Ma l’uomo di cui parla il titolo, chi è?

questa volta Morales non graffia come suo solito
Recensione di  |   | martinmystere/

Ma l’uomo di cui parla il titolo, chi è?
Martin Mystère 313

Scheda IT-MM-313

..e così, dopo quasi trent’anni di onorata vita editoriale, il BVZM arriva (finalmente?) ad impegolarsi con Nostradamus, in una storia nella quale Morales cerca di far confluire un numero cospicuo di suggestioni e citazioni, accompagnate da un’interessante interpretazione della figura del più famoso veggente della Storia, più qualche elemento della "propria" continuity.

Comiciamo dal gioco di suggestioni e citazioni: l’ambientazione tra le bellezze di Roma ed il riferimento ai sotterranei dei Musei Vaticani fanno molto Angeli e Demoni - e non manca nemmeno l’occasione di portare sulla tavola le rovine di Largo di Torre Argentina, con tanto di gatti che affollano ringhiere, brecce e resti di colonne romane.
Il personaggio di Jerome ricalca invece in alcuni aspetti il più famoso Silas de Il Codice Da Vinci, e con questo, visto che nessun collegamento con la massoneria è stato chiamato in causa, i rimandi all’opera di Dan Brown sono scrupolosamente rispettati.

Rimanendo invece all’interno dell’universo mysteriano, le tematiche centrate su maghi e profeti chiamano in causa, a partire da Merlino, tutta una serie di epigoni che Martin ha incontrato nel corso delle sue avventure; ciononostante, un legame particolare si avverte in alcuni passaggi (ed in maniera particolare vedendo la copertina) con "Il numero della bestia", e nello specifico con le visioni patite da San Giovanni sull’isola di Pathmos.
Ancora, il (seppur labile) riferimento ad immagini e tarocchi fa venire alla mente per un attimo Atlantide e Mu, la cui storia ha dato origine alle figure dei tarocchi utilizzati ancora oggi dai cartomanti (e con le quali Martin e Orloff hanno già avuto a suo tempo a che fare), come pure le atmosfere suggestive e cupe di romanzi quali "Il club Dumas" di Arturo Perez-Reverte.

Da San Giovanni a Dan Brown, passando per il commissario De Pascali

Volendo tentare un’analisi ancora più sottile, di certo il sottobosco di riferimenti si allarghererebbe a vista d’occhio, ma il rischio sarebbe poi quello di sconfinare nel "serbatoio culturale" dell’autore, al quale egli ha attinto in maniera inconscia al momento di gettare le basi di questa storia. Limitandoci invece a fare le pulci solo alle 154 tavole in questione, la rassegna si conclude in bellezza chiamando in causa il bel commissario Nadia De Pascali, che Morales torna a far agire in tandem con Martin dopo il bell’esordio ne "L’uomo senza memoria".
Da notare che, ora come allora, Martin si è trovato senza la compagnia di Java; ciò però, lungi dal confinare Nadia al ruolo di "spalla temporanea per le trasferte romane", le ha anzi permesso di instaurare un interessante gioco di "detto/non detto" con il BVZM, gioco che ovviamente in questa sua seconda apparizione doveva per forza di cose settarsi su un livello più evoluto rispetto al contesto d’esordio.
Purtroppo, una delle pecche di questa storia sta proprio in questo tentativo, non pienamente riuscito per tutta una serie di piccoli elementi: dalla telefonata che Martin riceve da Diana (la quale, nell’arco del paio di tavole in cui compare, appare come la brutta copia del personaggio moderno ed emancipato che lo stesso Morales è riuscito a dipingere nel corso delle sue storie), ad una non sempre felice gestione del "detto/non detto" di cui sopra, fino all’utilizzo dell’ex-marito di Nadia, tal Sergio, il cui coinvolgimento tradisce un retrogusto di soap opera che, per quanto possa risultare funzionale ai fini narrativi per risolvere un delicato passaggio della trama, mal si amalgma con il restante meccanismo che muove la vicenda.

Ciò detto, la storia vera e propria ha almeno il pregio di limitarsi nel trattare la figura storica di Nostradamus, anzi Martin si produce in una esposizione ad hoc del veggente che, in un tentativo di ironia da parte dell’autore, gli stessi personaggi della storia giudicano poco originale ed entusiasmante. La rivelazione più importante è però il collegamento tra Nostradamus ed il Patriarca Giuseppe citato nella Genesi a proposito del famoso episodio del sogno del faraone sulle sette vacche grasse e le sette vacche magre (episodio che tra l’altro funge da accattivante prologo dell’episodio); purtroppo quest’entusiasmo è un fuoco fatuo, che si spegne alla luce del fatto che la costruzione del climax della storia avviene in maniera alquanto sbilanciata, per cui l’effettiva entrata in scena di Giuseppe - quale vero fulcro che sta dietro alle profezie di Nostradamus - viene giocata molto male in sede di sceneggiatura, con diversi passaggi decisamente stiracchiati, asserviti palesemente all’esigenza di (ri)portare la storia sui corretti binari per garantire un minimo di coerenza, oltre che per rispettare il vincolo del numero di pagine.
Su questa scia si inserisce anche tutta la sequenza finale, incentrata su una non meglio identificata "Fonte del Futuro" con la quale Martin viene a contatto, così da poter "vedere" il proprio assassinio, e prevenirlo di conseguenza. Il cattivo bilanciamento degli elementi della storia paga qui per intero il fio: se è pur vero che Martin ha avuto a che fare con numerosi artefatti, spesso citati o apparsi solo marginalmente, a differenza di questi l’impiego narrativo della "Fonte" risulta in definitiva poco logico o utile; in aggiunta, la congerie di visioni che sopraffanno il BVZM si rivela come un’accozzaglia di luoghi comuni sulle paure dell’uomo medio occidentale (senza far menzione dello stereotipo del "Papa nero"), e a poco serve che lo stesso Martin tragga medesime conclusioni nelle sue riflessioni finali.

Di converso, i disegni di Romanini riescono con buon mestiere a tenere su le fila della storia, mostrando tra l’altro in più di un punto affinità con il tratto di De Vescovi. Una valutazione generale è dunque senz’altro positiva: le tavole sono ben asservite ad una sceneggiatura che non presenta chissà quali guizzi, e non pretende di stupire con i "soliti" effetti speciali; per questo motivo la sensazione finale che viene restituita al lettore è legata ad un’idea di robustezza, intesa come capacità di far recitare bene gli attori principali, collocandoli in location riconoscibili e ben inserite nelle dinamiche di svolgimento degli episodi che compongono la trama nella sua interezza, ma anche come capacità di sconfinare con garbo e compostezza nei camei affidati ai luoghi di competenza del sogno e della visione.

Il Nostradamus di Morales è in realtà poco più di uno "specchietto per le allodole"

Un punto in più va (abbastanza ovviamente) per la caratterizzazione di Nadia De Pascali che, nonostante alcune singole lievi incertezze, anche dal punto di vista grafico compie non pochi passi in avanti verso una più compiuta maturazione. Volendo giocare sul filo della cattiveria, l’educata ordinarietà del tratto di Romanini potrebbe costituire un handicap nel caso di una trama più articolata (o anche solo più lunga), per cui un plauso ai testi va fatto proprio per aver permesso di sottolineare al meglio le positive peculiarità dei disegni.

Come si diceva all’inizio, Martin arriva ad impegolarsi con Nostradamus, e disonestamente riesce a cavarsela usando in realtà quest’ultimo come specchietto per le allodole (a cominciare dalla copertina) per poi (tentare di) deviare l’attenzione su altro, vuoi che sia Giuseppe il Patriarca, o la fantomatica "Fonte del Futuro".
Purtroppo, al contrario proprio di Nostradamus, troppi elementi sembrano invece voler concorrere per aggiudicarsi un posto al sole, con il risultato di leggere una storia che doveva/voleva essere qualcosa, e che poi si è ritrovata ad essere il classico qualcos’altro. Almeno c’è la consolazione di aver intuito un’idea potenzialmente interessante, la quale però difficilmente potrà essere nuovamente sfruttata, mentre lo specchietto per le allodole di cui sopra in pratica si è defilato sornione ad un certo punto della storia: questo può allora farci credere che un incontro "serio" tra il BVZM ed il profeta nato a Saint Rémy all’inizio del XVI secolo sia solo rimandato.
Magari esiste anche una quartina al riguardo...o almeno ci sarà, dopo che qualche esegeta di nuova generazione si sarà messo d’impegno per individuarla ed interpretarla "pro domo Martini".

Vedere anche...

Scheda IT-MM-313