Lo chiamavano TriniTex

... e vissero tutti felici e contenti
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Lo chiamavano TriniTex
Tex 611

Scheda IT-TX-661

E’ una storia che va presa con il giusto spirito.

I richiami a quel capolavoro della commedia western all’italiana Lo chiamavano Trinità e il suo seguito Continuavano a chiamarlo Trinità sono fin troppo evidenti per non essere tentati di immaginare che l’intento di questa breve avventura monoalbo, con i soli Tex e Carson protagonisti, fosse di provare a battere una strada insolita. Inoltre, potremmo sbagliare ma, sia la scelta del disegnatore sia l’inusuale brevità, ci fanno ritenere che si tratti di un Almanacco, poi dirottato sulla serie regolare per esigenze di programmazione, il che renderebbe ancora più comprensibile la natura del (diciamo così) esperimento.

Di quale esperimento parliamo? Di voler scrivere un’avventura di Tex con un tono maggiormente scanzonato del solito, quasi da commedia, appunto. Non una parodia, intendiamoci, e nemmeno una commedia tout court: Tex non è Il Comandante Mark e nemmeno Zagor, che può contare sull’apporto determinante della sua spalla comica messicana, ma fin dai primissimi tempi Tex ha sempre avuto una componente "leggera" (pensiamo ai disegnini con i quali Galep inframmezzava le strisce degli albori, o i frequenti scambi di battute con Carson, fin da quando quest’ultimo aveva il pizzetto nero), quindi perché non provare qualcosa del genere, soprattutto dopo la lunga e cupa avventura precedente? Tenendo conto delle insidie che tale esperimento comporta, ovviamente: sono ancora freschi i ricordi di come Claudio Nizzi, soprattutto negli ultimi anni, aveva trasformato Tex nella parodia involontaria di sé stesso e il povero Carson in una macchietta semi-comica, e tutto vorremmo tranne che rivivere quei tempi infelici.

Buoni e cattivi (?)
Tex 661, pag.52 - Tavola di Giacomo Danubio

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

Buoni e cattivi (?)<br>Tex 661, pag.52 - Tavola di Giacomo Danubio<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>

In quest’ottica accettiamo di vedere i tre cacciatori di taglie babbei che si fanno infinocchiare due volte di seguito, lo sceriffo succubo ma non disonesto (?) che si ravvede, il giovane cacciatore di taglie che passa dalla parte giusta e diventa vicesceriffo, i siparietti romantici e un po’ ingenui fra la giovane Mennonita scalza e il ragazzo fuggiasco ingiustamente braccato, i rudi cowboys cattivi che si fanno sedurre dalla semplice vita agreste, le palate in testa... Perfino Tex e Carson provano a essere un po' più battutisti di quanto Mauro Boselli ci abbia abituato a leggere e non si può non avvertire il tentativo di infondere a tutto il racconto maggiore positività e solarità. Paradossalmente, potremmo invece trovare stonati i numerosi morti ammazzati sparsi lungo il cammino dai due rangers, tanto che, date le premesse, non ci saremmo stupiti se questa storia fosse terminata senza cadaveri. Un po’ à la Trinità, appunto.

l’autore sceglie la strada più semplice e meno indicata

La storia, nonostante alcune scivolate, funziona abbastanza bene nella prima metà, ma proprio quando si entra nel vivo dell’azione e i nodi narrativi arrivano all’auspicato scioglimento, l’autore sceglie la strada più semplice e quindi, a nostro avviso, meno indicata: spiegare e raccontare invece di mostrare, accelerare inopinatamente le "conversioni" degli antagonisti, affidarsi a espedienti troppo forzati, anche per un Tex supposto "leggero". Mauro Boselli è un autore con un tono di fondo marcatamente più drammatico e serioso di quanto fosse quello di Bonelli padre, e questo forse lo ha indotto a credere che scrivere una storia dalle tinte meno fosche equivalesse a scrivere una storia per ragazzini. Il Tex degli anni d’oro è stato un fumetto scritto per i ragazzi ma trattandoli da adulti, mentre qui ci pare sia avvenuto l’esatto contrario. In secondo luogo, Boselli perde le buone intenzioni per strada, ricascando nel vecchio vizio di prendersi troppo sul serio e lasciando al lettore la sgradevole sensazione di aver letto una storia bislacca: troppo semplice e ingenua per essere di Tex, troppo piena di ammazzamenti e seriosa per essere una commedia d’avventura, sia pure texiana.

Se manteniamo la nostra ipotesi di fondo, la scelta di Giacomo Danubio ai disegni avrebbe anche una sua logica. Danubio è un disegnatore dalla leggibilità immediata, dettagliato ma semplice, un po’ alla EsseGesse (se ci si passa la forzatura). Non lo vedremmo adatto a illustrare il ritorno di Yama, chiaramente, ma poteva essere accettabile in questo caso. Anche le pose legnose, le espressioni e le anatomie incerte, con quei corpi tozzi e i testoni sproporzionati, si potrebbero approvare in ottica "alternativa". Sfortunatamente, data la riuscita solo parziale dell’esperimento, ammesso che fosse tale, i suoi difetti emergono in tutta la loro evidenza (a parte alcuni riusciti primi piani), soprattutto nella parte finale.

IpnoTex
Tex 661, pag.99 - Tavola di Giacomo Danubio

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

IpnoTex<br>Tex 661, pag.99 - Tavola di Giacomo Danubio<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>
Ci sono poi almeno due passaggi che ci hanno infastidito

Ci sono poi almeno due passaggi che ci hanno infastidito e che meritano di essere approfonditi. Il primo è il Carson "tardo" dell’ultima vignetta di pag.22. L’espediente narrativo di istupidire l’anziano pard sì che, con le sue domande, dia modo a Tex di spiegare al lettore che cosa sta succedendo, non è da Boselli. Anzi, è ciò che lo ha sempre distinto dal suo predecessore Nizzi (il quale, per contro, lo usava a profusione). Ma qui c’è l’aggravante della gratuità, perché la spiegazione di Tex è totalmente inutile, dato che non aggiunge nulla a quanto visto solo poche pagine prima. Quindi, dovremmo concludere che non solo Boselli stava scrivendo una storia per ragazzini, ma per ragazzini tonti. Il secondo, forse peggiore, è il Tex "ipnotizzatore" che induce Larry a confessare la verità con la sola forza magnetica del suo sguardo. Le intenzioni sono pregevoli: far emergere il carisma di Tex, la sua autorevolezza, la sua capacità di incutere timore senza nemmeno dover passare alle vie di fatto. In fondo, Tex ha sempre considerato lo sguardo di un uomo come rivelatore della sua natura profonda. Peccato solo che la scena sia stata costruita in modo talmente forzato e maldestro da rendere quelle poche pagine le meno texiane di tutto l’albo, nonché il simbolo stesso dell’artificiosità e ingenuità con la quale la storia viene sviluppata e portata a termine. Ragazzini, tonti e anche ripetenti, ci verrebbe quindi da pensare.

Che cosa pensare di un lavoro evidentemente al di sotto degli standard di questo autore? Possiamo supporre che la sceneggiatura sia stata scritta, come si suol dire, con la mano sinistra e con una certa fretta, nonché privata di quel tanto di revisione che avrebbe potuto correggere almeno i difetti più marchiani. Fatalità ha poi voluto che approdasse sulla serie regolare a ridosso di altre storie costruite su un canovaccio simile (il giovane innamorato e braccato ingiustamente), facendo risaltare ancor più gli errori. Abbiamo comunque apprezzato il tentativo e ci auguriamo di leggere, in futuro, altre storie che cerchino di recuperare il tono positivo e solare degli anni migliori. Possibilmente ricordandosi che, con tutti i loro difetti, i lettori storici di Tex non sono più ragazzini e, soprattutto, leggendo Tex non si sono mai sentiti tali.



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