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Forse s'era preso una lunga vacanza, oppure era stato rapito da qualche malintenzionato e sostituito da un sosia, oppure ancora era rimasto vittima di un potente incantesimo. Non lo sappiamo, e non c'importa di saperlo. Qualunque cosa fosse, ora è finita, perché il protagonista di questa storia è finalmente il Ranger che ci ha fatto appassionare per decenni. Non che questa "tripla" sia esente da difetti, sia ben chiaro, ma almeno sappiamo di chi stiamo parlando.
I'm back!
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Un ritorno in grande stile per Mauro Boselli che, dopo ben quindici mesi di assenza dalla serie regolare, ci regala una storia articolata e complessa. Attraverso la vicenda della fiera rivalità fra due guerrieri di nazioni avversarie l'autore tocca abilmente le corde dell'amicizia, della lealtà, dell'onore, della vendetta, dell'orgoglio guerriero perduto e ritrovato, delle usanze del popolo indiano e dei suoi variegati rapporti con i bianchi. Temi "adulti" che conferiscono spessore alla trama e ai personaggi stessi, evitando di cadere nella solita rappresentazione stereotipata e macchiettistica dell'indiano buono e dell'indiano cattivo. L'autore rifugge volutamente qualsiasi tentativo di semplificazione e ci dimostra come, all'alba del XXI secolo, in piena era post-revisionistica preda di seduzioni new age filo-indiane, Tex possa mantenere la sua integrità, le sue granitiche certezze all'interno di un mondo pieno di sfumature, dove il confine tra bene e male si fa indistinto, e la brutalità delle guerre tribali può crudelmente soppiantare il patinato romanticismo del western classico.
In più di un'occasione la storia vola alto, affrontando temi profondi e problematici. Iscriviamo fra questi episodi le fiere parole di Cavallo Bianco in occasione della firma del trattato di pace, i ripensamenti dello stesso Cavallo Bianco sulla sua alleanza con i bianchi, la crudele uccisione della ragazza Cheyenne da parte dei Pawnee e la loro ancor più spietata rappresaglia a colpi d'arma da fuoco ai danni di nemici armati solo di frecce. Momenti talora toccanti, talora disturbanti, mai banali. Boselli non vuole permetterci di rifugiarci dietro a schemi rassicuranti e semplificatori. Egli ci mostra la crudezza e la complessità della vita di frontiera spazzando via tanto il vecchio stereotipo del bianco-buono che sconfigge l'indiano-cattivo quanto quello più moderno e "politicamente corretto" (ma altresì falso) dell'indiano-santo perseguitato dal bianco-diavolo.
Finora sembrerebbe che si stia parlando di un capolavoro. Le premesse per raggiungere questo risultato, effettivamente, c'erano. La storia è affascinante e, nonostante la lunghezza dei tre albi, avrebbe potuto tranquillamente occupare un albo in più per essere adeguatamente sviluppata, ma la pur buona sceneggiatura non si dimostra all'altezza di un soggetto così complesso. Se i temi trattati sono adulti, il modo di presentarli è talvolta bambinesco, mieloso, didascalico, eccessivamente retorico. Alcune sono caratteristiche boselliane, come il ragazzino petulante che va in brodo di giuggiole davanti al distintivo di Tex o gli eccessivi -e non richiesti- scambi di complimenti fra uomini rudi che si suppone siano poco portati alle smancerie; intento lodevole, sia chiaro, in quanto teso a sottolineare la caratura di Tex e dei pards, ma il modo di realizzare tale intento si rivela inadeguato, se non maldestro. Altri paiono più segni di una mano esterna. Ci riferiamo, in particolare, a (rari) casi di spiegazione dell'ovvio, come la disquisizione fra Tex e Tiger sul verso della civetta o Carson che si premura di informarci che il segnale di Tex indica che la via è sgombra. Sono difetti che abbiamo spesso rilevato, in quantità ben maggiori, anche in Claudio Nizzi; data la profonda differenza esistente fra i due autori, questa strana assonanza ci fa pensare che dietro vi sia una qualche forma di omologazione redazionale (il che assolverebbe, almeno in parte, lo stesso Nizzi dalle accuse spesse volte mossegli). Carson, dei quattro pards, è quello che ci è piaciuto meno. Troppo macchietta, brillante e simpatico ma non autorevole, quasi nizzianamente interessato al cibo, forzato nella scena dell'incendio del magazzino di Dutronc, riedizione fra l'altro di una leggendaria sequenza di Gian Luigi Bonelli (v. la scheda). Non è cosa grave, ma dall'autore di un capolavoro come "Il passato di Carson" non ce lo saremmo aspettato.
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E' sempre difficile commentare un artista del calibro di Font, figuriamoci dargli un voto! Rispetto ai precedenti lavori texiani è migliorato, visibilmente. Il tratto si è assottigliato, raffinato, le sue rappresentazioni sono ancor più accurate. Chi avesse dubbi in proposito può prendersi una vista dei suoi indiani e della precisione con la quale raffigura costumi, armi, villaggi. Splendidi anche i campi lunghi, ariosi come forse solo Ticci saprebbe far meglio. La capacità narrativa di questo artista è indubbia e non saremo certo noi a contestarla, ma dobbiamo rilevare che da una prospettiva squisitamente texiana c'è ancora qualcosa che non ci convince. Una è basilare, e riguarda l'interpretazione dei quattro pards. Forse i migliori sono Kit e Tiger: il primo ha perso quell'aria da bamboccio che spesso gli viene affibbiata (complici le sceneggiature che vanno in tal senso?); il secondo è semplicemente perfetto. Ma è con Tex e Carson che le cose non tornano. Non solo il volto di Tex è spesso deformato da espressioni poco consone al personaggio, ma l'intera figura è spesso inadeguata. L'idea di imponenza, di possanza fisica che Tex dovrebbe esprimere non è compatibile con certi ritratti di un ometto quasi rachitico con un giro-vita largo quanto la scatola cranica o poco più. Peggio ancora Carson, forse il difetto più imperdonabile perché il vecchio cammello ha caratteristiche tali che quasi tutti i disegnatori, anche i meno gettonati, riescono o sono riusciti a rappresentare in modo soddisfacente. Il suo ritratto è quasi caricaturale, degno di un vecchietto del West dedito alla bottiglia più che alle armi da fuoco. E' stato proprio Boselli a suonare la riscossa per l'anziano ranger, rinchiuso per anni negli angusti panni di spalla semi-comica, ed è ironico che proprio in una storia di Boselli assistiamo a una rappresentazione grafica così poco rispettosa.
E' chiaro che il giudizio complessivo sul lavoro svolto da Font resta ampiamente positivo, ma crediamo anche che non sia su Tex che ha dato il meglio di sé. Lo troviamo decisamente più a suo agio nella fantascienza ironica di Clarke & Kubrick, o nelle atmosfere cupe e angoscianti de Il prigioniero delle stelle. Il west di Tex, solare ed eroico, realistico ma edulcorato, forse ancora gli va un po' stretto. ![]() ![]() ![]()
Abbiamo cercato di non farci influenzare dal fatto che questa storia di Boselli è uscita dopo una lunghissima serie di lavori che andavano dal mediocre al pessimo, giudicandola per quel che è. La storia presenta qualche sbavatura ma è complessivamente ottima, con almeno due grossi pregi. Il primo è di affrontare tematiche profonde in un fumetto tradizionalmente "leggero" quale è Tex, conciliando abilmente fantasia e rigore storico. Il secondo è di restituirci un eroe vecchio stampo perfettamente integrato con il moderno linguaggio fumettistico, senza snaturarlo, bensì reinterpretando in chiave moderna le sue qualità morali e caratteriali. Boselli dimostra la falsità della tesi che vuole Tex un personaggio del passato, vecchia maniera, prigioniero di un mondo di stereotipi che non conosce sfumature tra bianco e nero, tra bene e male. Il suo Tex è genuinamente bonelliano eppure perfettamente in grado di prendere le giuste decisioni anche in un mondo complesso e realistico. E' riuscito a non cadere nel circolo vizioso che, a furia di semplificare e banalizzare l'ambiente e i personaggi che circondano l'eroe, ha fatalmente finito per banalizzare l'eroe stesso. Quella di Boselli è una sfida coraggiosa che finora è stata vinta e che speriamo venga portata avanti. Speriamo altresì che questo rientro in bellezza preluda a una sua presenza più costante all'interno della serie.
Bentornato a casa, vecchio Ranger!
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