Sulla tolleranza

una sola domanda: chi è veramente impazzito?
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Sulla tolleranza
Gea 11 "Baluardo impazzito, Il"

Scheda IT-GE-11

Genocidio. Una parola nuova per un crimine antico. Composta dal termine greco per 'specie' e dal suffisso latino che significa 'uccidere', venne coniata nel 1943 da un giurista polacco, Raphael Lemkin, per definire il tentativo sistematico di sterminare un popolo o la sua cultura e il suo stile di vita. È un crimine contro l'umanità, uno di quei pochi reati che, pur diretti contro comunità particolari, sono crimini contro tutti.

Le foto di Simon Norfolk, che accompagnano questo articolo, sono tratte dal suo lavoro sul genocidio nel Ventesimo secolo e su come - e se - decidiamo di ricordarlo. Provate a immaginare cosa succederebbe se una mostra con queste fotografie venisse allestita nell'ingresso principale del palazzo dell'ONU. La delegazione turca protesterebbe per l'inclusione delle fotografie armene; gli americani si sentirebbero oltraggiati dall'inclusione del Vietnam; gli inglesi reclamerebbero aspramente per l'inclusione di Dresda; e i russi probabilmente si indignerebbero per l'inclusione della carestia in Ucraina. Solo i tedeschi, forse, rimarrebbero in silenzio. Il genocidio commesso a loro nome resta l'unico fuori discussione.

L'impulso a commettere genocidi è antico. L'elenco di popoli che sono stati sterminati forse è altrettanto lungo dell'elenco di specie animali e vegetali che abbiamo condannato all'estinzione. La storia del genocidio ci insegna qualcosa sulla storia del '900 in generale: è stato il primo secolo a perfezionare lo sterminio di massa e il primo a capire il senso esatto per cui questo è un crimine. Vicino alle rovine dei crematori di Auschwitz, un tempo venivano collocate stelle di David in legno per indicare il luogo dove la cenere umana cadeva sul terreno. Ma la cenere è tornata terra e anche le stele di legno si stanno trasformando in polvere. In questi luoghi la malvagità sta scomparendo. La prova del male, come la prova del bene, obbedisce alla legge universale dell'entropia: il calore si raffredda, la materia si disintegra, la memoria svanisce.

Le fotografie di Norfolk documentano la deriva dell'oblio: i fiori che spuntano sulle tombe, gli uccelli che riempiono il cielo di Dresda, la neve che copre le fosse comuni in Ucraina, i campi

Queste sottotrame arricchiscono una vicenda già di per sé intensa. In cui Orlando, il baluardo impazzito si può identificare con gli obiettori tedeschi che rifiutano le armi e invece il Baluardo Ishmael, il più volitivo nel suo ruolo di segugio sterminatore, si rivelerà, alla fine, come il vero folle della vicenda.
dell'Anatolia dove gli armeni vennero fatti marciare incontro alla morte, le sabbie del deserto della Namibia che hanno coperto le ultime tracce del popolo Herero. Esse esprimono il bisogno universale di redimere i morti attraverso la memoria.
(Michael Ignatieff, prefazione al libro fotografico di Simon Norfolk)

Riprendiamo ancora queste parole, che sono riportate nella prefazione di Luca Enoch al tredicesimo episodio di Gea, Il baluardo impazzito. Le citiamo ancora una volta per ribadire la profonda verità che esprimono e per riportare alla memoria gli eccidi dimenticati. Ma le riportiamo anche perché queste riflessioni sono intimamente connesse alla storia che ci racconta Luca Enoch.

Prima che la successione degli avvenimenti assuma il tono della tragedia Gea va in visita, con la sua scuola, proprio a una mostra, allestita con le fotografie di Norfolk che, con un operazione di patchwork informatico, l’autore inserisce nel suo disegno. In questa occasione l’insegnante, che guida la scolaresca, legge una delle lettera che Günter Grass scrisse a Kenzaburō Ōe, quella sui soldati tedeschi che rifiutarono di combattere nel Secondo Conflitto Mondiale, ancora considerati disertori dalla maggior parte, obiettori ed eroi secondo il pensiero di pochi altri.

È un numero dunque questo che rimette in discussione tutto. Innanzitutto l’effettiva militanza di Gea nella schiera del Bene. E in secondo luogo dove stia effettivamente il Bene e il Male. I Baluardi, si apprende nel corso della lettura, si sono macchiati del più grande dei genocidi, lo sterminio del popolo dei Centauri, divenuto nel mito la Centauromachia, in Tessaglia, tanti millenni prima.

C’è da dire che Gea non intende porsi troppi problemi di carattere ideologico. In questo il personaggio è coerente con la sua giovane età. Gea accetta il ruolo che le è stato imposto dalla sorte cercando di assolverlo senza farsi neanche troppe domande. Ma questo non vuol dire che Gea sia una fedele esecutrice. Al contrario le sue scelte sono spesso in contrasto con il ruolo affidatole. Possiamo dire che Gea lascia spesso da parte la ragione per agire di istinto e, in questo senso, le sue scelte, emotivamente immediate, sono quasi sempre quelle giuste. In queste scelte è anche influente la discendenza matrilineare del nostro Baluardo.

È confortante registrare l’ampia liberta e la coerenza di Gea alla sua personalità di irruente quattordicenne. Il personaggio (al contrario di quanto magari succedeva a Sprayliz) si muove indipendentemente dalle convinzioni, dalle impostazioni e dalle tesi del suo autore. Insomma Gea è una figliola oramai adulta a cui il suo papà-creatore ha dato fiducia e ampia liberta di azione, anche se poi si muove in direzioni che il genitore forse non condivide del tutto. Contestualmente assistiamo a un naturale evolversi degli eventi, che procedono in maniera talmente naturale da sembrare indipendenti dalla stessa volontà dell’autore.

La furia del Baluardo impazzito
una tavola dell'albo

(c) SBE

La furia del Baluardo impazzito<br>una tavola dell'albo<br><i>(c) SBE</i>

Il distacco del narratore dalla sua materia è sicuramente elemento di maturità. D’altro canto bisogna però pagare lo scotto di una certa freddezza, di una ironia distaccata che comporta un coinvolgimento incompleto da parte del lettore. Ma questo fa parte dello stile e della personalità di Enoch.

Intanto si prepara l’invasione del Male sulla Terra. Ma è veramente tale? O il Male è solo la forza vivificatrice della quale mondi e popoli hanno necessariamente bisogno per acquisire nuova linfa vitale. Insomma l’apocalisse non si rappresenta come la fine di tutto ma come un nuovo inizio. Due nuovi elementi arricchiscono l’intera saga e saranno prevedibilmente forieri di sviluppi fondamentali alla narrazione.

A Gea, in trance, viene rivelata, dall’Arconte stesso, la storia di amore che li unisce eppure li separa irrimediabilmente, a causa degli intenti e dei fini legati alla naturale essenza di ciascuno di essi. È una storia di amore, la loro, che prosegue da millenni dai tempi del Diluvio di biblica memoria.

Altro imprevedibile elemento è il fatto che Diddly, l’agente dei Servizi di Sicurezza, apprende di far parte lui stesso della confraternita degli essere alieni che provengono dalle altre dimensioni.

È un numero dunque questo che rimette in discussione tutto. Innanzitutto l’effettiva militanza di Gea nella schiera del Bene.
Queste sottotrame arricchiscono una vicenda già di per sé intensa. In cui Orlando, il baluardo impazzito si può identificare con gli obiettori tedeschi che rifiutano le armi (eroi o disertori?) e invece il Baluardo Ishmael, il più volitivo nel suo ruolo di segugio sterminatore, si rivelerà, alla fine, come il vero folle della vicenda.

I disegni sono quelli del solito Enoch e questo non può che essere un elemento positivo. Efficaci, gradevoli ed eleganti ci regalano alcuni preziosi affreschi. In questi il dettaglio ricorda il Magnus de I briganti e del Texone (La valle solitaria). Ad esempio la tavola di pag.19, che rappresenta la dissoluzione delle civiltà, oppure la tavola di pag.99 che descrive la Centauromachia.

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