ubcfumetti.com
Indice del SitoNovità !Cerca nel SitoScrivi a uBC
MagazineRecensioni




" Tornando a casa"


Pagine correlate:

Un albo dal ritmo serratissimo, con una Julia strappata d'improvviso, di primo mattino, ai suoi impegni universitari per occuparsi, fianco a fianco col tenente Webb, del caso di Jimmy Nichols, un individuo apparentemente normale che si è trasformato, di punto in bianco, in uno spree-killer...

Aridatemi zia Chloris!
recensione di Francesco Manetti
(con un significativo contributo di Fabrizio Gallerani)



TESTI
Sog. e Sce. Giancarlo Berardi,
Giuseppe De Nardo e Maurizio Mantero
   

L'idea di base di questa nuova storia di Julia è praticamente identica a quella di "Un giorno di ordinaria follia", un film statunitense diretto da Joel Schumacher e interpretato da Michael Douglas e Robert Duvall che ebbe una certa fortuna qualche anno fa. Sia nel film che nel fumetto il protagonista della storia è un classico "uomo qualunque" il quale, reagendo in maniera apparentemente irrazionale alle proprie sventure private, uccide, nell'arco di una giornata, muovendosi all'interno di una metropoli, una serie di persone scelte (ancora una volta solo apparentemente) a caso.

Le analogie terminano qui, perché mentre nel film di Schumacher l'attenzione è posta, prevalentemente, sulla storia in se stessa (ovvero, in quel caso, sull'azione, sul ritmo...) e su un livello di lettura sociologico (il personaggio interpretato da Douglas sfoga la sua rabbia con chi "turba", anche se solo indirettamente, l'universo del tipico medio-borghese di razza bianca, di ceppo anglosassone e di religione protestante), nell'albo di Julia prevale, ancora una volta, l'interesse per l'"animo" del "criminale".

Così come negli altri albi della serie, superficialmente leggibili come dei "gialli", Berardi invita il lettore a scoprire non, banalmente, chi, fra tutti i sospettati, ha commesso un delitto, quanto perché, dal punto di vista dell'indagine psicologica, il colpevole di turno è tale, così in "Tornando a casa" l'incalzare degli omicidi, la caccia all'uomo condotta da Julia e Webb e la tensione del conflitto a fuoco finale hanno ben poca importanza rispetto a tutte quelle parti dell'albo che ci portano, in lenta progressione, a scoprire i retroscena della "follia" che ha indotto Jimmy Nichols a comprare una pistola e a farne uso.

Poco importa, dunque, se la scansione della storia è un po' troppo lineare e se essa non è esente da qualche luogo comune che Berardi non si cura di aggirare (penso al topos del criminale che, una volta acquistata l'arma, ha cura di scegliere, come sua prima vittima, lo stesso armaiolo), così come poco importa se la conclusione è abbastanza scontata (era forse possibile un finale che non prevedesse la morte di Jimmy?). Quel che conta, infatti, è l'analisi del personaggio.

Anche la delineazione dell'"animo" di Jimmy, però, sembra essere un po' troppo semplicistica (il trauma dell'abbandono quando i due genitori hippy lo lasciano a "zia" Chloris, la vita bucolica e assolutamente solitaria condotta sino alla tarda adolescenza...) e schematica (penso al fastidioso refrain di Jimmy che sorride a tutte le vecchiette che gli ricordano Chloris...). In fin dei conti, arrivati al termine dell'albo, che ne sappiamo di Jimmy? Quanto siamo riusciti a scavare nella sua mente?

"La storia di Jimmy... o la storia di Julia?..."    

Senza dimenticare che la schematicità della vita di Jimmy deriva dal fatto che quel che ci viene raccontato da pag.85 a pag.97 è solo quel poco che sua moglie Mary è riuscita a sapere (e non è del resto forse vero che un episodio come quello dell'incontro col bambino della fattoria confinante con quella di Chloris può lasciare una traccia indelebile in una persona già predisposta, caratterialmente, all'introversione?), si potrebbe peraltro ipotizzare che la storia raccontata in questo albo sia un pretesto per parlarci non tanto (o perlomeno non solo) di Jimmy, quanto, anche se in maniera molto piu' indiretta, di Julia.

Nella stragrande maggioranza degli albi usciti sinora, Julia appare, come ho scritto nella recensione al numero scorso, una "fighetta snob repressa". Malgrado le pagine del suo diario denotino un animo ipersensibile, malgrado i ricorrenti incubi notturni rivelino delle lacerazioni interiori di tale intensità e complessità da far ritenere urgente il ricorso a svariati anni di cura psicanalitica, Julia mostra prevalentemente, in pubblico, il volto di un'algida docente universitaria irrigidita nel proprio ruolo (si noti, ad esempio, come in genere non si lasci distogliere dalle innocenti battute di spirito con le quali qualche studente spezza, di tanto in tanto, la seriosità delle sue lezioni), di una esperta criminologa ben attenta a non lasciarsi coinvolgere, dal punto di vista emotivo, dai casi che affronta o, in ogni caso, quello di una donna incapace di "lasciarsi andare" (se non sporadicamente), incapace di uscire dal proprio guscio protettivo.

Malgrado in più di un'occasione Julia stessa parli della necessità di empatizzare con i criminali che si trova a fronteggiare, al fine di meglio comprendere le motivazioni che li hanno spinti a commettere dei delitti, il suo atteggiamento somiglia piuttosto, di fatto, a quello di un distaccato studioso che si trovi a sezionare un cervello umano per studiarne i meccanismi di funzionamento. Quasi sempre Julia non sembra dimostrare alcun sentimento di compartecipazione nei confronti delle persone sulle quali indaga. Si potrebbe anzi dire, "psicanalizzando" un po' il personaggio, che Julia scava con così tanto impegno nelle menti altrui proprio per evitare di sondare (o di far sondare) la propria mente.

L'infallibilità dei suoi profili psicologici (si pensi al profilo di Kolb che Julia traccia, in "Echi dal passato" JU 9, dopo aver osservato per soli cinque minuti l'appartamento nel quale vive questo personaggio) e, più in generale, la sua sicurezza (ben evidenziata nel numero scorso, quando, affidandosi soltanto al potere delle proprie parole, Julia riesce a far arrendere Steven Murphy) sono dunque un modo per mascherare la propria fragilità, il proprio vuoto affettivo.

Questa "maschera" è certo stata incrinata più volte negli albi pubblicati finora, in maniera più o meno evidente. Penso al rapporto cameratesco con Leo, ai due episodi nei quali Julia allaccia delle relazioni sentimentali ("Se le montagne muoiono" JU 8 e "L'ombra del tempo" JU 16), al breve bacio fra Julia e Webb (in "Cyrano" JU 13)... Ogni volta, però, la rigidità tornava a prendere il sopravvento, spingendo Julia a relegare nelle pagine del suo diario tutto ciò che appartiene alla sua sfera emotiva.

In questo numero accade però qualcosa di diverso, qualcosa di ancor più significativo della passionale storia d'amore vissuta nella grotta in "Se le montagne muoiono" (dato anche che quella storia d'amore altro non era che una temporanea fuga dalla realtà...).

Il la ce lo offre subito la prima apparizione del personaggio: Julia, incontrando per caso, mentre si trova su un vagone della metropolitana, uno studente che frequenta le sue lezioni, abbandona completamente la seriosità istituzionale del proprio ruolo di docente universitaria mostrandosi talmente "estroversa" da attaccare bottone per prima. Poco dopo, anche la sua conversazione con Webb (alle pag.27-28 e 31-32) si incentra sulla vita privata del tenente, con Julia che, invece di porsi su un piedistallo per giudicare, sembra veramente disposta a empatizzare col proprio interlocutore e, cosa ancor più importante, a uscire essa stessa dal proprio guscio. In seguito, una volta giunta, nel corso della sua caccia all'uomo, a casa dei Nichols, Julia abbandona ben presto la propria rigidità professionale per partecipare al dolore di Mary per la figlia Lizzy, chiusa in un coma vigile, e, tramite le parole della stessa Mary, per comprendere, non solo dal punto di vista razionale, ma anche emotivo, le ragioni che possono essere all'origine della "follia" omicida di Jimmy (ed è forse significativo, a questo proposito, che la vita di Jimmy sia raccontata non tramite le parole di Mary, bensì tramite quelle che Julia sceglie per le pagine del proprio diario...).

"una Julia più sorridente, più estroversa..."    

In poche parole, Julia non è più, qui, un personaggio freddo e distaccato, disumanamente (per non dire roboticamente) limitato a classificare gli altri attraverso dei profili psicologici. In "Tornando a casa", Julia è più informale (complice anche il fatto che indossi un montgomery invece dei soliti tailleurs da fighetta? ;-)), più sorridente, più sinceramente disponibile a instaurare un rapporto vero con gli altri, si tratti di uno studente incontrato per caso, di un collega di lavoro come Webb o del criminale di turno.

Ma tutto questo non ha poi molta rilevanza, dato che sin dal primo numero era ben chiaro quanto fosse marcata la discrepanza fra l'immagine esteriore e la sensibilità interiore del personaggio, così come era altrettanto ben chiaro che la storia del personaggio Julia (per quel poco di continuity che Berardi ha immesso nella serie) sarebbe stata, necessariamente, la storia di una "rimozione del represso" e di una progressiva apertura verso gli altri.

Il momento veramente significativo per quel che riguarda l'evoluzione del personaggio è rappresentato dal finale, ovvero dalla scena in cui Julia, tentando di ripetere, con Jimmy, quanto le era riuscito perfettamente, nella storia immediatamente precedente, con Steven Murphy, fallisce clamorosamente. Benché la sequenza sia volutamente ambigua (Jimmy stava per sparare, stava per arrendersi o era, per così dire, "incerto"...?), il risultato finale è, di fatto, incontestabile: Jimmy è morto, ucciso dalla polizia, e dunque Julia, pur essendo riuscita a comprenderne le motivazioni e a prevederne le mosse, pur essendo riuscita a "empatizzare" con lui, non è riuscita a farlo arrendere, non è riuscita a salvarlo, non è riuscita ad aderire all'immagine della perfetta criminologa che si è cucita addosso.

Potrà quindi Julia frapporre nuovamente fra sé e il mondo esterno la stessa sicurezza, la stessa alterigia, la stessa fredda imperturbabilità mostrate in pressoché tutti gli altri albi?

Dato che la continuity della serie (in particolar modo quella legata all'evoluzione psicologica ed esistenziale della protagonista) sta procedendo molto lentamente, la risposta a questa domanda si avrà forse fra altri diciotto, forse fra altri trenta o cinquanta albi; ma, ne sono (abbastanza) certo, si avrà. Berardi, stanco del successo di nicchia del suo Ken Parker, può anche aver scelto di scrivere, con Julia, un "semplice" fumetto seriale-popolare di qualità, ma non può aver scelto di rinunciare a rendere veri i propri personaggi. In questa sua nuova serie ci potrà essere un ripetersi di schemi narrativi, di situazioni e di gag, ma Julia stessa (ne sono, lo ripeto, abbastanza certo) non è destinata a diventare un personaggio psicologicamente ed esistenzialmente immutabile come ogni altro tipico "eroe" bonelliano. Non ci sarà un'escalation di avvenimenti e cambiamenti come in Magico Vento, non ci saranno bruschi sconvolgimenti da "niente sarà più come prima" come nella recente "saga Alfa" nathanneveriana, ma qualcosa, nella (falsamente) placida esistenza di Julia, prima o poi cambierà. Ed è proprio il modo sottile, talvolta impercettibile, col quale Berardi ci sta presentando l'evoluzione del proprio personaggio che mi porta, altrettanto impercettibilmente, numero dopo numero, ad apprezzare sempre di più questa serie.

"Molto bella, ancora una volta, la sceneggiatura, per il ritmo della storia, per i dialoghi, per il modo in cui sono gestite inquadrature e sequenze..."    

Okay, okay, ho divagato un po' troppo :-). A prescindere da queste mie considerazioni generiche (e tutte da verificare), che giudizio dare, tutto sommato, dell'albo in sé dal punto di vista del testo? Il soggetto, malgrado le inevitabili analogie col film di Schumacher e malgrado qualche luogo comune e qualche semplificazione, è più che buono. Ma è la sceneggiatura, ancora una volta, a meritarsi il voto più alto sia per come la durata delle sequenze e il loro succedersi ritmano la storia, sia per come i dialoghi, molto realistici, caratterizzano ciascun personaggio (si leggano, ad esempio, le due pagine in cui Webb e Julia interrogano la vecchietta scampata alla strage della metropolitana), sia, ancor più, per come la scelta, di volta in volta, delle inquadrature e dei "movimenti di macchina" (perché sì, Berardi continua a confermarsi un regista mancato ;-)) aggiungono valore espressivo e profondità di significato a situazioni, dialoghi, volti...

Certo non mancano banalità e convenzionalità, come la vignetta (la prima di pag.7) in cui Jimmy punta all'improvviso in faccia al lettore la pistola che sta per acquistare (scena, questa, fra l'altro, che non riesce ad avere l'impatto che avrebbe in un film: la si paragoni, ad esempio, con un'analoga scena de "L'odio" di Mathieu Kassovitz); ma sono presenti anche veri e propri gioielli espressivi, come l'apertura, alle pag.58-59, della sequenza nel corso della quale Jimmy, seduto su una panchina del parco di Garden City, uccide un passante: mirabile, infatti, come il passaggio dalla calma al ri-esplodere della "follia" omicida sia preannunciato dalla progressiva transizione da una "placida" vignetta quasi completamente bianca in alto a sinistra a una "violenta" vignetta quasi completamente nera in basso a destra.

(20k)
Le tavole 58 e 59 affiancate: una lezione di fumetto. Disegni di Vannini (c) 2000 SBE

Interessante anche la dinamica dei rapporti fra Julia e Webb. Nella recensione al numero scorso avevo detto che la vera "spalla" di Julia era, fra tutti i comprimari della serie, Leo. Questo numero mi smentisce seccamente, dimostrando come anche la coppia Julia-Webb funzioni benissimo, con le varianti del caso. Malgrado le differenze fra i due personaggi (Leo è un estroverso, un compagnone, un tombeur de femmes; Julia è un'introversa, una timida, una repressa), nella coppia Julia-Leo prevalgono le analogie, dato che i due personaggi sono legati da un forte legame di amicizia. La coppia Julia-Webb, invece, malgrado i due personaggi siano caratterialmente simili, è fondata sul contrasto. Si noterà, peraltro, come, a ben vedere, Julia flirti, sebbene molto discretamente, sia con Leo che con Webb :-) - anche in questo caso in maniere diverse, data la diversità dei due personaggi -.

Vogliamo, infine, trovare un difetto? Bene, basta guardare la seconda vignetta di pag.96, quella dove il volto di zia Chloris è avvolto da un nugolo di api. Questo volto, infatti, con quelle buie cavità al posto degli occhi e della bocca ad enfatizzare al drammaticità dell'evento, sembra uscire da un fumetto horror o da un incubo di Julia. A discolpa degli sceneggiatori, si potrebbe anche pensare che siano stati Luca Vannini e/o Laura Zuccheri a scegliere di disegnare così quel volto. Nel qual caso, evidenziato un possibile difetto dei disegni, lasciate che passi a lodarne i pregi :-)...



DISEGNI
Luca Vannini e
Laura Zuccheri
   

Dopo ben un anno e mezzo di assenza, torna, alle matite, Luca Vannini, creatore grafico del personaggio e autore, oltre che dei disegni del primo numero, anche del frontespizio interno presente in ogni albo. In due parole, torna colui che, dopo la rottura del sodalizio artistico fra Berardi e Milazzo, sembrava destinato a prendere il posto di quest'ultimo.

(20k)
Jimmy Nichols. Disegno di Vannini (c) 2000 SBE

Perché, però, questo "ritardo"? E perché è stata chiamata a collaborare alla parte grafica, ancora una volta, Laura Zuccheri? Impossibile saperlo. Al lettore, dunque, non resta che continuare a prendere atto delle "difficoltà" che, in modo o nell'altro, per una ragione o per l'altra, quasi tutti i disegnatori della serie sembrano attraversare.

Non è certo il caso di disquisire su un preteso Berardi "mannaro" che svilisce il talento dei disegnatori che lavorano per lui, dato anche che, in mancanza di fonti certe, non potremmo far altro che azzardare supposizioni destinate a rimanere tali. E' peraltro certo, come attestano precise dichiarazioni dell'autore, che per Berardi i disegni devono essere al servizio (nel senso più stretto dell'espressione) della sceneggiatura.

Osservando i disegni di quest'albo, non troveremo dunque nessuna tavola "bella" di per se stessa. Scopriremo, però, che pressoché ogni tavola è bella se analizzata in quanto concretizzazione grafica delle corrispondenti pagine di sceneggiatura (si pensi alle già citate pag.58-59). I disegni di Vannini e della Zuccheri, per quanto stilisticamente gradevoli possano essere, chiedono di essere ammirati non per se stessi, ma per la loro adeguatezza a ciò che ogni singolo passaggio di sceneggiatura vuole esprimere.

Questo non significa sminuire il talento dei due disegnatori, ma, al contrario, esaltarlo. I grandi disegnatori, infatti, sono quelli che riescono a comprendere le intenzioni di uno sceneggiatore e ad esprimerle per immagini così come le esprimerebbe, fosse capace di disegnare :-), lo sceneggiatore stesso. Ed è proprio per la loro capacità nel concretizzare graficamente le indicazioni di Berardi (e del suo alter-ego Mantero) che Vannini e la Zuccheri sono probabilmente, malgrado la non immediata appariscenza delle loro tavole, i migliori disegnatori della serie.

Sono da sottolineare, proprio a questo proposito, i progressi compiuti da Vannini rispetto alla sua prova precedente. Nel primo numero, ad esempio, non sempre Vannini riusciva, nel disegnare i volti dei personaggi (in particolar modo in vignette prive di balloons), a raffigurarne efficacemente i pensieri, le emozioni... Qui, al contrario, ci riesce perfettamente. Di esempi potrei farne a decine. Se ve ne può bastare uno, guardate l'espressione del dottor Ayers nel momento esatto in cui capisce che la pistola che gli è stata improvvisamente puntata contro farà fuoco (seconda vignetta di pag.83).



GLOBALE
 

Spesso sembra bastare poco per capire se un albo sarà un capolavoro o una schifezza. Può bastare, ad esempio, prima ancora che questo albo esca in edicola, dare uno sguardo alla preview che ne viene data in quarta di copertina dell'albo precedente...

Un mese fa, mentre recensivo "Il delitto negato" JU 17, un albo di piacevole lettura ma sostanzialmente "mediocre", non potevo fare a meno di sbirciare, per l'appunto, la copertina di "Tornando a casa", con una Julia finalmente vestita in modo informale (un semplice montgomery invece delle solite minigonne, dei soliti tacchi a spillo...) che, come messa in allarme da una sorta di sesto senso, si volta, stupita e interrogativa al tempo stesso, verso una figura inondata di luce rossa che campeggia in primissimo piano. Vedere, inoltre, in due delle tre vignette di preview, una Julia vestita esattamente come la Julia di copertina (vi ricordate la discrepanza fra il tubino sexy indossato nell'immagine di copertina del primo numero della serie e i jeans indossati nella sequenza alla quale tale copertina rinviava?) mi spingeva chissà come a intuire che, malgrado la convenzionalità dello "strillo" di vera e propria presentazione dell'albo, "Tornando a casa" sarebbe probababilmente stato non tanto un capolavoro, quanto un numero che avrebbe potuto addirittura rappresentare un punto di svolta per la serie - così come lo furono, a loro tempo e a loro modo, dopo undici numeri complessivamente deludenti, "Cielo di piombo" MV 12, "La danza degli spettri" MV 14, "La grande visione" MV 16 e "La mano sinistra del diavolo" MV 19 per la serie dedicata a Magico Vento -.

Adesso che ho letto "Tornando a casa" due o tre volte nel giro di un mese, posso davvero confermare quello che un paio di immagini mi facevano ipotizzare?

Forse sono solo un patetico kenparkeriano ancora intestardito nello sperare che, prima o poi, Berardi si decida a scrivere un numero di Julia che assomigli anche solo un poco a "Chemako" KP 5, a "La ballata di Pat O'Shane" KP 12, a "Casa dolce casa" KP 30...

O forse quel numero è finalmente uscito :-).
 

 


 
(c) 1996 uBC all right reserved worldwide
Top
http://www.ubcfumetti.com §