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Mi immagino che il mio comodino sia come il vostro, o almeno come quello
di molti di voi: pieno. Sì, insomma, una pigna di fumetti alta
così che scala la parete verso il soffitto e ogni tanto barcolla
pericolosamente. Segno di una certa incapacità a selezionare le
letture, di mancanza di tempo libero per leggere (maledetta playstation!),
ma anche segno di una passione grande; quella per i fumetti, appunto. E
quando si ha una passione così, si resta davvero ingolositi dalla
possibilità di vedere cosa cè dietro la realizzazione di un
albo; un po come vedere uno spettacolo da dietro le quinte, o come
quando il prestigiatore svela il trucco. Una sceneggiatura non è
qualcosa che abbia un interesse letterario, può addirittura riuscire
un po noiosa, ma offre elementi di analisi affascinanti a chi sia in
qualche modo interessato a scoprire anche i meccanismi che regolano la
realizzazione di un fumetto. Il dietro le quinte, appunto.
Scrivere a fumetti
La sceneggiatura di cui qui presentiamo ampi stralci, è interessante perché ci mostra il modo di lavorare di Manfredi, svelandoci almeno in parte il trucco del prestigiatore. Solo in parte, in realtà, dato che il lavoro finito ci dice poco o nulla del processo attraverso il quale si è giunti al risultato, poco o nulla ci dice del lavoro di documentazione compiuto dallautore e anche dei suoi ripensamenti, delle correzioni, le cancellature... Si tratta, però, già di qualcosa, e quindi da ciò cominciamo nel tentativo di capire almeno un poco quello che accade prima che Magico Vento raggiunga il nostro comodino.
Il lavoro di Manfredi
Una seconda considerazione è finanche banale: lo stile dellautore è ampiamente cinematografico. Del resto Manfredi ha scritto e scrive molto per il cinema. Ma, si badi, per stile cinematografico non intendiamo riferirci unicamente alle ovvie abbreviazioni, tipiche di chi scrive sceneggiature a fumetti (MF per mezza figura, FI per figura intera, PP per primo piano, eccetera), che servono felicemente e sinteticamente ad indicare al disegnatore il tipo di inquadratura che la vignetta deve avere. Intendiamo anche il modo di raccontare la storia, quello che gli americani chiamano story telling. Si è rilevato più volte come lo story telling di Manfredi sia ricco di cambi di scena, sino a produrre un ritmo sincopato, con continui cambi di situazione, sino a riprodurre nel fumetto ciò che nel cinema si chiama montaggio alternato. Questo modo di raccontare, che nel cinema è abituale, da Eisenstein in poi, nel fumetto, e specialmente nel fumetto bonelliano, non è così scontato; in realtà tutti lo praticano, ma Manfredi esalta questa tecnica allennesima potenza (cfr. ad esempio MV 23, "Gli spietati"). Anche in questo numero lo story telling è complesso e cinematografico, alternando presente e passato (la scena in flashback), alternando luoghi e situazioni. Ecco così che Ned e Poe possono agire in contesti differenti, quasi binari paralleli (trattandosi di ferrovia la metafora è dobbligo...) che si incontrano solo nel finale, dopo due climax separati e appunto paralleli. Altro elemento tipicamente cinematografico della narrazione è il frequente e saggio uso dellellissi, cioè il non dire ciò che è ovvio e che il lettore, che Manfredi, contrariamente ad altri, suppone intelligente, capisce anche senza che gli venga detto. Un esempio tra i tanti:
Oltre a ciò, quello che emerge leggendo la sceneggiatura è la puntigliosità di Manfredi: lautore fornisce al disegnatore indicazioni precise su abiti, oggetti, volti dei personaggi, allegando documentazione iconografica della più varia (foto o videocassette). Si veda ad esempio questo brano di sceneggiatura:
Altrettanto interessante ci pare la precisione con cui il testo spiega logicamente anche ciò che non viene descritto nella vignetta: lorigine di una fonte di luce, per esempio (cfr. la sceneggiatura per la vignetta qua sotto), o che fine possono aver fatto i cavalli di Ned e Poe, o altro ancora.
Un altro bellesempio in questa vignetta:
Ecco, il grado di parentela non può certo essere disegnato, ma in questa indicazione, logicissima, il disegnatore può cogliere il tipo di espressione che questi personaggi devono avere, e che difatti hanno quando vengono inquadrati, tre vignette dopo. Da ultimo, ci preme segnalare una certa letterarietà del testo: lautore ha scritto anche romanzi e si nota che il suo vocabolario non è per niente limitato a quello della narrativa popolare; in realtà Manfredi stesso ci raccontava in un intervista di come, ogni tanto, senta il bisogno di scrivere altro proprio perché il numero di vocaboli che si impiega solitamente scrivendo un fumetto è piuttosto limitato; in effetti qui troviamo termini inusitati e vocaboli altamente letterari, che non compaiono nei balloon, dove stonerebbero, ma che concorrono alla chiarezza con cui lo sceneggiatore spiega le immagini al disegnatore: parole come avvoltolato, svelle, scatola oblunga e così via. Questa cosa ci pare significativa almeno a due livelli: il primo è quello appunto dello sfogo dellautore, che sembra sentire il bisogno di usare parole attingendo da un lessico più ampio almeno in sede di indicazioni al disegnatore; la seconda è che forse, almeno a livello di fumetto popolare bonelliano, oggi come oggi il rapporto disegno-testo è passato a vantaggio del primo; giusto o sbagliato che sia (secondo noi giusto, ma tantè), questo diventa necessariamente un discorso personale, che dunque potrebbe differenziarsi da autore ad autore; forse, anche qui, esiste lautore capace di raccontare lunghe scene senza avvalersi delle parole e quello che invece non rinuncia mai al sistema di modellizzazione primario, il linguaggio verbale appunto, ed esiste la testata che per sua natura necessita di molte parole, come quella che offre più possibilità a piani-sequenza disegnati. Il lavoro di Milazzo
Il nostro imbarazzo in sede di analisi nasce dal fatto che si nota subito un fatto: Manfredi ha scritto così, Milazzo ha disegnato cosà; e come lo vedi, immediatamente ti accorgi che anche come lha disegnato lui è ottimo; è riuscito; magari ha tolto un particolare, che reinserisce di soppiatto due vignette dopo, e capisci che ci sta anche lì, anzi, forse pure meglio, certe volte; quello che non capisci, quello che non abbiamo capito noi, cribbio, è il perché; di una cosa siamo convinti: anche come laveva messa Manfredi avrebbe funzionato, sarebbe stato comprensibile; e allora perché? Le scelte di Milazzo sembrano tutte improntate alla sintesi; come se le indicazioni di Manfredi venissero trovate ridondanti. In realtà non vengono eluse, per niente: solo dilazionate. Si veda ad esempio come viene disegnato il vestito di Wu Pei che veniva descritto nella vignetta 1 di tavola 4: con buona pace dellaccurato riferimento visivo, la bianchezza dellabito non passa nel disegno di Milazzo, e il lucore viene dato dallo stoppino acceso, semplice spruzzo bianco su sfondo nero. Eppure, anche solo dal nero della silhouette, tutta leleganza dellabito della fanciulla viene comunicata lo stesso. Sembra come per magia. Del resto perchè fornire già ora particolari che la vignetta 3 di tavola 6, qui riprodotta, riporta in piena luce? A smentirci, subito un esempio completamente diverso, quello dello scontro tra Wu Sung e il soldato Wilson (cfr. sceneggiatura e immagini qui sotto): le precise indicazioni di Manfredi, preoccupate di non esagerare con lesibizione di abilità nelle arti marziali del cinese, vengono rispettate alla lettera, con misura perfetta e senza davvero eccedere in stonati particolari di gratuita spettacolarità. E comunque, ancora una volta è leconomia, che sorprende e incanta nel disegno di Milazzo: questa straordinaria capacità di esprimere tutto quello che cè da esprimere con pochissimi tratti, e niente in più.
E questo vale anche quando, come in questo caso, sembra quasi che Milazzo si limiti a fare il suo lavoro, nel senso che risulta forse meno coinvolto, anche emotivamente, nella realizzazione della storia; cè un che di freddo, in questa prova del maestro ligure, come forse anche nelle precedenti per Magico Vento, ma con tutto ciò, lesito è un disegno che parla, che racconta, che dice tutto quello che cè da dire, e lo fa senza strafare.
Lalternarsi di pieno e vuoto, di bianco e nero, di staticità e movimento, è costruito in maniera simmetrica, matematica, perfetta. E leggendo la sceneggiatura di Manfredi a questa vignetta, ci si accorge come non dovesse essere facile, per un disegnatore, inserire tutti gli elementi richiesti. Eppure Milazzo, al di là delle precise indicazioni, coglie lo spirito, di quella vignetta, e lo esprime alla sua maniera, perfetta. Certo, fatica faranno le nuove generazioni a cogliere il
valore di questo tratto così poco spettacolare; fatica faranno a
cogliere la bellezza di questo disegno non siliconato, di questo disegno
intelligente e intellettuale, di questo disegno che sa parlare. Ma anche se
Milazzo è un piacere per pochi, quei pochi non recedono, anche quando,
come qui, il maestro rinuncia ai toni forti (in sceneggiatura, Manfredi
descriveva le condizioni dei cinesi molto più crudamente di quanto poi
siano state disegnate), e offre una prova più tecnica che artistica.
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