La regina del Mississippi

Sangue, vendetta e giustizia sulle placide acque del Mississippi
Recensione di M.Rima |   | tex/

La regina del Mississippi
Color Tex 5

La regina del Mississippi

Scheda IT-TX-C5

Partita come pubblicazione annuale, la collana Color Tex è divenuta semestrale nel 2013, quando al consueto numero estivo, che ospita un’unica storia lunga (160 pagine), se n’è affiancato uno autunnale, composto da quattro racconti brevi (32 pagine l’uno). A differenziare le due uscite non è solo la lunghezza delle storie raccontate, ma anche la tecnica di colorazione: piatta e dalle tinte uniformi per l’albo estivo, più moderna e ricca di sfumature per quello autunnale. Dal punto di vista cromatico, il più recente numero della collana - il quinto - rappresenta quindi un deciso passo indietro rispetto al precedente, in quanto segna il ritorno ai colori "elementari" che avevano caratterizzato i primi tre Color Tex e, con essi, all’abbagliante giallo privo di sfumature della camicia del Ranger. Ma si sa, in una serie ultrasessantennale come Tex la tradizione gioca un ruolo molto importante, e la Redazione deve aver pensato (forse anche a ragione) che il passaggio a un tipo di colorazione più sofisticata e al passo con i tempi - e quindi meno "artigianale", almeno in apparenza - sia un processo da non affrettare. Per ulteriori considerazioni sull’argomento, vi rimando alla parte finale della recensione.

l’avventura narrata è, in una parola, divertente

Delta Queen è il quarto Color Tex "lungo", nonché il terzo interamente scritto dal curatore Mauro Boselli. Ai disegni troviamo l’ottimo Fabio Civitelli, che torna ad apparire sulle pagine della collana dopo un’assenza di due anni (per la precisione dal Texone del 2012, La cavalcata del morto). Una coppia collaudata che non delude: come nelle precedenti uscite della collana, anche stavolta la lettura lascia, se non incantati, quantomeno soddisfatti; l’avventura narrata è interessante, scorrevole, movimentata: in una parola, divertente.

La storia prende il via con un suggestivo prologo di sei pagine ambientato nella palude di Fausse Point, in Louisiana; si sposta poi nella cittadina di Natchez, dove incontriamo i quattro pard, e successivamente nella città portuale di Baton Rouge; da lì in avanti l’avventura procede lungo le acque del Mississippi, a bordo della nave-bisca Delta Queen. La trama è semplice e priva di complicazioni, ma è comunque articolata quanto basta nonché ottimamente calibrata sulle 160 pagine dell’albo: in estrema sintesi, si racconta di due indagini parallele che finiscono per sovrapporsi, una condotta da Tex e pard e l’altra da alcuni comprimari. I cambi di location, il numero di personaggi coinvolti (alcuni dei quali risultano carismatici anche se appena accennati - vedi per esempio la bella Aline Beauclair) e il ritmo sostenuto donano vivacità alla vicenda, che è innegabilmente ben strutturata; il tutto sapientemente condito da scazzottate, sparatorie, interrogatori "alla Tex" e inaspettati colpi di scena. A completare il quadro positivo, i tempi narrativi ottimamente gestiti e - elemento da non sottovalutare - l’ambientazione fluviale, che il sottoscritto trova particolarmente suggestiva e affascinante.

Il dinamismo di Civitelli
Color Tex 5, pag.149 - Tavola di Fabio Civitelli

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Il dinamismo di Civitelli<br>Color Tex 5, pag.149 - Tavola di Fabio Civitelli<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

Alto numero di personaggi secondari, si diceva poco fa: una tipica caratteristica della scrittura boselliana. In Delta Queen i comprimari non mancano: su tutti, risultano degni di nota il cajun Lucas Laforgue (o Lucas del grande fiume, come lo chiama Aline) e il giocatore professionista Rick Demarest. Ad accomunarli, curiosamente - ma forse non casualmente -, un elemento: entrambi sono personaggi ambigui e combattuti che, nel corso della storia, compiono un percorso interiore che li porta a maturare e a rivedere le proprie posizioni di partenza: Lucas si dimostra risolutivo per la positiva conclusione della vicenda, mentre Rick, dopo i tentennamenti iniziali, dà prova di una nobiltà d’animo sorprendente (specie se si pensa che lo stesso Tex aveva qualche dubbio su di lui: vedi il dialogo con Kit delle pagine 88 e 89). Chi teme che l’inserimento di simili coprotagonisti possa in qualche modo oscurare il ruolo dei Ranger può stare tranquillo: Tex, Carson, Kit e Tiger Jack sono ben presenti e svolgono alla perfezione il proprio ruolo, ovvero quello di indagare e mettere con le spalle al muro i cattivi della situazione (ossia la banda di rapinatori capitanata da Horace Taggart). I pard sono agguerriti, grintosi e tenaci come sempre, e ciascuno di loro riesce a ritagliarsi il proprio spazio all’interno della narrazione; l’unico a cui non spetta un "momento di gloria" specificamente dedicato è Tiger Jack, che purtroppo continua a rimanere il più sottoutilizzato del quartetto.

si tratta, per così dire, di ordinaria amministrazione texiana

Una storia ben strutturata e di piacevole lettura, una dose adeguata d’azione e di sparatorie, nessuna forzatura nella caratterizzazione dei pard: tutto perfetto, quindi? Quasi: pur essendo una buona avventura texiana, a questa Delta Queen manca qualcosa per essere veramente memorabile. La storia intrattiene e diverte, ma è priva dell’afflato epico che caratterizza gli esiti migliori della scrittura boselliana e, allo stesso modo, non contiene sequenze che si possano definire realmente emozionanti e sappiano coinvolgere fino in fondo; si tratta, per così dire, di ordinaria amministrazione texiana: di livello innegabilmente buono, ma non tale da rimanere impressa nella mente dell’appassionato a fianco delle avventure più celebrate del Ranger. Inoltre, c’è qualche parola di troppo; niente per cui gridare allo spiegazionismo, ma sono convinto che la scrittura di Boselli trarrebbe giovamento da un ulteriore snellimento dei balloon (per fare solo un esempio, sono davvero necessarie le nuvolette di pensiero di pag.111?). Insomma, ci si può rallegrare del fatto che, nelle mani di uno sceneggiatore capace, un personaggio di sessantasei anni sia ancora così vitale, e al tempo stesso si deve anche avere la consapevolezza che l’autore (nonché curatore di testata) può fare meglio di così; ma ciò, va da sé, non deve certo impedire di godersi una lettura gradevole come questa.

Una nota a margine: pagina dopo pagina, Delta Queen si rivela una tra le storie più crude mai apparse nella serie, ricca com’è di scene piuttosto esplicite (solitamente inusuali nella saga texiana, dove si preferisce lasciare la violenza fuori campo). Niente di splatter, va da sé, ma rimane il fatto che la parte conclusiva dell’albo presenta diverse situazioni "forti": la tortura di Laforgue (pag.129 e seguenti), un accoltellamento in piena gola (pag.133), una freccia che attraversa da parte a parte il collo di un uomo della security (pag.145) e, sequenza di grande impatto (ed egregiamente narrata), la terribile fine di Taggart (pag.157). Che la violenza sia un po’ più "grafica" del solito non è un problema: il vecchio West era un mondo violento, come violenta è la rappresentazione che ne viene offerta nelle storie di Tex, e non trovo fuori luogo che parte della brutalità della vita di frontiera entri nelle vignette e diventi visibile al lettore. Purché non si ecceda, naturalmente.

Uguale, eppure diverso

Conclusa l’analisi della storia, trovo interessante riflettere brevemente sulle caratteristiche che, in modo sempre più deciso, Boselli sta facendo assumere al proprio Tex: caratteristiche che - meglio specificarlo subito - non sono in contrasto con quelle "canoniche" definite da Gianluigi Bonelli, e che eppure denotano la volontà di non limitarsi a una pedissequa riproposizione del modello originario, ma di offrirne piuttosto un’interpretazione personale (e, aggiungo, riconoscibile come tale). Due le peculiarità che, a mio modo di vedere, identificano in modo chiaro il Tex boselliano: da un lato, la tendenza a "personalizzare" con estrema libertà il concetto di giustizia; dall’altro, un grande pragmatismo che, in talune circostanze, finisce per sforare nel cinismo.

l’impressione è che Boselli la estremizzi

La prima di queste caratteristiche fa parte del DNA del personaggio dal tempo degli esordi, ma l’impressione è che Boselli la estremizzi: una tendenza già emersa in passato, talvolta in maniera evidente (si veda la discussa conclusione di Giovani assassini), e che, sia pure in tono minore, fa capolino anche in Delta Queen. Il finale della storia vede infatti Tex "promuovere" Lucas e Rick al ruolo di proprietari della nave-bisca: vero che i due sembrano sinceramente pentiti delle azioni commesse, ma è anche vero che la loro condotta ha provocato la morte di diversi innocenti, tra cui il capitano e il pilota dell’imbarcazione (è lo stesso Lucas a rimarcare la cosa, a pag.161). Nessuno dei due ha premuto il grilletto (a farlo è stato probabilmente Tanikan, ucciso anch’egli nel corso della sparatoria finale), ma di fatto la loro responsabilità nella morte di diversi membri dell’equipaggio è innegabile. Sarebbe stato giusto punirli? Francamente, non saprei: Lucas e Rick si sono redenti dal proprio passato, meritandosi la libertà con le loro azioni presenti; peraltro, non ci sarebbe stato nulla di troppo strano se il Ranger li avesse comunque consegnati alla giustizia, magari premurandosi - come fatto tante altre volte - di mettere una buona parola per loro. Che i due vengano lasciati liberi non suscita troppe perplessità, insomma; ma premiarli addirittura? Su questo si potrebbe discutere.

Talvolta ho la sensazione che la tendenza di Boselli ad accentuare quest’aspetto della personalità texiana sia una forma di reazione al Tex "sbirro" di Claudio Nizzi, che nei suoi momenti peggiori era talmente ligio al codice da privilegiare la legge alla giustizia. Quel Tex, che non considerava chiusa un’indagine finché non aveva ottenuto la firma del colpevole in calce a una confessione scritta, appartiene definitivamente al passato: a mettere una pesante pietra tombale su un tale modo di comportarsi è lo stesso Ranger, durante un dialogo con Carson che suona come una precisa dichiarazione d’intenti. I due pard hanno appena ottenuto la confessione (rigorosamente verbale) di Charlie, un membro dell’equipaggio della Delta Queen che è poi stato lasciato libero di abbandonare la nave, e Tex commenta il fatto con queste parole: «Le indagini si fanno semplici, quando si ha la fortuna di incontrare un chiacchierone come Charlie!». Forse memore dei tempi nizziani, Carson ribatte: «Già! Un giudice direbbe che abbiamo sbagliato a privarci di un testimone così prezioso!...»; Tex, però, allontana ogni eventuale dubbio con questa replica: «Sai che cosa pensano certi giudici delle confessioni estorte con i nostri metodi! E poi... c’è troppo denaro in ballo! Il buon Charlie sarebbe stato persuaso a ritrattare!» (pag.90). E con ciò, la questione è chiusa.

Difficile non riscontrare un pizzico di cinismo in tale replica

La seconda peculiarità è l’estremo pragmatismo: nella parte conclusiva dell’avventura, Tex non esita a servirsi dei cadaveri di due banditi per avvicinarsi in maniera più sicura alla Delta Queen, a bordo di una piccola barca; a Carson, che chiede se non sarebbe stato meglio farsi accompagnare dai prigionieri, spiega che "I morti non creano problemi" (pag.120). Difficile non riscontrare un pizzico di cinismo in tale replica (e in tutta la sequenza), per quanto non vi sia dubbio che, strategicamente, la decisione del Ranger non è affatto sbagliata. Il tutto ha suscitato nel sottoscritto una leggera perplessità, per quanto una sequenza del genere non si possa certo definire sconvolgente (e sia anch’essa riconducibile all’aumento della rappresentazione della violenza di cui si è scritto poco sopra).

Una tragica fine
Color Tex 5, pag.157 - Tavola di Fabio Civitelli

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Una tragica fine<br>Color Tex 5, pag.157 - Tavola di Fabio Civitelli<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

Note di colore

La colorazione non penalizza il tratto di Civitelli ma nemmeno l’arricchisce: in una parola, è inutile

Fabio Civitelli disegna molto bene, ma questa non è certo una novità. Il suo tratto è pulito e dinamico, espressivo e di grande leggibilità. In più, essendo il disegnatore aretino uno degli autori storici di Tex, i suoi pard sono piacevolmente familiari all’occhio del lettore, al punto che il semplice fatto di ritrovarseli davanti costituisce, in sé, un gradevole plus. Segnalo alcuni bei primi piani di un Carson particolarmente espressivo (pag.41 e pag.96, ma ce ne sono altri) e l’ariosa vignetta quadrupla di pag.55, ma è tutto l’albo a essere graficamente impeccabile. Ciò che non convince è semmai il colore, e anche qui non si può certo parlare di una novità. Il Color autunnale ha dimostrato che anche Tex, IL personaggio classico del fumetto italiano, si presta molto bene a una colorazione più elaborata, ricca di sfumature e di cromatismi meno scontati. I colori di quest’albo estivo non sono neppure brutti, ma, oltre che piatti, sono abbinati con poca fantasia, al punto che sono assai rari - per non dire assenti - i momenti in cui l’occhio del lettore si sofferma su una vignetta per prestare loro un minimo d’attenzione. La colorazione non penalizza il tratto di Civitelli ma nemmeno l’arricchisce: in una parola, è inutile. Da un albo che è - o meglio: dovrebbe essere - reso speciale proprio dalla presenza del colore, ci si deve aspettare di più; e se proprio non si vuole rinunciare ai colori piatti in nome di un insistito tradizionalismo, si cerchi quantomeno di utilizzarli con maggior estro e con più vivacità.



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