Avete presente Seven? Massì, quel film con Morgan
Freeman, e il biondino, lì, comè che si chiama?
Ecco, appunto, Brad Pitt, quello lì. È un thriller,
incentrato sulla figura di un serial killer che ne ammazza uno dopo
laltro ispirandosi ai sette peccati capitali. Seven, appunto.
Bhé, non è che sia unidea originale, Vincent
Price ne ha recitati mille, di film con questo spunto...
Però il film funziona lo stesso, e alla grande. Se non fosse per
il finale. Insomma, il film funziona perché è di grosso
impatto visivo: scuro, buio, sporco, piazza le sue immagini senza
filtri, direttamente sulla rètina degli spettatori; e ne esci
con gli occhi pesti. E te lo ricordi, giuro che te lo ricordi. Bello
Seven, come film. Se non fosse per il finale. Okay, potremmo
discuterne per giorni, e forse avreste ragione voi, alla fine, forse
davvero quello era lunico finale possibile, però... Quel
finale ti lascia un però grosso così. Il fatto
è che comunque la rigiri il poliziotto ha perso. No, non ve lo
racconto quel finale (ma chi è che non ha visto Seven?), ma il
poliziotto alla fine perde. E il serial killer, nonostante tutto,
vince, realizza il suo capolavoro. E io esco dal cinema che avrei
voluto un altro finale. Punto.
Già, perché, checché ne dica Brecht, io
sono una terra che ha bisogno di eroi. Sfortunato o no,
è così. E allora quel finale non appaga il mio bisogno di
eroi, cribbio. Esattamente come questo Julia.
"Checché ne dica Brecht, io sono
una terra che ha bisogno di eroi."
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Due numeri da sballo, tensione narrativa impeccabile, situazione
già nota ma gran lifting, torna nuova e ti inchioda alle pagine,
come carta moschicida, e la mosca sono io. Il fatto è che, non
so voi, ma io amo le storie con ambientazione carceraria, mi fanno
tanto Tim Robbins e Morgan Freeman (ancora lui!) sulle
ali della libertà... E poi mi intrippano anche le storie di
evasioni: bisognerà dire a Jack Folla che fuggire da
Alcatraz si può... E adoro i road movie,
ovviamente, e il Rutger Hauer di The Hitcher delle
volte me lo sogno di notte... Insomma, io da questo Julia avevo tutto
quello che potevo desiderare, quanto ad elementi narrativi; e poi
dite quello che volete, ma il signor Berardi, quando sceneggia, lo fa
da Dio, perché è uno che sa come si fa a raccontare con le
immagini, è uno che sceglie le inquadrature giuste, e fa vibrare
la pagina, e ti ci inchioda lì, come con la carta moschicida;
sì, sì, lo so, lho già detto, ma il fatto è
che è così. E allora, comè che questo Julia non
mi diventa un capolavoro? Eh, cribbio!, ma guarda checcavolo di
finale!
"Comè che questo Julia non mi
diventa un capolavoro? Eh, cribbio!, ma guarda checcavolo di
finale!"
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Allora, come prima cosa ha ragione il mio amico Salva: mi devono
spiegare come mai il killer va a casa della cognata; cioè,
lasciamo stare la credibilità del fatto che un killer efferato
salvi un bambino da una strage compiuta per regalarlo
alla cognata che ha perso un figlio, o la credibilità del fatto
che dopo anni di carcere questo qui si trova a dormire di fianco a
Julia e a malapena le tocca le tette, per non parlare del
fatto che ammazza tutti ed è gentile solo con Julia; no, voglio
proprio sapere come mai questo scappa e va a portare la polizia
(ché lo sa che lo beccano, non può non saperlo...) proprio
a distruggere quel segreto che ha conservato fino a quel punto; vuoi
suicidarti? E fai pure; oddio, magari se prima non ammazzi tutta
quella gente, te ne siamo anche più grati, però vedi tu. Ma
andare a finire proprio lì, con quanti chili di stupidità
si spiega? E poi, lultimissima scena; nel suo giorno di
ordinaria follia, Orrin Blake si suicida facendo il gesto di
estrarre una pistola davanti a decine di poliziotti, la cognata in
prigione, il bambino in orfanatrofio.
Un giorno di ordinaria follia
Disegni di Enio e Piccioni - (c) 2001 SBE
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Perdonate lingenuità di uno come me che cerca ancora la
morale della favola, ma qui, cosa si vuole dire? Trovo il finale di
unambiguità fastidiosa: Blake ha ammazzato un sacco di
gente, non può essere uno dei buoni; e i bambini non si
rapiscono e si regalano a parenti che ne hanno perso uno (Lo sa
che io ho perduto due figli Signora, lei è una donna
piuttosto distratta... Fabrizio De André, Amico
Fragile). Ciononostante, nessuno ha piacere di sapere un bimbo in
orfanatrofio piuttosto che in una famiglia. Quanto è giusta
questa giustizia? Perché questa giustizia, che è
lunica possibile, date le premesse, lascia con lamaro in
bocca? Perché si ha come limpressione che Berardi
voglia far passare Blake da buono e la giustizia da insensibile e
cattiva?
Certo, mi rendo conto che qualcuno può anche apprezzarlo,
questo finale ambiguo, in cui bene e male si confondono, proprio come
nella vita; ma io sono sfortunato, checché ne dica Brecht, ho
bisogno di eroi. E anche Julia, qui, non ci fa una gran figura. Mai
come nel n. 38, ma insomma. E allora,
bello questo Julia, come fumetto. Ma il finale...
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Enio e
Valerio Piccioni
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I disegni sono come sempre: precisi, funzionali alla narrazione,
felici nella caratterizzazione delle espressioni del volto, perfetti
nello story telling, umili nel voler solo rappresentare ciò che
si racconta. La storia è doppia, i personaggi, anche semplici
comparse, sono molti, e la fatica dei disegnatori, Enio e
Piccioni, è tutta nella resa di questi volti, tutti
diversi, tutti espressivi, mai anonimi. Come già più volte
scritto da queste parti, questa scelta di funzionalità narrativa
paga un po in termini di spettacolarità o di
personalità del tratto; è difficile commentare i disegni di
Julia senza ripetersi. Qualcuno parla spesso di omologazione
stilistica dei disegnatori, ma la verità è che questi
disegni sono proprio come andrebbero fatti, e forse è proprio il
lettore che deve sforzarsi, a volte, di fare un po di fatica
interpretativa, di fermarsi a guardare nei particolari una vignetta
che non vuole rappresentare particolari, ma mira allessenziale;
quellessenziale che, secondo SaintExupery, è
invisibile agli occhi. Ma a leggere questi disegni con la mente,
invece che con gli occhi, non si resta meno gratificati che con i
disegni di artisti dal tratto più caratteristico e
spettacolarizzato.
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Probabilmente non sono queste le più belle copertine di
Marco Soldi, che per questa serie ha realizzato
autentici capolavori; qui il primo numero sfoggia un grigio dominante
di cupa espressività e volti di rara intensità, dallo
sguardo di Julia alla smorfia di dolore di Webb; ma la
seconda presenta una scena in un improbabile azzurrino di sfondo e
immortala, un po staticamente nonostante la posa plastica,
Julia in un gesto quasi deformato, con una sorta di esagerazione
nelle linee di movimento dellautomobile, che, nellintento
di esprimere dinamismo, in realtà freezano
limmagine.
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