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Martin ha perso la sua ironia ed è in totale balia della verbosità del suo
creatore.
Quando Martin Mystère rimane a guardare |
Il maggior numero di pagine permette a Alfredo Castelli di
distendere meglio una storia: può capitare però che ne risenta il ritmo
e quello de "La tredicesima fatica" è blando, per usare un
"blando" eufemismo, e il lettore è accompagnato senza traumi (né
entusiasmi…) da una scrittura pesante, lenta e farraginosa verso un
finale persino troppo affrettato ma “atono” come il resto della storia. Iniziamo proprio dal finale, analizziamolo nello specifico. Il colpevole “annunciato” per gli omicidi è l' Uomo Pesce, senza grandi sorprese, tranne forse il fatto che il racconto dell'Uomo in Nero a Mystère si mostri tanto esatto. Ancora una volta Martin è salvato all'ultimo momento da un Java che, per il resto della storia, quasi non compare, quasi fosse soltanto un pezzo dell'arredamento di casa Mystère. E' un espediente già usato nel n.268, ma qui ha un sapore particolarmente meccanico: per meccanico intendiamo "senza cuore", freddissimo, anche noioso.
Lo spazio della narrazione è eccentrico a Martin Mystère e diventa sempre di più un espediente per raccontare storie capitate ad altri. Il BVZM, “materialmente”, fa poco o nulla e, senza la consueta ironia, sembra un'ombra in balia della prodigiosa verbosità di Castelli. La storia non ingrana: molte comparse (appena abbozzate) affollano la Parigi del 1795 e quella del 1847, ma il racconto non sembra per questo più vivo, e forse Castelli si accorge che la storia ha poca anima e ci invita, attraverso Martin, a compiangere la povera Creatura Pesce, la cui vita è stata una disgrazia per se stessa e per i Merovingi: ultimissime vignette. Forse sarebbe stato più interessante osservare François Vidocq e l'Uomo con la benda in scena per più tempo, essendo il presente (Mystère) non altro che un trait d'union tra aneddotica e commemorazione, spunti magari solo accennati di "movimento": cioè si parla e si parla, i personaggi magari si presentano ma tutto rimane molto statico. ”La tredicesima fatica” è una falsa "caccia al ladro": dove il colpevole è presentato già pronto, risultato delle lunghe digressioni dell'autore: oltre 60 pagine di spiegazioni fumettistiche e di ricostruzione storica, seppure funestata da gravi errori (li trovate nella scheda), insoliti per la puntigliosità di Castelli, che contribuiscono non poco al voto minimo attribuito alla sceneggiatura. Daniele Caluri, all’esordio sulle pagine della serie regolare di Martin Mystère, svolge nel complesso un buon lavoro, anche se qualche illustrazione, specialmente nelle tavole iniziali, tradisce la sua inesperienza. Bella la caratterizzazione del "fantasma del Louvre"; e Martin Mystère è, giustamente ;-), pieno di “rughe di espressione” che lo rendono (perdonate il gioco di parole) più espressivo. In conclusione, un albo che non invita a una rilettura, e che è persino stancante alla prima lettura. Aspettiamo fiduciosi che la nuova formula bimestrale dia migliori prove di sé. |
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