altro se non a lenire il dispiacere per quella impalpabile consapevolezza di aver perso un appuntamento, semplice o importante finchè si vuole, con chi fortunatamente non muore (o almeno non dovrebbe).

"La morte è per gli stupidi" diceva Hob Gadling, e Sandman non ha mai mancato di prendere con lui un bicchiere di vino una volta ogni cento anni. Nel nostro caso, i cento anni si riducono più prosaicamente ad una trentina di giorni: ciò però non significa che questo nostro appuntamento debba essere, o diventare, meno importante.

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