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Giovedí, 25 Febbraio 2010

  • messaggio da P.Dionisio - 25/02/2010 12:40
    Da un articolo de La Stampa di Fabio Sindici:
    In mostra a Amburgo cinque secoli di «graphic novel». Da Breugel a oggi, l’impegno politico si fa disegno.
    Quando si chiede a Joe Sacco delle principali influenze sui suoi reportage disegnati, spesso rimane interdetto. Ci pensa su. Si entusiasma al nome di George Orwell - Omaggio alla Catalogna più che 1984. Cita volentieri Robert Crumb, l’eroe del fumetto underground. Gli storici dell’arte hanno accostato le vignette di Safe area Goradze, ambientate nella Bosnia dilaniata del 1994-95, alle tinte più cupe di Peter Breugel il vecchio. I critici letterari che si interessano alle evoluzioni del graphic novel, il romanzo disegnato, lo hanno eletto erede di Art Spiegelman.
    Sacco, nato a Malta e cresciuto tra Australia e Usa, è stato il primo a portare lo sguardo soggettivo del new journalism americano in una storia a disegni. Emozioni, ricerca delle notizie, interviste, sparatorie, facce incontrate per strada. Il suo primo volume, Palestina nazione occupata, ha vinto un National Book Award in America, Goradze è stato un successo di pubblico e critica (entrambi sono pubblicati in Italia da Mondadori). Ora è appena uscito negli Usa Footnotes from Gaza, dove il campo visivo del reporter a volte si affolla d’immagini come in un dipinto fiammingo; e la trama si muove su due binari storici: la vita quotidiana all’interno del campo profughi di Rafah, dove l’autore ha trovato alloggio, e l’indagine su due stragi di civili palestinesi da parte di forze israeliane nel 1956.
    (..)

    Domenica, 23 Agosto 2009

  • messaggio da C.Di Clemente - 23/08/2009 14:15
    Il Sole 24 ORE pubblica una lunga intervista ad Art Spiegelman, in cui il premio Pulitzer per Maus spazia dal processo creativo ed artistico ad un progetto per un "backstage" dedicato a Maus, dalla crisi dei quotidiani alla politica americana. Un estratto:
    La creatività arriva a ondate.. uno dei momenti più incredibili è stato alla fine degli anni 70, quando andavo verso i 30 anni. Fino a quel momento avevo sentito questa urgenza di fare fumetti e strisce, ma avevo la sensazione di non aver fatto ancora nulla. Ma finalmente avevo visto arte di tutti i tipi e letto letteratura molto complessa e per la prima volta capii che anche facendo fumetti si potevano correre gli stessi rischi che hanno corso tanti artisti nella storia.
    Oltre a questo periodo ricordo gli inizi di Raw Magazine. Eravamo un gruppo di artisti e pensavamo davvero di fare qualcosa di eccezionale e di essere eccezionali. Cosa che probabilmente all'inizio non era neppure vera. Poi però lo è diventata e ricordo un viaggio in Umbria, con Charles Burns. Ci vennero a trovare Jose Munoz e Carpinteri, poi andammo a Parigi e ricordo la sensazione di impollinazione incrociata tra le nostre idee. Fu bellissimo. Quella vacanza in Europa la disegnai, è il libro Mcsweeney sul 1983. La ricordo così bene proprio perché ho fatto quei disegni, perché in generale io ho una pessima memoria.

    Martedí, 17 Marzo 2009

  • messaggio da P.Dionisio - 17/03/2009 22:50
    Da un articolo de La Stampa:
    I bambini e i ragazzi della mia generazione si sono nutriti di fumetti, come quelli di qualche generazione che ci ha preceduti e quelli delle generazioni che ci hanno seguiti. Anch’io ho divorato le strisce di innumerevoli comics come milioni di altri adolescenti e adulti.
    (..)
    Ma l’emozione più forte rimaneva tuttavia l’identificazione con l’eroe giustiziere, protettore dei deboli, delle minoranze, raddrizzatore di torti come il Tex Willer/Aquila della Notte. Era confortante vederlo disegnato senza che le offese del tempo corrompessero il suo sembiante così come la sua fibra morale, ancorché espressa con metodi rudi, di «destra», si manteneva integra di avventura in avventura, di peripezia in peripezia. Più tardi, da giovane curioso e passionario, avrei scoperto che il linguaggio del fumetto era capace di esprimere con sintesi mirabile concetti politici, filosofici, antropologici e sociologici. Il pilastro di quella stagione aveva il suo «manifesto» leggendario nella rivista Linus, l’ho collezionata per anni. I giganti di quella espressione, di cui ho sempre invidiato il talento, mi ammaestravano e in pari tempo mi obbligavano a rimettermi in questione. Mi capita di continuo rammemorarne il genio e il nome: Schulz, Walt Kelly, Gary Trudeau, Johnny Hart, Frank Dickens.
    (..)
    Ma è l’incontro con l’opera straordinaria di Art Spiegelman e soprattutto con Will Eisner che mi rivela definitivamente la sconcertante «potenza» di linguaggio narrativo ed espressivo del fumetto che accede al respiro maestoso dell’arte del romanzo. La Fandango oggi offre al lettore italiano un’opportunità preziosa, quella di leggere e di avere nella propria libreria quello che a mio parere è un volume che non deve mancare: il capolavoro di Will Eisner, la trilogia Contratto con Dio. È un’intera epopea della vicenda di emigrazione e di assestamento nel Nuovo Mondo dell’ebraismo della yiddishkeit visto attraverso le pulsazioni vitali e i travagli di un condominio del Bronx, microcosmo che allude al macrocosmo. Will Eisner con un rapporto di assoluta pregnanza fra fumetto, disegno, tratto e didascalia riesce a fare partecipe di quella sconvolgente e paradigmatica epopea del nostro Occidente di minoranza ogni lettore, anche il più refrattario.
    (..)

    Martedí, 27 Gennaio 2009

  • messaggio da P.Dionisio - 27/01/2009 12:55
    Da un articolo de La Stampa di Sergio Rossi:
    (..) la Fondazione Casa di Anne Frank ha promosso la pubblicazione di un libro a fumetti come La stella di Esther di Eric Heuvel, Ruud van der Rol, Lies Schippers ed edito in Italia da De Agostini con il Patrocinio dell’UCEI - Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in cui la vicenda della Shoah viene raccontata da una nonna, la Esther del titolo, al giovane nipote che l’accompagna nel ritrovare gli ultimi tasselli di quella vicenda che ha segnato anche la sua vita futura, come già le opere di Primo Levi, Robert Antelme, Elie Wiesel e di Art Spiegelman ci avevano raccontato. È un libro da leggere a fianco a Valzer con Banshir di Ari Folman e David Polonsky ed edito da Rizzoli Lizard, il romanzo a fumetti tratto dal film d’animazione omonimo attualmente nelle sale.
    In apparenza i due libri non potrebbero essere più diversi per realizzazione e storia. La stella di Esther è un racconto per ragazzi realizzato sul modello narrativo di Tintin, il prototipo belga e olandese per questo tipo di fumetto: non per caso la protagonista da giovane sembra la sorella gemella dell’eroe di Hergé a cui gli autori devono anche la forma del lettering e i ghirigori tra le gambe che indicano il passo di corsa dei personaggi. Valzer con Banshir è invece diretto a un pubblico adulto, è realizzato con un segno più sporco e ricco di ombre, si inserisce nella neonata tradizione israeliana del fumetto che ha in Rutu Modan (Unknonwn/Sconosciuto, Il passato è passato, entrambi da Coconino) la sua esponente principale, e parla della guerra in Libano nel 1982 e dei massacri di Sabra e Chatila.
    In realtà i due libri trattano lo stesso tema da due prospettive storiche e narrative complementari: l’accettazione e la negazione della memoria.

    Giovedí, 22 Gennaio 2009

  • messaggio da De Agostini Editore - 22/01/2009 17:15
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