Ballardiana/Bradburyana/Dickiana. E ancora Ballardiana.

les enfants, au revoir
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Ballardiana/Bradburyana/Dickiana. E ancora Ballardiana.
Le Storie 5

Ballardiana/Bradburyana/Dickiana. E ancora Ballardiana.

Scheda IT-LSTR-5

Anteprima

Il giardino dei terrori dietro casa

Una pistola che sfugge di mano, uno sparo: e Tom Clark è morto.

Poche pagine dopo, a due tavole dalla fine dell’albo, sulla superficie della faccia nascosta della Luna, Lloyd Clark vede suo fratello Tom davanti al giardino della casa dove crebbero, e poi vissero l’estate decisiva della loro vita.

Il lato oscuro della Luna è quello più vicino a noi. È il giardino dietro casa dove scopriamo che nostra madre piange. È il giardino dietro casa dove una banda di delinquentelli giovanili ci massacra di botte. È il giardino dietro casa dove nostro fratello non c’è per aiutarci quando ne avremmo bisogno. È il giardino dietro casa dal quale nostro padre è lontano. È il luogo più sicuro del nostro mondo: ovvero lì dove regna la massima incertezza, la massima insicurezza, dove il pericolo è quotidiano e la paura è di casa.

È il luogo dove siamo stati, siamo e saremo sempre bambini impauriti.

È il nostro cuore: abitato da coloro che amiamo più di ogni altro, il luogo dove insorge l’odio. È la nostra psiche/anima, visitata dalle paure del nostro inconscio, dai fantasmi che la nostra mente crea con la materia di cui è fatta la vita.

Questo è ciò che scopre Lloyd tra quello sparo fatale e l’apparizione fantasmatica di suo fratello. Momento d’intimità con se stesso che gli autori preservano tale mostrandoci Tom solo di spalle, perché il ragazzo sia visione di una realtà soggettiva, quella della memoria/immaginazione di Lloyd ormai adulto.

È, il lato oscuro della Luna, la superficie butterata, desertificata di un satellite arido alla quale riduciamo la nostra vita chiudendoci all’amore e all’Altro, facendo dell’Altro un Alieno: ben oltre la sinonimia.

Questo è ciò che noi lettori scopriamo nelle due tavole conclusive dell’albo.

Il lato oscuro della luna
Le Storie 5, pag.33, disegni di Matteo Mosca

(c) 2013 Sergio Bonelli editore

Il lato oscuro della luna<br>Le Storie 5, pag.33, disegni di Matteo Mosca<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli editore</i>
Il lato oscuro della Luna è quello più vicino a noi. È il giardino dietro casa dove scopriamo che nostra madre piange. È il giardino dietro casa dove una banda di delinquentelli giovanili ci massacra di botte. È il giardino dietro casa dove nostro fratello non c’è per aiutarci quando ne avremmo bisogno. È il giardino dietro casa dal quale nostro padre è lontano. È il luogo più sicuro del nostro mondo: ovvero lì dove regna la massima incertezza, la massima insicurezza, dove il pericolo è quotidiano e la paura è di casa.

Inferno, Purgatorio, Paradiso

Tutto questo, noi come Lloyd, lo sappiamo benissimo. Anche se (ce) lo nascondiamo accuratamente. Perché ne proviamo una paura dannata. Perché nell’oscurità che regna in quel giardino dietro casa, in ultima analisi, ci siamo noi. Siamo noi l’Alieno finale, quello che davvero abbiamo paura di affrontare. È la verità su noi stessi, nuda e priva di filtri il fenomeno più terrorizzante che conosciamo in natura, quello che rivestiamo di ogni possibile filtro purché non ci visiti con i fantasmi della nostra vita che lo abitano; purché non siamo costretti a scendervi, come fece Dante per ritrovare se stesso. Purché non siamo costretti a crescere, a vederci come siamo, ad accettarci e infine amarci; per poter amare poi anche l’Altro. Altro da noi, ma non più Alieno terrorizzante. Dante, osservata e riconosciuta la sua umanità nelle viscere infernali affrontò poi il viaggio attraverso il Purgatorio, attraverso la comprensione profonda di quanto osservato e riconosciuto. E poté ritrovarsi e ritrovare la serenità interiore.

Altrimenti non resta che quel viaggio in cui si è più soli, per usare le parole di Lloyd. Non resta altro che quell’Altro terrorizzante, la nostra paranoia solidificata. Sono fatti di luce.. Come potranno fermarli? Niente può spegnere la Luce che vince sul Buio.. Non sappiamo se Luce e Buio abbiano effettivamente l’iniziale maiuscola, ma in sede interpretativa gliela assegniamo comunque. La Luce che rischiari il nostro Buio interiore è il pericolo mortale: è la paranoia che diviene realtà materiale. È il disconoscimento della nostra umanità e della nostra individualità, e della nostra appartenenza a un continuum storico e biologico. È così strano morire senza guardare la Terra.. Rivolto verso il Nulla più nero. È con queste parole che si conclude la vicenda di Lloyd, e con essa l’albo. Vediamo Lloyd, in una con la visione della Terra, rifiutare se stesso. L’incapacità di (ri)conoscere la casa propria e dei propri simili è ciò che conduce Lloyd alla morte. Estraneo a se stesso, Lloyd muore. Possiamo immaginare qui una morte spirituale, ma è così facile che conduca poi alla morte reale.

Il viaggio in cui si è più soli
disegni di Matteo Mosca, Le Storie n.5, pag.104

(c) 2013 Sergio Bonelli editore

Il viaggio in cui si è più soli<br>disegni di Matteo Mosca, Le Storie n.5, pag.104<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli editore</i>

Un sacro stupore

Voler assolutamente capire questa storia è però fuorviante. O più precisamente: per capire davvero e fare propria interiormente la storia bisogna abbandonarsi a essa, scegliere di non far uso primario della ragione e lasciare che le suggestioni della lettura si insinuino in noi e permeino i nostri pensieri, risvegliando le emozioni. La comprensione arriverà - se arriverà - poi. Il racconto di Alessandro Bilotta contiene così tante di quelle suggestioni, è a tal punto intarsiato di rimandi a quegli universi simbolici che noi tutti condividiamo nelle rispettive differenze - infanzia, famiglia, gioco, guerra, amore, sogni e aspirazioni, la dura lotta della e per la vita - da poter essere letto e goduto anche soltanto come una successione caotica e non consequenziale di memorie, fatti, coincidenze, eventi fortuiti, vittorie e sconfitte, tradimenti e lealtà. Come spesso è la stessa vita.

Lo stupore è la chiave di lettura privilegiata. Lasciarsi stupire dalla lettura.

Ci viene chiarito subito, del resto. Sebbene forse solo a lettura ultimata ci sia davvero chiaro, quando l’albo viene richiuso e la copertina torna a investirci con la sua delicatezza policroma e soffusa, e con il carico di timore sottile e inconscio che instilla. Si appella alla nostra emotività dei primordi, infantile. Con quel bambino, soprattutto, stupito dalla visione che ha davanti agli occhi. L’immensa Luna, l’Oggetto Alieno che occupa quasi interamente il campo visivo del bambino (Lloyd) di spalle, che noi immaginiamo stupito. La Luna che pure non riesce a impedire del tutto di cogliere l’infinito allo sguardo del bimbo. Le stelle, le galassie di cui era pieno il cielo degli anni ’40 del XX secolo, quando la storia appare ambientata; quelle stelle e galassie di cui il cielo urbano dei nostri giorni si è spopolato. Stupore e memoria. Realtà soggettiva e incerta: il bambino stringe tra le mani un’astronave e il modellino di un robot che con ogni evidenza è Robby, apparso nel film del 1956 Il Pianeta proibito. Diversi anni dopo il periodo in cui è ambientata la storia. Se anche fosse un anacronismo involontario, è certamente un anacronismo che si inscrive in modo perfetto nella storia e nella copertina, annunciando con quel rimando alla pellicola firmata da Fred M. Wilcox il viaggio nell’inconscio cui si va incontro voltata la copertina. Nell’inconscio e nel regno del possibile: quella missione Mercury-Atlas 10 nella realtà fu cancellata dalla NASA. Ciò permette a Bilotta di immaginare e farci immaginare cosa un astronauta solo nello spazio avrebbe potuto percepire della realtà di avvenimenti eccezionali e incontrollabili quale fu l’assassinio di John F. Kennedy (come a tratti incontrollabile e perfino eccezionale ci appare essere la nostra vita). Come quell’astronauta avrebbe potuto ricostruirli attraverso la propria sensibilità alterata. Se dovessimo scegliere dei numi tutelari sarebbero James G. Ballard e Philip K. Dick. Le case e l’ambiente cittadino di provincia, l’imbrunire e quel bambino che gioca ricordano invece scenari ai quali presiedeva magnificamente Ray Bradbury (e anche Clifford Simak), scenari di serenità e familiarità nelle cui pieghe si annidavano l’angoscia e l’orrore. L’Altro. L’Alieno. L’infanzia che terminava e alla quale i bambini dicevano addio.

La cover di Aldo Di Gennaro ci pone dinnanzi a tutto ciò che ci stupisce e ci angoscia, a tutto quanto noi stessi partoriamo nella nostra mente e con la mente. E ne proviamo sgomento (non alla vista della cover, chiaro :-), ma se solo osassimo sollevare il velo che essa ci mostra). Ci sgomentiamo perché rifiutiamo di accogliere la nostra immaginazione e il nostro io più vero e profondo, schiacciati dalla lacerazione che opera in noi la contrapposizione tra una realtà umana terrena, fatta di lacrime, sudore e sangue, fatta della nostra animalità e della nostra transeunte esistenza; e quella tensione verso l’infinito, verso una dimensione che oltrepassi il nostro tempo e la nostra biologia. Così spesso non sappiamo accettare che in noi, in quanto animali coscienti, l’accidentalità della vita si coniuga con la capacità di sognare. Che l’una e l’altra ci appartengono e caratterizzano. Così spesso rifiutiamo e disconosciamo questa nostra complessità e questo dissidio che non sappiamo comprendere e perciò ricomporre. Ma dobbiamo sopravvivere: allora alcuni si rifugiano in realtà soggettive ancora più alienate e alienanti, o semplicemente disumanizzanti; altri si adeguano a una realtà esterna a cui non sentono di appartenere, e si lasciano vivere, abbandonati a un puro esistere meccanico; altri ancora restano schiacciati dall’impossibilità di ricomporre in unità i propri sogni con il proprio essere fisico, fino a morirne, interiormente o effettivamente. Pochi arrivano ad accettare l’inconciliabile come tale, riconciliandosi con esso. Vivendo e non sopravvivendo. Lasciandosi stupire dalla perfezione del caso che li ha condotti a essere.

Copertina Le Storie n.5
Illustrazione di Aldo Di Gennaro

(c) 2013 Sergio Bonelli editore

Copertina Le Storie n.5<br>Illustrazione di Aldo Di Gennaro<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli editore </i>
Voler assolutamente capire questa storia è però fuorviante. O più precisamente: per capire davvero e fare propria interiormente la storia bisogna abbandonarsi a essa, scegliere di non far uso primario della ragione e lasciare che le suggestioni della lettura si insinuino in noi e permeino i nostri pensieri, risvegliando le emozioni. La comprensione arriverà - se arriverà - poi.

Il mondo intorno a noi è dentro di noi

Quanto della storia narrata sia "reale" e quanto frutto della fantasia eccitata - o del delirio - di Lloyd ha poca importanza; non perché banalmente il racconto è comunque frutto della fantasia di Bilotta, ma perché il viaggio che ci viene narrato nella e attraverso la memoria di Lloyd è in ogni caso una descrizione fedele dei meccanismi di funzionamento della memoria; delle modalità con cui nei nostri ricordi creiamo la nostra mitologia personale, fissiamo gli eventi fondamentali. Del resto quanto è "reale" un sogno surrogato? Nella storia Lloyd vive (se lo vive) il sogno che era di suo fratello Tom: diventare astronauta. È per sopportare il gravame di questa sostituzione psicologica e ideale che il probabile farfugliare di un anziano clochard si muta, nel flusso dei suoi ricordi, in una profezia sul proprio destino e quello di Tom? È possibile: le strategie di cui facciamo uso per non confrontarci con noi stessi sono ingegnose. E forse è proprio quel clochard colui che in precedenza era fugacemente apparso a Lloyd quasi sotto le sembianze di un Mago Merlino malevolo e male in arnese. Vediamo ciò che vogliamo vedere. Mi è stato fatto notare che la pistola fatale a Tom non può sparare accidentalmente se non in circostanze precise, e che il tipo d’arma non fosse in dotazione all’esercito americano durante la II Guerra Mondiale. Che l’anacronismo sia voluto o meno, appare rafforzare la visione del racconto come descrizione dei meccanismi di fuga e di mitopoiesi della nostra memoria e della nostra psiche.

Lloyd, come ciascuno di noi, è figlio della propria famiglia, dell’ambiente circostante, della cultura sedimentata nel tempo, e del caso. Bilotta ci racconta di un padre amorevole, che educa alla responsabilità senza imporre o soffocare, che insegna con l’esempio e sa dare tutto il suo affetto nonostante la presenza intermittente, nonostante il "tradimento" rappresentato dalla disabilità con cui torna dalla guerra. Fino all’ultimo: che egli parli davvero a Lloyd in occasione del funerale di Tom o sia un mito della memoria di Lloyd, ciò che è reale è quanto il padre rappresenta per il bambino e poi per l’uomo. Attraverso suo padre, il maggiore Clark, e quel vice-padre che è suo fratello Tom (anche lui "maggiore Clark" nei giochi dei ragazzi), Lloyd conosce l’affetto. Ma conosce anche l’abbandono delle persone care, la crudeltà del caso che gli strappa il fratello e gli restituisce un padre al quale la guerra ha strappato l’anima. Di tali abbandoni a volte si dà la colpa ai propri cari, altre volte la si assume su di sé, come fa Lloyd, educato dal padre alla responsabilità e dalla madre a un distorto senso del dovere, facendosi carico del sogno di Tom. È invece una donna senza gioia la madre di Lloyd e Tom. Non una donna anaffettiva, ma di sicuro incapace di modulare ed esternare l’affetto. Incapace di comprendere l’umanità profonda del marito, per contraltare riesce a relazionarsi con i figli solo attraverso un’etica del dovere oppressiva. Il realistico ritratto che fa progressivamente emergere Bilotta è quello di una donna a cui manca la cognizione e l’interiorizzazione dei limiti etici, che non è mai diventata davvero adulta, tendenzialmente schizoide e borderline. Inadeguata e fragile, priva di una morale interna, non sa fornire ai figli né esempio né indicazione dei confini comportamentali. A Lloyd mancano amici, manca un ambiente umano nutriente e in grado di non far inaridire il nucleo amorevole rappresentato dal ricordo del padre e del fratello: le parole che pronuncia a pag.109 il suo professore di fisica sono in tal senso un epitaffio. Famiglia, ambiente, cultura e caso.


Storie in libertà

A una prima lettura il lavoro di Matteo Mosca appare inadatto a tradurre graficamente il testo denso e frastagliato di Bilotta. La seconda lettura mitiga in parte tale impressione. Là dove il racconto si dipana più lineare e si struttura secondo canoni più realistici la freddezza e la rigidità del tratto di Mosca si notano di meno, e per certi versi si adattano piuttosto bene agli scenari retrò della storia. Ottime ad esempio le caratterizzazioni del bulletto Winston Lawson e dei suoi compari, come del padre di Winston. Ottima anche l’interpretazione grafica del maggiore Clark, le scene rurali e quelle nella "Giungla dei Vagabondi" dove Lloyd incontra il vecchio clochard. Eccellente la rappresentazione del laido William, l’amante della madre di Lloyd e Tom. Decisamente meno convincenti le caratterizzazioni di Tom e Lloyd, e in particolare quest’ultimo, troppo spesso rappresentati come gnomi macrocefali più che come ragazzini. È però laddove le inquietudini, le ambiguità, le suggestioni del racconto si fanno più sottili e sfumate - laddove cioè vi è necessità di un lavoro psicologico prima che grafico - che Mosca a me pare inadeguato. L’angoscia di Lloyd abbandonato a se stesso e alle proprie paure e paranoie nel set claustrofobico dell’astronave nello spazio resta affidata quasi unicamente al testo e al dialogo, reale o immaginato da Lloyd, con la base NASA di Houston. E così il dolore di Lloyd sulla superficie lunare, che pare mostrarcisi unicamente attraverso la lente della stanchezza e di un’annoiata apatia. La storia nel complesso non risente delle pecche del disegno, e questo è comunque un merito che si può ascrivere anche a Mosca e non solo a Bilotta.

Alla quinta uscita la collana delle Storie lancia il secondo acuto dopo lo splendido esordio dovuto all’estro di Paola Barbato e Giampiero Casertano. Due storie così diverse tra loro, unite solo dalla bellezza (ci si perdoni il termine forse banale ma che solo rende merito ai due albi e fornisce la migliore sintesi di questi racconti). Due storie che danno conto nel migliore dei modi del programma della testata: libertà creativa. In mezzo, tre uscite sicuramente meno eclatanti, ma tutte e tre avventure di buona fattura e di impianto più o meno classico, letture piacevoli e variate, che le testate storiche della Sergio Bonelli Editore sempre meno riescono a offrire: si veda Dylan Dog, che sembra essere stato volutamente trasformato in una innocua lettura per bambini disattenti. Lo stesso Bilotta ha firmato l’ultimo albo dell’Indagatore dell’Incubo, con risultati ben diversi che ne Il lato oscuro della Luna. E pensare che il successo di Dylan Dog nasceva dalla sua libertà di essere e di far immaginare.


Il lato oscuro della Luna, Le Storie n.5, di Alessandro Bilotta e Matteo Mosca, 110 pg. b/n, brossurato, Sergio Bonelli Editore, febbraio 2013, € 3,50

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