Qualcuno deve morire

Virginia come Gwen Stacy? Ma anche no, grazie.
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Qualcuno deve morire
Zagor 590-593

Scheda IT-ZG-590-593

Senza troppi giri di parole, diciamolo subito: Mortimer: ultimo atto, dove va in scena, appunto, lo scontro finale tra lo Spirito con la Scure e il suo nemico più rilevante degli ultimi duecento albi, sfiora il capolavoro. Perlomeno nell’ambito zagoriano, vale a dire di una serie bonelliana molto tradizionale, non contraddistinta da un crudo realismo e con un protagonista generoso che pone la vita, anche del peggiore degli avversari, davanti a ogni cosa.

Sul proprio forum, Moreno Burattini ha scritto che con Mortimer, il genio del crimine che ha fatto della pianificazione dei dettagli e della previsione delle mosse delle sue pedine la propria firma, ha verificato quanto sia vero che, a un certo punto, i personaggi prendono vita propria, finendo con lo scriversi da soli le storie. Dopo la morte della sua amata compagna al termine del precedente scontro con Zagor, Mortimer/Burattini non si è pertanto riproposto come un compiaciuto e sogghignante ideatore di piani strabilianti, ma come un uomo tormentato e ossessionato dal proprio desiderio di vendetta. E che si arrabbia sentendo uno dei suoi uomini chiamare "buffone" Zagor, non per rispetto del suo avversario, ma di se stesso, perché non avere sconfitto un buffone sarebbe un insulto alla sua intelligenza.

Nell’episodio in esame Mortimer alza la posta in palio e sfida Zagor non più per coinvolgerlo per diletto nei suoi colpi sensazionali, ma su un piano strettamente personale, vendicandosi in modo trasversale dei suoi amici, per destabilizzare l’avversario e farlo impazzire di dolore e rimorso prima di ucciderlo.

Mortimer mette il dito nella piaga di alcune delle peggiori paure con cui un eroe, prima o poi, si deve confrontare
In questo modo Mortimer mette il dito nella piaga di alcune delle peggiori paure di Zagor, del quale conosce benissimo la psicologia, e con cui un eroe, prima o poi, si deve confrontare: quella che le proprie azioni virtuose si possono ripercuotere, per la meschinità degli avversari, sui propri amici, o che il proprio buon cuore nei confronti dei nemici può provocare nuove vittime di cui si diventa indirettamente responsabili. Batman è almeno dal 1986, da quando fu rivoltato come un guanto da Frank Miller con Il ritorno del cavaliere oscuro, che fa il conteggio delle persone che ha "ucciso" lasciando in vita Joker. Ma si può chiedere a Zagor di diventare un personaggio ossessionato come i supereroi dei comics che, periodicamente, perdono una persona cara al solo scopo di far reinventare e adattare alle sensibilità moderne i loro demoni interiori e approfondire gli aspetti psicologici dell’origine e del significato delle loro azioni, contraddistinte spesso da un modus operandi che appare datato di fronte ad avversari sempre più spregevoli?

Per chi scrive, no. Questi elementi "scomodi" e spinosi, per rispettare l’universo narrativo zagoriano, possono essere solo suggeriti o inseriti tra le pieghe del racconto. Ed è quello che in Mortimer: ultimo atto succede, come nell’efficace sfogo del dottor Sand che ha appena perso la moglie per "colpa" di Zagor.

Il climax
disegni di Marco Verni, Zagor n.593, pag.83

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Il climax<br>disegni di Marco Verni, Zagor n.593, pag.83<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

Zagor è un eroe sì umano, umanissimo, ma non tormentato in modo esplicito. Le chiavi di lettura dei tragici avvenimenti raccontati nell’episodio e le risposte ai suoi sensi di colpa per le morti che non è riuscito ad evitare non arrivano, pertanto, da un contrasto interiore dell’eroe che combatte con i fantasmi dei propri fallimenti, ma dalle parole e dall’"assoluzione" degli amici, con Cico in prima linea. La reazione dei compagni di Zagor è infatti la più grande falla del piano del suo nemico che si vantava di prevedere tutto: la storia e il coraggio dello Spirito con la Scure e le vite che ha salvato parlano infatti per lui. La sua missione per proteggere i deboli dalle varie forme del male, quindi, può e deve continuare, anche se nell’animo del nostro si sono aperte nuove ferite. Di cui già nell’episodio successivo magari non si vedranno le tracce.

Nella serie di Zagor possono anche esserci, ogni tanto, storie da leggere in stretta sequenza, ma i contenuti emozionali nascono e muoiono nell’arco di un episodio
E in fondo è giusto così. Non tanto per tradizionalismo, ma essenzialmente perché nella serie di Zagor possono anche esserci, ogni tanto, storie da leggere in stretta sequenza, ma i contenuti emozionali nascono e muoiono nell’arco di un episodio. E quando questo non succede, si provocano danni come nella recente saga sudamericana, dove il pretesto narrativo del "tradimento" di un amico di Zagor è stato prolungato oltre misura, inserendo corpi estranei a storie che avrebbero funzionato benissimo anche senza.

Se la storia non raggiunge l’eccellenza "zagoriana" assoluta, pertanto, non è perché è mancato il cadavere eccellente (gli amici morti sono, agli occhi dei lettori, ma non di Zagor, "sacrificabili", come a suo tempo lo sono stati, in altre serie bonelliane che promettevano una svolta radicale, il meccanico Augustino per Mister No o gli agenti Luke Sanders e le gemelle Ross per Nathan Never): eliminare personaggi di maggior spicco per una serie che è senza continuity sarebbe stato solo un impoverimento per il futuro.

Se la storia non raggiunge l’eccellenza è invece per motivi squisitamente tecnici. Riguardo alla sceneggiatura, Burattini non perde la sua verbosità in taluni frangenti e una certa impostazione ingessata o innaturale dei dialoghi. E dato che l’autore non sembra avere nelle proprie corde l'asciuttezza e la sintesi di un Gianfranco Manfredi o del compianto Paolo Morales, sarebbe interessante vederlo "sfogare" questa sua inclinazione recuperando le bistrattate didascalie di tanto in tanto: da un punto di vista narrativo, potrebbero rivelarsi più emozionali di una telecronaca in tempo reale di quello che i personaggi stanno pensando o dei ricordi parlati delle loro precedenti avventure. In questo modo anche le numerose sfide che Zagor è chiamato ad affrontare nella sua lotta contro il tempo, tra cascate impetuose, esplosioni sotterranee, una cavalcata forsennata a Port Whale, una nave in fiamme e la scalata di una parete piatta della prigione, avrebbero potuto avere una tensione drammatica che, nella lettura dei momenti di azione, è talvolta mancata.
Se la storia non raggiunge l’eccellenza è per motivi squisitamente tecnici

Su questo aspetto incide anche la prova ai pennelli di Marco Verni, i cui punti di forza e di debolezza sono ormai noti. E’ un lavoro preciso, ordinato e di grande leggibilità, con una maggiore dinamicità rispetto al passato, ma per raggiungere l’eccellenza serve anche un valore aggiunto rispetto all’ordinario. Se da un lato il suo Zagor furioso è splendido e trasmette bene la rabbia e il nervosismo che lo animano (le pagine in cui grida vendetta dopo la morte di un amico trapper entrano di diritto tra quelle di maggiore impatto di sempre nella serie), il disegnatore non lascia il segno negli scenari variegati richiesti dalla storia. La sua palude di Mo-hi-La e la sua Darkwood non emozionano, mentre la sua Port Whale non sembra la leggendaria anticamera dell'Avventura da cui alcune delle più belle storie di Zagor sono iniziate, ma un qualsiasi anonimo paese. In questo Verni, più che Gallieno Ferri, di cui molti lo ritengono l’erede naturale per l’impostazione grafica di Zagor e Cico, ricorda semmai un altro grandissimo della serie, Franco Donatelli.

Lo Zagor furioso
disegni di Marco Verni, Zagor n.591, pag.50

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Lo Zagor furioso<br>disegni di Marco Verni, Zagor n.591, pag.50<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

Questi i motivi per i quali l’episodio non raggiunge l’eccellenza assoluta. Per il resto, nella storia manca davvero poco. Ci sono ritmo, pathos e tensione, l’esatto contrario della precedente apparizione di Mortimer. C’è Zagor che è costretto a dover scegliere chi, fra due suoi amici, dovrà salvare. Uno Zagor così coinvolto sotto il profilo umano non si vedeva da troppo tempo, e fino all’ultimo non è parsa così implausibile la possibilità che la vendetta finale di Mortimer sarebbe potuta consistere nella morte sotto gli occhi di Zagor della sua antica fiamma Virginia e nello spingere lo Spirito con la Scure oltre il limite che ha scelto di non oltrepassare, per dannarne l’anima per sempre. Ma Virginia non può subire il destino di Gwen Stacy e Zagor non è né un supereroe con superproblemi come l'Uomo Ragno, né, restando nel bonelliano, un tormentato Nathan Never che per vendetta è arrivato a uccidere un uomo a sangue freddo, e pertanto l’ordine naturale della serie non è stato sconvolto.

Un plauso a Moreno Burattini per avere avuto il coraggio di mettere la parola "fine" al suo personaggio più celebre, del quale ha percorso fino alle estreme conseguenze un’evoluzione naturale dopo la quale non sarebbero rimaste altre cose da dire.

La speranza è che Burattini ora riesca a trasmettere nuovi elementi di interesse anche al nemico storico per eccellenza di Zagor, Hellingen, di cui ha architettato l’imminente ritorno, sapendo andare oltre il consueto cliché dello scienziato pazzo che vuole conquistare il mondo. Un'impresa che non era riuscita a Mauro Boselli nell’ultima apparizione datata 1997, dopo il capolavoro "definitivo", ma controverso, di Tiziano Sclavi nel 1988.

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