L’importanza di chiamarsi Tex

Giovani assassini, vecchi dilemmi
Recensione di M.Rima |   | tex/

L’importanza di chiamarsi Tex
Tex 640-642

Scheda IT-TX-640-642

Inizio la recensione ponendomi una domanda: può un’ottima storia western essere al contempo una brutta storia di Tex?
La risposta arriverà alla fine dell’articolo; in ogni caso, si tratta di una questione annosa e tutt’altro che inedita, al punto che nel mio passato di lettore texiano mi sono trovato ad affrontarla più volte. Questo accadeva perlopiù quando incappavo nel Tex di Guido Nolitta/Sergio Bonelli, sceneggiatore sublime la cui visione del personaggio non era del tutto in linea con quella di Bonelli padre, creatore dell’inossidabile Ranger. La versione texiana di Nolitta era indubbiamente interessante, ma ciò non la rendeva formalmente corretta e "storicamente" accettabile. Peraltro, della cosa si è già discusso ampiamente; qui mi preme solo sottolineare che leggendo questa storia - scritta da Mauro Boselli per i disegni di un sempre validissimo Alfonso Font - mi sono trovato a provare sensazioni che, mutatis mutandis, non differiscono troppo da quelle che provo ogni qualvolta rileggo un’avventura texiana di Guido Nolitta. Ci sono abilità, mestiere, sapienza narrativa; e assieme c’è anche un’avvertibile componente "eretica".

Facciamo uno sforzo immaginativo e proviamo per un momento a immaginare che il protagonista delle duecentosessantacinque pagine lungo cui si sviluppa questa avventura sia un abilissimo ranger di nome Ted Miller, che opera tra Texas e Arizona accompagnato dai suoi tre inseparabili pard: il figlio Kid, l’amico Pete Parson e l’indiano Navajo Spider Jack. Se così fosse, l’unica critica che mi sentirei di muovere alla storia sarebbe quella di essere talvolta troppo densa di parole e di balloons; ma si tratterebbe un peccato veniale, destinato a scomparire davanti ai numerosi pregi: in primis i notevoli comprimari, tre fratelli tenuti assieme da un indissolubile legame di sangue eppure rosi da antichi rancori mai dimenticati, ma anche la semplicità e l’efficacia della trama, il ritmo sostenuto, il pregevole tono adulto della narrazione, il sorprendente finale. Senza contare che l’intuizione di inventarsi un legame di parentela che unisca due vecchi avversari di Tex - pardon, Ted - è brillante, nella sua semplicità. Il tutto finemente illustrato da un grande nome del fumetto europeo, quel Font che, seppure non al proprio meglio, rimane comunque un eccellente disegnatore western. Secondo la valutazione di uBC, che va da un minimo di 1 a un massimo di 7, la storia si meriterebbe quantomeno un 6. Se il protagonista si chiamasse Ted Miller, appunto.

Il fatto è che non è di un qualsiasi Ted che si sta parlando, bensì di Tex

Il fatto è che non è di un qualsiasi Ted che si sta parlando, bensì di Tex, ovvero di un fondamentale personaggio che ha alle spalle sessantasei anni di storia editoriale e le cui caratteristiche sono state "cristallizzate" dal suo stesso creatore, il citato Gianluigi Bonelli, già negli anni Cinquanta. Rispettare le suddette caratteristiche è basilare per chiunque si cimenti nella scrittura delle avventure texiane: del resto, una parte non indifferente del piacere che la narrativa seriale fornisce ai lettori consiste appunto nel riconoscimento di schemi e comportamenti noti: sia pure se calato in contesti di volta in volta differenti, ci si aspetta che Tex agisca da Tex, e magari lo si pretende anche. Non c’è dubbio che Boselli sia in grado di gestire con disinvoltura il personaggio e la sua (ingombrante?) storia: l’ha dimostrato scrivendo alcune delle più belle storie del Ranger, come le amatissime Il passato di Carson e Patagonia; ma c’è riuscito anche stavolta? Secondo il parere di chi scrive, no. Ecco perché.

La storia si apre con due notevoli sequenze che vedono protagonista il redivivo Durango, apparentemente morto in Tornado (Tex 574) e invece in ottima salute: nel giro di una ventina di pagine - ventitre, per la precisione - lo si vede far fuori ben nove uomini, tra bounty hunters, guardie carcerarie e un innocuo oste. Eppure, solo poche pagine più tardi, Tex sostiene che Durango "uccide solo se strettamente necessario" (L’isola della nebbia, p. 97). Gli fa eco il figlio Kit, che per due volte esprime una certa ammirazione per il giovane desperado e per il fratello minore di quest’ultimo, il Kid Rodelo conosciuto ormai quindici anni fa nell’ottima I sette assassini (cfr. L’isola della nebbia, p. 102 e p. 104). Leggere frasi di questo tenore mi ha lasciato perplesso: è pur vero che, in occasione della loro prima apparizione, Boselli aveva descritto i due ragazzi in maniera sfaccettata e sapientemente ambigua, al punto che era difficile considerarli come personaggi totalmente negativi, ma è altrettanto vero che l’inizio di quest’avventura li presenta sotto una luce ben più cupa; sono due assassini freddi e spietati, Durango in particolar modo, e la relativa indulgenza di Tex e Kit nei loro confronti suona piuttosto strana. Se non altro, Carson la vede diversamente, al punto da affermare con amarezza: «Una fortuna per le loro vittime che [Durango e Kid Rodelo] abbiano sempre una buona ragione per uccidere, vero?» (L’isola della nebbia, p. 102). Per il momento, la tolleranza è solo verbale: i quattro pard non si risparmiano e si dimostrano tenaci e concreti come di consueto nel dare la caccia ai due giovani assassini (che di lì a poco diventano tre con l’aggiunta della graziosa Dallas, sorella gemella del Kid). Ciò non toglie che, di tanto in tanto, a Kit scappi ancora qualche parola di velata ammirazione, principalmente motivata dalle indubbie capacità degli inseguiti: «Sono avversari abili, non si può negare!» (Appuntamento con la vendetta, p. 23).

Il sogno del Kid
Tex 640, pag.110 - Disegni di Alfonso Font

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Il sogno del Kid<br>Tex 640, pag.110 - Disegni di Alfonso Font<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

Strada facendo c’è modo di conoscere meglio i fuggitivi: Durango, Kid Rodelo e Dallas si chiamano rispettivamente William, Philip e Molly Rainey e nonostante l’ancor giovane età hanno alle spalle una vita molto dura. Aloysius, il guardiano del cimitero dove riposano i defunti genitori dei fratelli Rainey, sostiene che «Erano bravi ragazzi, tutti e tre!» (Giovani assassini, p. 18), ma le circostanze li avevano condotti su una cattiva strada: prima la prepotenza dell’Overland Bank dei Gradson, che aveva ridotto la famiglia sul lastrico e aveva causato il suicidio del padre David, poi il nuovo matrimonio della madre con il malvagio reverendo Strother (vedi I sette assassini, Tex 463/465). Tutto il male era venuto di conseguenza. A guidare le azioni dei tre è prima di tutto il desiderio di vendetta, che per Durango diventa una vera ossessione; non è quindi un caso se le vittime della fruttuosa serie di rapine messe in atto dai Rainey sono prima di tutto le filiali dell’Overland Bank, e si riuscirebbe anche a simpatizzare con i tre se non fosse per la lunga scia di cadaveri che si lasciano alle spalle. Degna di nota la descrizione del rapporto tra i giovani Rainey, un legame forte ma al contempo impastato di rancore: quando Durango è fuggito di casa ha lasciato i due fratelli minori in balia di Strother, con il giovanissimo Philip che si è dovuto fare carico di difendere la madre e la sorella dalle angherie dell’uomo. Le tensioni familiari arrivano al culmine in due riuscite sequenze che vedono Durango e il Kid mettere mano alle armi; in entrambe le occasioni è il deciso intervento di Dallas a riportare la quiete (Giovani assassini, pp. 88/90 e Appuntamento con la vendetta, pp.28/33). La ritrovata unità d’intenti è suggellata dalle significative parole del Kid: «Abbiamo cominciato insieme... e si continua insieme!» (Appuntamento con la vendetta, p. 23).

E poi si arriva al finale, la vera nota stonata

E poi si arriva al finale, la vera nota stonata di una storia che fino a quel punto, nonostante qualche piccola sbavatura, non esito a definire pregevole. Scampato all’assalto di Larry Vanner e dei suoi uomini che è costato la vita a Durango, Kid Rodelo riesce a raggiungere la dimora del viscido banchiere Hank Gradson e a freddarlo assieme ai suoi domestici e alla guardia del corpo, sebbene a prezzo del braccio destro e dell’uso delle gambe (presumibilmente in conseguenza del colpo alla schiena sparatogli da Murdock a p. 102 di Appuntamento con la vendetta). Vendetta è compiuta.

Viene da chiedersi se sia stato saggio, da parte di Boselli, mettere Tex in una simile situazione

Discorso chiuso, quindi? Non proprio: perché è senz’altro vero che Gradson è dipinto come un personaggio spregevole e che il Kid, almeno a sentire Dallas, non è marcio com’era Durango, ma è altrettanto vero che il banchiere e gli uomini al suo servizio sono stati uccisi a sangue freddo, spietatamente. Quando Tex e pard raggiungono l’abitazione di Gradson e scoprono quest’ulteriore carneficina, si trovano nella difficile posizione di dover decidere come comportarsi con il giovane assassino, fortunosamente sopravvissuto alla sparatoria. Il ragazzo ha perso il braccio destro e con esso l’uso (temporaneo? Parrebbe di sì) delle gambe, ma rimane il fatto che, assieme ai fratelli, il Kid è responsabile per l’uccisione di almeno una ventina (!) di uomini, alcuni dei quali senza la minima colpa. La situazione è efficacemente sintetizzata da Carson: «Kid Rodelo non ci ha fatto il favore di morire e neppure quello di farsi uccidere da noi con la colt in pugno!» (Appuntamento con la vendetta, p. 109). Tex è messo di fronte a una duplice scelta: può consegnare il menomato Kid Rodelo alla legge o può lasciarlo libero sotto la tutela della sorella e del futuro marito Mike Foster, raro esemplare di giocatore professionista che "vince senza barare... non più di tanto, almeno" (Giovani assassini, p. 47). I due ragazzi Rainey - anche Dallas ha le proprie colpe, come più volte ricordato da Tex e Carson nel corso della storia - hanno dimostrato una pericolosa propensione al crimine e all’omicidio, e non va dimenticato che uno di loro è ricercato per essere sanguinosamente evaso da Yuma; d’altro canto, consegnare alla legge - e forse alla forca - un ragazzo monco d’un braccio e parzialmente paralizzato sarebbe crudele, ed è comprensibile che i pard esitino a farlo. Come comportarsi, quindi? Il dilemma è di difficile soluzione, al punto che viene da chiedersi se sia stato saggio, da parte di Boselli, mettere Tex in una simile situazione, talmente spinosa che uscirne bene è pressoché impossibile. I pard decidono di fidarsi: i due fratelli Rainey sopravvissuti al regolamento di conti con la banda Vanner rimarranno a piede libero.

Già qui c’è di che rimanere perplessi: d’accordo, Tex non è uno sbirro inflessibile e schiavo del codice e da sempre privilegia la giustizia alla legge, però l’impressione è che qui si vada un po’ oltre, e che coloro ai quali è stata regalata la libertà non abbiano fatto molto per meritarsela. Ma forse, a ben pensarci, la decisione non è stata presa alla leggera: una delle caratteristiche di Tex è quella di essere un infallibile giudice di uomini, ed è possibile che guardando negli occhi Dallas e il Kid egli abbia scorto in loro la volontà di vivere nella legalità il resto dei propri giorni, tornando a essere da lì in avanti nient’altro che i fratelli Molly e Philip Rainey. È andata così, quindi? La risposta è no: anzi, per Tex il Kid sarebbe dovuto andare in carcere. Il fatto è che la libertà del ragazzo è stata decisa dopo una votazione: i quattro pard, diventati occasionalmente cinque grazie alla presenza di Mike, hanno messo ai voti il destino del fuorilegge e l’esito - una maggioranza di tre a due - ne ha decretato la definitiva liberazione.

Dallas all'opera
Tex 642, pag.34 - Disegni di Alfonso Font

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

Dallas all'opera<br>Tex 642, pag.34 - Disegni di Alfonso Font<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>
Il leader del gruppo è sempre e soltanto uno: Tex. Nei pochi casi in cui le opinioni del gruppo non convergano, l’ultima parola spetta a lui

Personalmente trovo criticabile anche il fatto che Dallas rimanga completamente impunita (e dire che Carson, poco prima, l’aveva definita "non [...] meno pericolosa dei fratelli" - Appuntamento con la vendetta, p. 18), ma quel che veramente fatico ad accettare è che per decidere il destino del Kid sia stato necessario indire una votazione; sistema democratico per eccellenza eppure inadatto al gruppo dei pard, sia perché le azioni dei quattro dovrebbero essere caratterizzate da una costante unitarietà d’intenti, sia perché il leader del gruppo è - e deve essere - sempre e soltanto uno: Tex. Nei pochi casi in cui le opinioni del gruppo non convergano, l’ultima parola spetta a lui: il Ranger è un protagonista di raro carisma, abituato per originaria caratterizzazione a prendere decisioni e, di conseguenza, ad assumere su di sé l’onere della scelta, anche - e soprattutto! - quando questa non è semplice. Del resto, il suo innato spirito di giustizia e il suo pragmatico buon senso fanno sì che Tex, semplicemente, sappia sempre qual è la cosa da giusta da fare, pertanto è solo naturale che i pard si affidino a lui nel caso di scelte problematiche. La matassa era ingarbugliata? Lo era: ma proprio per questo il compito di dipanarla spettava a Tex. Qui il Ranger accetta di essere messo in minoranza e, quindi, di sostenere una decisione che di fatto lui non approva; in aggiunta, questo avviene grazie all’intervento di un pard occasionale, quel Mike Foster che, come correttamente affermato dal Kid, "non conta", in quanto "ormai è della famiglia!" (Appuntamento con la vendetta, p. 113).

L’operato di Tex, va da sé, apre una serie d’interrogativi sulle possibili conseguenze della mancata incarcerazione di Kid Rodelo: e se in futuro l’opinione dei due pard che hanno votato per il sì si rivelasse sbagliata? Se il Kid recuperasse l’uso delle gambe - cosa tutt’altro che esclusa -, imparasse a sparare con la sinistra e mietesse altre vittime innocenti, il loro sangue non ricadrebbe forse su Tex, responsabile di aver accettato una decisione che non condivideva? Certo, solo Boselli sa che strada prenderà il giovane fuorilegge, ed è possibile che nulla di quanto da me pronosticato si avveri; ciò non toglie che, allo stato attuale delle cose, l’orizzonte d’attesa del lettore sia così ampio da non poter escludere alcuna possibilità, gradevole o meno che sia.
Oltre a tutto questo, la scena in questione - per quanto solo raccontata e non mostrata - ne riporta alla mente una analoga risalente a qualche anno fa, e non è un bel ricordo: mi riferisco al sondaggio d’opinione indetto da Tex nel sedicesimo Albo speciale, il Texone I predatori del deserto (alle pagine 196 e 197). In quel caso si trattava di un espediente a dir poco superfluo - davvero occorre chiedere il parere degli altri pard prima di andare al salvataggio di una ragazza in pericolo? -, in questo si tratta del modo sbagliato per affrontare una questione effettivamente problematica.

L'amaro risveglio del Kid
Tex 642, pag.108 - Disegni di Alfonso Font

(c) 2014 Sergio Bonelli Editore

L'amaro risveglio del Kid<br>Tex 642, pag.108 - Disegni di Alfonso Font<br><i>(c) 2014 Sergio Bonelli Editore</i>

È un vero peccato che un’avventura avvincente e ben costruita finisca per essere pesantemente penalizzata da un finale che, in sé, sarebbe più che valido, ma che mal si adatta alle caratteristiche e alla storia del protagonista. È un peccato perché fino a quel punto c’era ben poco da rimproverare a Boselli, che era riuscito a imprimere alla narrazione un tono adulto e privo di qualsivoglia buonismo, aveva saputo imporre il giusto ritmo al racconto e, soprattutto, aveva indovinato in pieno la caratterizzazione dei comprimari e il loro problematico rapporto. Ma quella chiusura riesce a guastare quanto di buono e persino di ottimo si era letto fin lì. Rimangono alcune pregevoli sequenze che, prese singolarmente, si fanno apprezzare per l’abilità con cui sono sceneggiate: l’incipit, crudo e di forte impatto; l’ammiccante scena della rapina compiuta da Dallas, con il suo tono quasi da commedia; i battibecchi tra i fratelli Rainey, così simili e così diversi; le suggestive sequenze oniriche che vedono Kid Rodelo confrontarsi con quello che evidentemente egli considera il proprio principale nemico, un Carson minaccioso e implacabile (cfr. L’isola della nebbia, pp. 107-111 e Appuntamento con la vendetta, pp. 106-107).

La prova di Font è in complesso egregia, ma non per questo è esente da difetti

Ai pennelli Alfonso Font, il creatore grafico di Durango e pertanto il più indicato a illustrarne il ritorno. Anche in quest’occasione l’artista spagnolo dà prova dell’abituale familiarità con il disegno western, a cui si dedica con la meticolosità e con la ricchezza di dettaglio che gli sono abituali. Gli ambienti sono delineati con gusto e finezza, il tratto è elegante e mirabilmente descrittivo. Convincenti anche i quattro pard, con un Tex granitico e arcigno - fin troppo, talvolta - e un Carson segnato dall’età ma non per questo meno agile e dinamico dei più giovani compagni d’avventura. La prova di Font è in complesso egregia, ma non per questo è esente da difetti: l’autore ha la tendenza a disegnare dei pard talora troppo longilinei e meno massicci di quelli canonici, e occasionalmente compare nelle sue tavole qualche imperfezione anatomica (si vedano per esempio lo sgraziato Kit della quarta vignetta di pagina 100 di Giovani assassini, nonché le sproporzioni dell’ultima vignetta di pagina 23 di Appuntamento con la vendetta). Si tratta di peccati veniali, ma è comunque giusto segnalarli; ottime, in compenso, le rappresentazioni grafiche di Dallas e di Kid Rodelo, quest’ultimo ben modellato a partire da quello rappresentato da Carlo Raffaele Marcello. Eccellenti le due copertine dedicate da Claudio Villa alla storia; da segnalare come la seconda, che presenta come meglio non si potrebbe Appuntamento con la vendetta, sia "generica", ovvero non faccia riferimento ad alcun episodio specifico narrato all’interno dell’albo.

Sì, un’ottima storia western può non essere una buona storia di Tex

È infine il momento di tornare alla domanda iniziale, lasciata volutamente in sospeso. Come si sarà intuito, per quanto mi riguarda la risposta è affermativa: sì, un’ottima storia western può non essere una buona storia di Tex. In una testata come quella dedicata all’inossidabile Ranger il peso della tradizione diventa per forza di cose una componente essenziale, ed è inevitabile - e perfino doveroso - che ogni nuova avventura prodotta dalla Casa editrice venga messa a confronto con il "canone texiano", ovvero con le storie del personaggio scritte da Gianluigi Bonelli. Il rispetto del canone diventa quindi componente essenziale per la riuscita di ogni nuovo racconto del Ranger: è uno dei motivi per cui scrivere Tex, come spesso ripetuto dagli autori che vi si sono cimentati e che tutt’ora lo fanno, è "un’impresa da far tremare i polsi". Come valutare, quindi, un’avventura che si caratterizza per l’alta qualità di testi e disegni ma anche per un’evidente componente "eretica" che la pone in contrasto con la tradizione texiana? Per quanto mi riguarda, negativamente. La mia impressione è che in questo caso, per le ragioni che ho provato a spiegare nel corso della recensione, la coerenza con il passato del personaggio manchi. E' una storia che mi sentirei di consigliare ai lettori non texiani che volessero leggere un western adulto, avvincente e dallo sviluppo non banale; al tempo stesso, la sconsiglierei decisamente a chi volesse farsi di un’idea di chi è Tex e di quale sia il rapporto che lo lega ai pard.



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