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L'eredità di Ken Parker
quale personaggio bonelliano può raccogliere l'eredità di Ken?
di Vincenzo Oliva

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Ken e Nick, disegni di Milazzo e Ramella
(c) 1998 SBE
   

Con la chiusura, apparentemente definitiva, di Ken Parker si è aperto un vuoto nel variegato spettro delle offerte Bonelli, venendo a mancare il personaggio che, per vent'anni, pur tra le numerose vicissitudini, aveva rappresentato il volto più umano, più vero, all'interno della straordinaria galleria di personaggi della casa editrice. Ora che, probabilmente in modo definitivo, dati i futuri impegni di Berardi, Ken scompare dalle edicole italiane, qual è la serie Bonelliana che può raccoglierne l'eredità quale vetrina di un'umanità più autentica e di quell'approfondimento psicologico operato con ammirevole semplicità da Berardi in primo luogo, ma in genere da tutti gli sceneggiatori della serie? Come è naturale, ciascuno potrà rispondere secondo il proprio gusto, le proprie simpatie personali; e tuttavia, esiste una serie che risponda, oggettivamente, a dei criteri tali da andare oltre le preferenze di ognuno? Una serie dove la complessità dell'Uomo viene rappresentata al meglio?

A prima vista si fa abbastanza in fretta a sfrondare la lista, certo non per scarsa qualità delle serie. Tutti gli attuali personaggi Bonelli vanno a soddisfare ben individuate esigenze all'interno del mondo dei lettori italiani di fumetti, alcuni raccolgono maggiori consensi di altri sul mercato editoriale, ma tutti sono realizzati al meglio; tuttavia proprio per le loro caratteristiche non tutti hanno la necessità di ricercare un approfondimento, un maggiore spessore umano del personaggio.

Tex e Zagor sono dei "tipi" perfetti ed il processo di umanizzazione operato negli ultimi anni ne ha fatto, ormai, dei personaggi pienamente maturi. Un'ulteriore evoluzione, sulla scia di quanto già fatto sino ad ora è auspicabile, ma certamente non uno stravolgimento del loro carattere, Tex e Zagor appartengono, nel nostro immaginario, all'avventura più classica e l'hanno rappresentata e la rappresentano in modo così compiuto proprio perché non sono dei personaggi a tutto tondo e quindi l'elemento fantastico (in Zagor specialmente) non deve fare i conti con un impianto realistico ingombrante che finirebbe per soffocare lo specifico avventuroso.

Un "tipo" è anche Mister No, rappresentante dell'avventuriero generoso e simpatico, dal grande cuore. E' uno dei personaggi più riusciti del fumetto italiano e la sua carica umana è innegabile. Tuttavia Jerry Drake sembra destinato a dover restare confinato nell'ambito, pur elastico, del suo cliché. Le storie ambientate a New York sembravano poter infondere nuova linfa al personaggio, facendolo espandere dai suoi limiti evidenti di caratterizzazione, esplorando lati inediti della sua figura e regalandogli un'umanità più vera e dolente di quella sino ad allora vista; la decisione di riportare il personaggio a Manaus può forse soddisfare la nostalgia e - ma queste sono considerazioni su cui non posso esprimermi - le vendite; tuttavia rappresenta uno stop al necessario rinnovamento di contenuti di una saga che si avvicina al quarto di secolo di vita.

I due ultimi nati di casa Bonelli sono altrettanto lontani dal rappresentare una risposta soddisfacente al nostro quesito: Magico Vento è ancora una volta un "tipo", realizzato con cura estrema - specie nelle prime tre o quattro delle storie viste sin qui, con un'attenzione al dettaglio anche psicologico abbastanza inedita - tuttavia sempre un "tipo": il ponte tra due culture inconciliabili. Punto di forza della serie, in effetti, è Poe, una delle migliori spalle dell'universo Bonelli. E' veramente sperabile che in futuro il personaggio di Poe venga portato sullo stesso piano di Ned, per fornire alla serie quello spessore emozionale che il personaggio principale, troppo calato nello stereotipo dai suoi realizzatori, non riesce a trasmettere, limitando, in tal modo, una serie ad altissimo potenziale e che in queste prime prove è rimasta al di sotto delle sue evidenti possibilità.

Napoleone, d'altro canto - forse la figura più originale fino ad oggi offerta dal marchio di Via Buonarroti - mi sembra rispondere ad esigenze artistiche e creative ben diverse dalla rappresentazione degli aspetti del sentimento umano. Personaggio di complessità inedita nel panorama del fumetto Bonelli si sofferma sui risvolti psicologici dell'agire umano, tralasciando o forse inglobando fino a farli sparire i risvolti emotivi e sentimentali; sembra operare, insomma, un passaggio ad un livello superiore, meno immediato, di analisi dell'uomo nel campo del fumetto. Mi sia permesso di esprimere un giudizio: 8 numeri sono assolutamente insufficienti per fornire anche solo una prima analisi di un personaggio così atipico e così ricco di potenzialità. Giusta, invece la scelta della bimestralità per mantenere l'alto standard delle storie.

Resta un ultimo personaggio da scartare, nonostante sia, in linea teorica, uno dei più interessanti. Pochi altri personaggi, infatti, potrebbero offrire come Legs materiale in grande abbondanza per una serie di grande impatto umano. Il passato ed il presente dell'agente speciale Alfa sono ricchi di spunti rimasti inesplorati, la carica umana di Legs è lasciata sullo sfondo, quasi una presenza fastidiosa, il confronto con Nathan Never evitato così accuratamente da essere diventato un aspetto ridicolo della serie, come se l'albo fosse un minorenne da tutelare dall'invadenza del fratello maggiore e non una serie che ha raggiunto la piena autonomia espressiva; e dire che, per le sue caratteristiche, Legs sarebbe un personaggio molto più tormentato di Nathan, molto più interessante in funzione di un'indagine psicologica approfondita. La scelta degli sceneggiatori, Serra in testa - di farne una serie oscillante tra l'azione pura e la comicità pura, scelta che ha regalato, per altro, autentici gioielli come la recente storia "all'inseguimento della mousse" ("Fuori orario", LW n.27) o quella delle "bambine a crescita rapida" ("Tre bambine in pericolo", LW n.16) - ne limita fortemente lo straordinario potenziale drammatico.

E gli altri? La scelta a questo punto sembrerebbe semplice: quale personaggio più del sofferto, umanissimo Nathan Never potrebbe essere l'erede naturale di Ken? A prima vista, nonostante le differenze di impostazione dei due personaggi - Ken Parker è stato più una vetrina di situazioni, di storie, di varia umanità, per così dire - Nathan Never è più uno studio sul personaggio, alle volte - Nathan appare, appunto, come l'unico possibile erede della creatura di Berardi. L'unico albo al cui interno venga dato spazio ad uno studio vero e proprio dell'anima umana. E forse, per il primo periodo della saga, questo è stato vero. Tuttavia, è innegabile che negli ultimi anni il personaggio Nathan Never, le storie, l'impostazione generale della serie abbiano subito una revisione. Certo non una rivoluzione: Nathan rimane un personaggio dalle innumerevoli sfaccettature, complesso, costruito sempre con profonda attenzione al dettaglio psicologico; le storie continuano a mostrare una ricerca di verità e realismo nella rappresentazione dei personaggi di contorno; la serie rimane centrata su temi di approfondimento umano. Pur con tutto questo, le scelte degli ultimi anni hanno posto l'accento su una dimensione molto più avventurosa del personaggio; è fuor di dubbio che Nathan Never sia diventato un fumetto d'avventura con connotazioni introspettive; ben diverso da quello che era all'inizio. La mia affermazione non vuole minimamente sminuire questa evoluzione (o, semplicemente, cambiamento), è solo una constatazione di quello che è avvenuto. Certo, a livello personale sento la mancanza di certe storie, certi dettagli che il Nathan Never degli inizi profondeva a piene mani e che ora ritrovo solo occasionalmente, come in "Hadija" (NN n.66).

Ed ora esaminiamo da vicino i tre superstiti. Sia Dylan Dog che Martin Mystère che Nick Raider potrebbero presentare caratteristiche tali da poter essere una scelta convincente. Pure, a mio giudizio, il solo Nick Raider mi sembra rispondere in pieno alla figura di possibile erede di Ken Parker. Cercherò di spiegare prima i motivi per cui Dylan Dog ed Martin Mystère non mi sembrano adatti a tale e ruolo e dopo i motivi per i quali, invece, ritengo che Nick Raider sia, per tematiche e spirito, la più vicina all'ideale parkeriano.
 


Dylan Dog è un personaggio bellissimo, commovente; non ho remore ad ammettere che mi è difficile resistere alla commozione che le sue pagine riescono a trasmettermi ogni volta; eppure non risponde in pieno (non può rispondere) alle aspettative di chi volesse ritrovare sulle sue pagine la magia dei personaggi di Ken Parker, quell'umanità così vera, così "umana" che solamente sulle sue pagine sembrava potesse trovare asilo. Ciò che, a mio avviso, rende Dylan inadatto ad essere "l'erede di Ken", è la dimensione adolescenziale del personaggio e delle storie che gli vengono fatte vivere. Questa non è una connotazione negativa, né quello che sto esprimendo è un giudizio negativo.

Tanto il personaggio Dylan Dog, tanto la serie Dylan Dog sono concepite e realizzate in modo pressoché perfetto, e sicuramente è stato centrato l'obiettivo, che era, evidentemente quello di rivolgersi ad un pubblico giovane, pur potendo interessare anche il lettore onnivoro. In questa ottica l'albo non potrebbe risultare migliore, essendo presenti tutte le caratteristiche che possono interessare e stimolare, intelligentemente, una platea giovanile: al personaggio principale sono infatti attribuiti caratteri, ideali, paure e speranze nei quali possa riconoscersi un adolescente e per i quali un adolescente possa provare sentimenti di identificazione; ed il personaggio viene fatto muovere in scenari che stimolano le paure, le speranze ecc. dell'adolescenza: in breve, Dylan Dog ed il suo mondo rappresentano il sogno ideale di chi sta abbandonando l'infanzia per entrare nell'età adulta. Con questo non voglio, neanche, affermare che Dylan Dog sia una serie "furba": semplicemente è realizzata in modo egregio avendo colto esattamente gli obiettivi.

Questa dimensione "adolescenziale", però, risulta limitativa per il personaggio, pur rappresentandone una caratteristica irrinunciabile: un Dylan Dog che non fosse più l'emblema dell'inquietudine dell'adolescenza perderebbe non solo il suo fascino sul pubblico, ma anche il suo spessore umano.

Martin Mystère, dal canto suo, è l'unico personaggio Bonelli per il quale si possa parlare di autentica rappresentazione del quotidiano. Nessun altro personaggio salta fuori dalla pagina con la carica di assoluto realismo, di verità e di naturalezza messe in mostra dal BVZM e nessun altro personaggio principale, tranne forse Ken Parker, appunto, e negli ultimi tempi Nick Raider, vanta una maggiore ricerca del dettaglio psicologico, del vissuto del personaggio.

Se Dylan Dog - e in parte anche Ken Parker - hanno mostrato e mostrano una serie di personaggi "ospiti" magistralmente fatti vivere sulla pagina; una lunga processione di casi umani rappresentati in maniera pressoché perfetta, con un amore per ciascuno di loro che arriva a vette di intenso lirismo patetico (basti pensare, per fare solo due esempi a Johnny Freak e Adah), Martin Mystère vive del gigantismo della figura del protagonista che per la complessità delle sue vicende personali e del suo carattere non può avere, di contorno, altro che dei personaggi - "ospiti" e semi-fissi - che fungano da semplici espedienti narrativi. Solo il personaggio di Diana ha, decisamente, acquisito, con il tempo, notevole rilievo ed è stato fatto oggetto di un lavoro di approfondimento del carattere, della storia personale, dei sentimenti: è venuto ad avere piena vita narrativa ed una caratterizzazione inferiore solo a quella di Martin nell'universo Bonelli. La recente storia della Regina di Saba ("Il sarcofago di pietra", MM n.187) ha mostrato, inoltre, le possibilità offerte da una maggiore attenzione all'uomo Java, piuttosto che non all'uomo di Neanderthal Java. Se Castelli e gli altri sceneggiatori della serie vorranno esplorare questa possibilità e le possibilità offerte da un'interazione sempre più stretta tra le tre figure principali, la serie ne guadagnerà sicuramente in tensione narrativa; talvolta, in passato, la serie ha sofferto del ruolo schiacciante del protagonista, che finiva per focalizzare in modo assoluto su di sé l'intera struttura delle storie, rendendole, così, nelle occasioni meno felici, un po' monolitiche. Né la presenza frequente di un villain del calibro di Sergej Orloff riusciva, sempre, ad ovviare a questa legnosità delle storie: fino a non moltissimo tempo fa e nonostante le evidenti potenzialità insite nel personaggio, Orloff è stato poco più di un personaggio stereotipato.

Ma l'aspetto più caratterizzante di Martin Mystère è, certamente, il lungo, frastagliato, sofferto percorso evolutivo al quale è stato sottoposto dal suo creatore. Per arrivare al personaggio ed alle caratteristiche sopra evidenziate il Martin Mystère di partenza è stato rivoluzionato, stravolto in modo completo: ha subito un mutamento di impostazione a 180 gradi. Il fumetto avventuroso da cui si è partiti nel 1982 si è trasformato, diventando la creatura più cerebrale e raffinata del fumetto popolare italiano, in aggiunta a tutto quanto detto prima. Tuttavia - e proprio per queste caratteristiche intellettuali e per l'eccesso di presenza del BVZM, o al più delle sue due "spalle" - Martin Mystère rimane quanto di più lontano ci sia dallo spirito di Ken Parker: un fumetto giunto allo splendore di una maturità artistica pienamente consapevole e disponibile ad una crescita ulteriore delle sue potenzialità, ma, comunque, qualcosa di decisamente "altro" rispetto alla calda umanità delle storie parkeriane.

Ed ora Nick Raider. Su quali basi si fonda l'opinione prima espressa? Perché proprio l'agente della squadra omicidi di New York può essere considerato l'unico possibile erede di Ken? La risposta, in verità, mi sembra semplice da dare: pur nelle evidenti differenze tra i due personaggi, l'ambiente metropolitano di Nick Raider e la frontiera di Ken Parker sono abitate dalla stessa umanità, ora sofferente, ora avida, ora ingenua, ora traviata, ora tutto. Nick Raider è una catena ininterrotta di personaggi umani che commuovono non meno di quelli, straordinari, che hanno dato materia ai sogni di Ken Parker. Talvolta appena abbozzati, altre volte minuziosamente dissezionati sotto la lente d'ingrandimento di sceneggiature che ne rendono la psicologia in modo completo e realistico, tutti questi personaggi formano un continuum che non accenna ad esaurirsi e che anzi si arricchisce sempre più. Penso a personaggi commoventi e, certo, anche "furbi" come la Holly Wood di "Vite vendute" (NR n.32) - e spero che a nessuno venga mai in mente di dare un seguito alla storia e riportare in vita il personaggio: sarebbe un delitto! -; a personaggi patetici e umanamente coinvolgenti come Bogey, alle decine e decine di volti e personalità create sulle pagine di Nick Raider. Fare un elenco sarebbe arido e risulterebbe, alla fine, incompleto. E' più importante far notare che nell'economia della serie ha raggiunto un'importanza sempre maggiore Violet. Il sempre maggiore coinvolgimento nella storia con la bella giornalista ha accresciuto molto anche la dimensione umana di Nick Raider. Partito anche lui come "tipo", piuttosto che come personaggio a tutto tondo, Nick è via via diventato sempre più vero. Cardini di questa trasformazione sono stati il coinvolgimento sentimentale con Violet, appunto, e l'esplorazione della sua storia familiare.

A questo punto credo sia estremamente auspicabile per Nick, come anche per Martin Mystère, il matrimonio. L'arricchimento di realismo che ne potrà derivare per entrambi è notevole, e per Nick Raider potrà rappresentare l'ultimo tassello della sua evoluzione.

Vorrei far notare un'ultima cosa, valida per Nick Raider e Martin Mystère: le loro storie raramente risultano convincenti ad una prima lettura. Quasi sempre sono necessarie una seconda ed anche una terza lettura per arrivare ad apprezzare veramente la maggior parte degli albi. Questo, ovviamente, è un handicap dal punto di vista del mercato editoriale, ma è anche il segno che i personaggi e le storie non sono mai superficiali.
 

 


 
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