Nelle stanze della Storia
Gianfranco Manfredi e la Magistra Vitae, binomio indissolubile e vincente
Recensione di F.Congedo | | tex/
Nelle stanze della Storia
Scheda IT-TX-G25
- Oregon, Verso l'
valutazione (6,6,5) 76%
«Sembrava un tipo innocuo... Non so perché abbia sparato a Eddie.» Gli abitanti richiamati dal fatto sono increduli, i volti modellati abilmente dallo sbigottimento. I colleghi della vittima, indagando, giungeranno dopo un mese alla seguente conclusione: l'assassino è un giovane omicida psicopatico con ben diciassette morti sulla coscienza.
"Giovane omicida psicopatico": bella etichetta, non c'è dubbio: sembra essere lunga ed efficiente quanto basta per definire compiutamente e con certezza assoluta il soggetto in esame, sembra conoscere tutto di lui, averlo inquadrato quel tanto che basta per consegnarlo senza ripensamenti alla vecchia, diroccata galleria degli stereotipi. Sembra. Perché oltre l'impalpabile quanto deformante velo dell'apparenza, nel regno abitato dalle perfette imitazioni dell'idea iperuranica della verità, Kevin Fletcher agli occhi di chi vuol vedere affida senza reticenze la propria essenza: quella di un universo complesso, articolato in una delle tante declinazioni della follia umana, di un abisso di cui non si intuisce la fine, nel quale è assai imprudente guardare, di una mente da esplorare fin nei recessi più oscuri e polverosi alla ricerca dei "perché" che li hanno determinati; quella di un bambino diverso, gracile, sensibile e quindi vessato con spietata regolarità dai coetanei, giudicato una nullità da un padre autoritario del tutto incapace di capirlo; quella di un ragazzo ormai vicino all'essere uomo che, all'apparire sull'agognata soglia della serenità di un fantasma del passato, di quel Jerry che gli aveva distrutto infanzia e adolescenza e che si dichiarava pronto a fare terra bruciata del suo futuro, scarica sul nemico l'intero caricatore, assistendo impotente al definitivo spegnersi della più importante delle fiammelle che alimentavano la sua ragione; quella, infine, di un animale braccato dai cacciatori, finito nella trappola mortale di uno zio, Charles Fletcher, interessato soltanto al suo denaro.
Il giovane Fletcher, riuscita metafora dell'assenza di ossigeno, nella società di ogni tempo, per i pesci piccoli non in grado di nuotare col branco, è la porta in legno massiccio - meravigliosamente lavorata da quell'ingegnoso falegname che risponde al nome di Gianfranco Manfredi - che introduce nelle stanze della Storia.
In viaggio, verso Ovest
Stanze ariose, riccamente arredate, luminose, collegate dagli ampi corridoi di una sceneggiatura semplicemente straordinaria, paradigmatica sintesi di un enorme lavoro di ricerca e documentazione: lungo i sentieri che da Austin, sede del comando centrale dei Texas Rangers, conducono a nord-ovest, verso quello Stato chiamato Oregon, scortando una carovana composta da sole donne in direzione della possibile realizzazione del sogno di tramutarsi da mogli promesse in madri di famiglia,
Una corsa a tappe, secondo logica, in nessuna delle quali si indulge all'invenzione fine a se stessa, all'intricare il racconto per il puro gusto di renderlo più appassionante: non ce n'è affatto bisogno, poiché ciascuna di esse costituisce la fedele riproduzione delle pagine dei libri che custodiscono gli eventi appartenenti al tempo andato. Ed è assai difficile descrivere le intense, prepotenti, quasi violente emozioni che si provano nello sfogliarle, una dopo l'altra: nell'apprendere come le funeste conseguenze della Guerra Civile americana sulla popolazione maschile a Cherryvale, nel Kansas, contribuirono a determinare in quelle zone il fenomeno
delle spose postali; nel vedere i luoghi autentici dai quali transitarono tantissimi pionieri, uomini e donne di ogni età carichi di bagagli e speranze; nell'ascoltare Constance leggere a voce alta lettere d'amore così maledettamente simili a quelle originali; nel guadare - dopo una bufera di pioggia che dava la netta impressione di non conoscere il concetto di termine - il fiume a Three Island Crossing, secondo le mappe uno dei punti più pericolosi della pista; nello scorgere sull'altra riva, incisi su cumuli di pietre - simulacri di sepolture -, i nomi di chi non ce l'ha fatta; nel ringraziare il Cielo dopo essersi accorti di avere solo qualche ammaccatura una volta respinto il veemente attacco degli indiani Cayuse ribelli, per i quali una donna bianca aveva il valore di cinquanta cavalli.
Per i corridoi di una sceneggiatura straordinariamente semplice, fino a
Si avverte, netta, la sensazione che lo scrittore di
Tex Willer e Kit Carson: fiammeggianti tizzoni d'inferno!
Alla creazione del ritmo e della qualità elevati che come affilate ed eleganti unghie femminili graffiano l'avventura lungo tutto il suo corpo, concorrono dialoghi al solito ottimi, che nelle mani dell'artigiano Manfredi si rivelano eccellenti utensili da intaglio, capaci, una volta completati i loro movimenti frenetici e ipnotizzanti, di offrire al pubblico attori tridimensionali e, in particolare, un Tex Willer e un Kit Carson strepitosi: poliedrici, mai l'uno spalla dell'altro, ironici; due ragazzacci nelle cui vene brucia senza sosta il sacro fuoco dell'azione, rapidi come serpenti a sonagli nel cogliere ogni occasione buona per punzecchiarsi - e chi se ne frega se le cateratte celesti non hanno più voglia di chiudersi... -, uniti da un'intesa fantastica che oltrepassa di slancio la comunicazione verbale, sorprendentemente agili nello scambiarsi, sia pure per un ridotto arco temporale, i ruoli: il capo bianco dei Navajos in versione brontolone e il Vecchio Cammello inneggiante all'ottimismo sono immagini da custodire con la dovuta cura; due satanassi allontanatisi con la pelle intatta dalla surriscaldata residenza di Belzebù - sia che questi avesse le fattezze di indiani dai visi segnati dai colori di guerra, sia che avesse quelle non più rassicuranti di corsi d'acqua resi furibondi da copiose precipitazioni -, ma messi davvero in difficoltà dalla cocciuta determinazione, dalla refrattarietà nei confronti degli ordini ricevuti e dal decisionismo della capo-carovana, Emma, al punto di pensare, tra il faceto e il serio, di poterla tenere a bada con l'aiuto di... guinzaglio e museruola!
Applausi.
Sulla pista per Oregon City
Tex Gigante 25, pag.193, tavola di Carlos Gomez
(c) 2011 Sergio Bonelli Editore
La maratona
Una copertina destinata a essere rapidamente avvolta dalle tenebre dell'oblio, anticipa i primi, sicuri passi di Carlos Gomez - quarantasettenne disegnatore argentino proveniente dal Rinascimento di Dago - nei territori degli Stati Uniti d'America irradiati dalla luce calda e intensa della seconda metà del Diciannovesimo secolo: uno di seguito all'altro, essi compongono la tipica andatura di chi si è allenato a dovere prima di affrontare i duecentoventiquattro chilometri di quella prestigiosa maratona chiamata "Texone".
Scenari ricostruiti con precisione e interni ed esterni nei quali l'attenzione per il dettaglio fugge il pleonasmo per dimostrarsi funzionale alla narrazione - aspetti che, insieme a una corretta e mai banale grammatica delle inquadrature, non subiscono alterazioni per l'intera durata della prova -, accolgono come ospiti provetti valide scene d'azione, personaggi la cui caratterizzazione psicologica non ha proprio nulla da invidiare a quella fisica e un Tex e un Carson ammantati da un doppio strato di credibilità: il primo, relativo alle fattezze fisiche dei due ranger, l'altro, al grado del loro ringiovanimento, del tutto proporzionato alle dinamiche e all'andamento dell'avventura.
In questa fase, sono i primi e i primissimi piani a far emergere nella sua pienezza il talento dell'artista sudamericano: splendide fotografie in cui il bianco e il nero si fondono armonicamente, inchiodando sulla carta le mille sfaccettature di stati d'animo, pensieri ed emozioni.
Ripresa la competizione dopo la sosta a Fort Boise, il quadro muta radicalmente: la lucida sicurezza della prima parte viene a essere pesantemente molestata da una stanchezza che a tratti pare avere lo sgradevole volto del pressappochismo, con conseguenze facilmente immaginabili: numerose figure, svariate fisionomie ora appena abbozzate, solo intuibili, ora accecate da un'enfasi decisamente fuori luogo; visi quasi deformi partorienti espressioni insensate; luci e ombre che litigano furiosamente fino a divorziare in occasione dell'attacco notturno alla carovana degli indiani Cayuse: una lunga sequenza che, nell'allontanarsi dalla regione dello spettacolo riuscito, lambisce i confini dell'illeggibilità; linee che si ispessiscono immotivatamente fino a divenire grottesche.
Superata in vista del cartello con su scritto "pagina 160" quella che potrebbe essere a ragione definita come una vera e propria crisi - evidenziata da una stampa da considerare, nel complesso, di scarsa qualità -, Gomez, pur non recuperando l'elevato livello prestazionale dell'avvio, trova le energie necessarie per iniettare linfa nuova alla sua linea morbida e corposa: ne danno testimonianza inconfutabile le esaltanti tavole in cui Kit Carson, Tex e le donne della carovana superano a
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