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" Jerry è sparito"


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recensione di Francesco Manetti



TESTI
Sog. e Sce. Giancarlo Berardi    

La pubblicazione di Julia sta offrendo, da qualche mese a questa parte, ampi spunti di discussione sia per gli "orfani" di Ken Parker (o, più in generale, per chi ha apprezzato ogni fumetto sia stato scritto da Berardi, dai primi anni '70 ad oggi), sia per tutti gli altri lettori bonelliani che siano stati attirati dall'enorme battage pubblicitario messo in atto dalla SBE tramite varie edizioni del Giornale di Bonelli e tramite le quarte di copertina delle altre serie della casa editrice.

Per i "kenparkeriani", il dibattito verte perlopiù sulle differenze fra la serie consacrata a Lungo Fucile e quella dedicata a Julia. In particolare, si assiste a un rimpianto per l'atipicità degli albi di Ken, dato che a essa viene a contrapporsi, negli albi di Julia, un adeguamento a rigidi schemi prefissati.

"ogni numero di Ken Parker poteva portare qualcosa di diverso rispetto ai precedenti..."
   
Ogni numero di Ken Parker poteva portare a un mutamento radicale dell'universo in cui si muoveva il personaggio o rappresentare comunque qualcosa di inedito rispetto agli albi precedenti, sia dal punto di vista delle tematiche trattate, sia dal punto di vista stilistico (si pensi a "Adah" KP 46, vero e proprio romanzo a fumetti, o a "Boston" KP 54, inaspettata e "folle" parodia del racconto poliziesco). Julia, al contrario, rappresenta, per molti aspetti, un tentativo di avvicinamento al lettore tipicamente "bonelliano", ovvero a quel lettore abituato al ricorrere, di albo in albo, dei medesimi topoi narrativi (Tex che pesta allegramente il pesce piccolo per farlo cantare...), di certi leit-motiv (le sbornie di Mister No e i suoi calci al piper per farlo partire, Dylan Dog che si porta a letto la cliente di turno...), delle solite esclamazioni (dal "caramba y carambita" di Cico al recentissimo "cribbio" ;-) di Jonathan Steele...) e abituato alla presenza, in ogni caso, di determinate caratteristiche (in primo luogo, il fatto che al protagonista sia quasi sempre affiancata una "spalla").

Berardi, giustamente stanco di non aver mai avuto un grande successo di pubblico pur venendo stimato, in ambito internazionale, come uno dei più grandi autori di fumetti, ha dunque deciso di inserire nella sua nuova serie un personaggio come quello della bisbetica Emily (classica spalla sdrammatizzante), di dare a Julia un'auto insolita e ben riconoscibile (come il maggiolino di Dylan e la Ferrari del primo Martin Mystère), di presentare in quasi ogni numero un battibecco fra Julia e Webb (col pacioso Irving che se la ride), un incubo di Julia, qualche pagina del suo diario e una parte di una sua lezione universitaria, le avances di Leo nei confronti di una potenziale informatrice, un faccia a faccia finale fra Julia e l'antagonista (o, più semplicemente: il colpevole) di turno... Tutte cose che suonano come inaspettati compromessi con i gusti del "grande pubblico" per coloro che, ripeto, hanno amato l'imprevedibilità delle ambientazioni, delle tematiche e degli stili che si potevano trovare nella serie di Ken. ...Per non parlare, poi, della scelta di dare a Julia, nella copertina del primo numero, un aspetto ben diverso rispetto a quello che avremmo trovato all'interno dell'albo; o della scelta di affidare i disegni del secondo numero a un nome ben noto agli acquirenti della più venduta fra le serie bonelliane, giusto per attirare ancor meglio la loro attenzione...

Lasciando da parte i lamenti dei nostalgici di Ken, si dovrà però tener conto del fatto che neppure il lettore privo di pregiudizi (ovvero quel lettore che, incurante del nome dello sceneggiatore, si è avvicinato a Julia per semplice curiosità nei confronti di una nuova serie) sembra in definitiva molto soddisfatto. Se si guarda alle storie, si constaterà che nella maggior parte dei casi esse sono dei "gialli" assolutamente banali, prevedibili, al limite del soporifero: niente di nuovo rispetto a tutto quello che letteratura, cinema e altri fumetti ci hanno offerto e continuano a offrirci in dosi massicce per quel che riguarda questo "genere". Se si guarda alla protagonista, si dovrà ammettere che Julia - così introversa, così chiusa a riccio in se stessa sino a diventare, a contatto con gli altri, rigida, eccessivamente autocontrollata, estremamente formale - non può che risultare "antipatica", persino indisponente con la sua aria da maestrina repressa che non riesce a concedersi mai (se non, forse, con Leo) una risata veramente goduta.

Così come il kenparkerofilo in cerca di una narrazione complessa, ricca di spunti e tematiche, e di una galleria di personaggi in divenire finirà forse col preferire la lettura degli albi di Magico Vento a quella di Julia, così il più tradizionalista dei lettori bonelliani finirà forse col non capire perché la serie di Berardi debba essere così strombazzata sulle pagine del Giornale di Bonelli e perché essa abbia il privilegio di una veste editoriale migliore rispetto alle altre serie della SBE, quando magari la lettura un meno pretenzioso Nick Raider (serie che è sempre stata un po' la Cenerentola di casa Bonelli) può dargli un piacere pressoché equivalente.

Di fatto, i numeri di Julia usciti sinora sono un po' troppo pochi per esprimere un giudizio definitivo; del resto, anche Magico Vento è diventato una serie accattivante solo a partire dal n.12 ("Cielo di piombo"), così come anche Napoleone ha iniziato a vivere una inaspettata maturità a partire dal sodalizio fra Ambrosini e Bacilieri (cfr. "La lucertola e il serpente" NP 9). Quand'anche i peggiori timori sulla serie dovessero venir confermati nel giro dei prossimi mesi, mi pare comunque ovvio pensare che perlomeno i numeri sceneggiati da Berardi in persona, da Maurizio Mantero e, suppongo, da Gino D'Antonio si manterranno su dei livelli più che discreti.

Questo stesso "Jerry è sparito", del resto, rappresenta abbastanza bene sia i difetti che i pregi della serie.

"Questo numero evidenzia bene sia i pregi che i difetti di questa serie"
   

Il soggetto non brilla per originalità ("originalità" che del resto Berardi non cerca affatto, dato che per lui non può esistere - cfr. una sua affermazione contenuta nella Posta di questo stesso numero -). A conti fatti, "Jerry è sparito" è un mediocre giallo, con una indagine rivolta verso dei sospetti talmente improbabili da farci indovinare quasi subito che il colpevole è il personaggio apparentemente più insospettabile. Come si fa, infatti, a sospettare che a rapire il figlio di Susan possano essere stati Lou Barry o Gallant o Bonnard? I loro moventi non legati al denaro sarebbero troppo fragili, per non dire inconsistenti (e infatti neppure vengono presi in considerazione da Julia). Mentre per quel che riguarda la richiesta di un riscatto in denaro, come si può credere, sapendo come vive Susan, che i suoi genitori siano così ricchi da poterlo pagare? E in ogni caso, sapendo che Susan ha rotto da anni con la propria famiglia, perché si dovrebbe pensare che i suoi genitori dovrebbero essere disposti a pagare un riscatto per un nipote che neppure hanno mai conosciuto?

Il soggetto poco convincente è però riscattato dalla concezione del bel personaggio di Susan; una ragazza fragile, dalla personalità confusa, la cui vita squallida (così spietatamente descritta da Julia nelle ultime pagine) non può che mettere addosso al lettore una tristezza infinita. E' lei, a mio parere, il vero centro di interesse dell'albo. E' la scoperta, passo dopo passo, della sua personalità, dei suoi segreti, dei suoi pensieri, delle sue pulsioni contraddittorie a costituire infatti, per certi versi, il vero giallo...

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Susan, la madre di Jerry
di Soldi (c)1999 SBE

   
 

Altri personaggi, invece, non hanno mordente. Fastidiosamente stereotipati, anzi, sia Leslie Tomsich, l'ex-marito manesco, che Roy Gallant, il parrucchiere effemminato... Fatte queste due eccezioni, Berardi, peraltro, si mostra come sempre abilissimo nel caratterizzare in maniera penetrante, nel rendere psicologicamente credibile, tramite i dialoghi, anche il più transitorio dei propri personaggi (cfr. la signora Liddel, alle pag.83-85), se non addirittura dei personaggi che neppure vediamo (mi riferisco ai genitori del bambino che Julia incontra per le scale, alle pag.49-51 e 125).

Per quel che riguarda la caratterizzazione di Julia e degli altri comprimari fissi della serie si hanno invece luci ed ombre. Per una Emily che continua a ripetere le sue già logore battute contro l'uomo bianco (pag.93), abbiamo infatti un Webb còlto in un inedito e spassoso scorcio della sua vita da single (pag.123-124). E se Julia e lo stesso Webb continuano a battibeccare ad ogni momento, è anche vero che il loro dialogo alle pag.64-67 riesce ad esplicitare in maniera davvero godibile il tentativo dei due personaggi di spingersi l'un l'altro a scoprire per primo le carte in campo sentimentale.

Più complesso il discorso da fare su Julia stessa. Andando a rileggere "Gli occhi dell'abisso" JU 1, si noterà come Berardi si fosse non solo preoccupato innanzitutto di delineare al meglio la personalità della protagonista (così come poi sarebbe stato fatto, ne "La mente del mostro" JU 3, con Myrna), ma avesse anche scelto di disseminare una notevole quantità di allusioni al passato (sia remoto che recente) di Julia, in modo da suggerire l'idea di chissà quali imminenti sviluppi nei numeri successivi.

Di fatto, dopo questi primi numeri Julia è come cristallizzata nel ruolo, come dicevo in apertura, della persona dotata di una notevole sensibilità (se non di una iper-sensibilità) che però, posta a contatto col mondo esterno, si trincera dietro un'immagine fredda, professionale, apparentemente imperturbabile, impenetrabile... Alle riflessioni intime affidate al proprio diario e alle battute di spirito concesse unicamente a Leo (es: la battuta della seconda vignetta di pag.59) continua ad alternarsi l'estrema rigidità nei confronti di tutti coloro che Julia avvicina nel corso delle proprie indagini (cfr. i dialoghi con Lou Barry, in particolare pag.80, con la madre di Susan e con Susan stessa nelle ultimissime pagine dell'albo).

Ancora una volta Julia ha un incubo (pag.42-46) che rende ormai sempre più chiara la presenza, in lei, di oscuri sensi di colpa e/o di traumi non risolti. Non viene però fornito nessun elemento aggiuntivo rispetto a quanto già detto nei numeri precedenti (ad esempio, non si ha nessuno sviluppo per quel che riguarda il rapporto di Julia con sua sorella).

Sempre per quel che riguarda le caratteristiche di Julia, colpisce un po' la sua infallibilità nel tracciare profili psicologici sulla base di scarse informazioni, per non parlare delle sua capacità di dedurre - e, soprattutto, di poter affermare con assoluta certezza - che Susan era stata violentata dal patrigno (pag.113-116). Una bella differenza, anche in questo caso, rispetto a Ken, il quale, malgrado le sue buone intenzioni, spesso sfiorava appena la verità, dimostrandosi fallibile quanto tutti noi...



DISEGNI
Marco Soldi    

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Il bambino sulle scale
di Soldi (c)1999 SBE

   
 

Campo dolente, quello dei disegni. Dopo aver lavorato per anni, da Tiki in poi, fianco a fianco con Ivo Milazzo, è inevitabile che Berardi faccia un po' fatica a trovare nuovi disegnatori che sappiano valorizzare al meglio, così come era capace di fare, appunto, Milazzo, le peculiarità delle sue sceneggiature.

Vannini, autore del primo numero, ha senz'altro dimostrato di avere qualità che mai sarei stato capace di sospettare in lui soltanto un anno fa (cfr. la mia recensione a "Faccia di rame" KP sp4), ma ancora non può essere considerato un disegnatore di primo livello. Roi, autore del secondo numero, è rimasto una presenza estranea allo spirito della serie (cfr. la recensione a "Oggetto d'amore"). Trigo, già dimenticabile autore del primo numero di Nick Raider, ha rischiato di rovinare la bella sceneggiatura di "Nella mente del mostro" JU 3. Dall'Agnol ("Diluvio di fuoco" JU 4) ha cambiato radicalmente il suo stile e ancora non si capisce bene dove vuole andare a parare. Laura Zuccheri ("I sequestrati" JU 5) ha talento, ma deve ancora affrancarsi del tutto dai suoi punti di riferimento.

Personalmente, viste anche le sue splendide copertine, riponevo buone speranze in Marco Soldi. Queste mie speranze non sono andate deluse. Il suo tratto (sensibilmente diverso rispetto da quello utilizzato qualche anno fa per "Oltre la morte" DD 88) è scarno, essenziale, agile, scorrevole. Non tutto è perfetto (cfr, ad esempio, il volto di Julia nella penultima vignetta di pag.36), ma nel complesso direi che i suoi disegni sono i più validi fra quelli visti sinora nella serie.

In particolare, Soldi riesce là dove è importante che un disegnatore che si trova a concretizzare una sceneggiatura di Berardi non fallisca, ovvero nella rappresentazione dei volti e, in particolar modo, nella capacità di "far recitare" i personaggi. Esemplari, a questo proposito, il volto del bambino che Julia incontra per le scale (prima vignetta di pag.50), le espressioni della signora Liddel (che, detto fra parentesi, sembra uscire dalla Far Side Gallery di Gary Larson), molti primi piani di Susan... Julia, dal canto suo, è carina quanto basta :-).

Ben resi anche gli interni in cui abitano i vari personaggi. E' anche questa una caratteristica importante, dato che le scelte relative all'arredamento di un appartamento rispecchiano inevitabilmente la personalità di chi vi abita. A questo proposito, si guardino l'ultima vignetta di pag.52 (l'abitazione di Susan), la terza di pag.84 (l'abitazione della signora Liddel), l'ultima vignetta di pag.123 (l'abitazione di Alan Webb).



GLOBALE
 

Fra le luci e le ombre, fra gli alti e i bassi, fra gli ottimi risultati e i momenti di stallo che si possono rilevare in questi primi mesi di vita editoriale della nuova serie di Berardi, "Jerry è sparito" rappresenta, complessivamente (ovvero: sia dal punto di vista dei testi che dei disegni), uno degli albi migliori.

Mi limito a togliere qualche punto al globale per la copertina non particolarmente accattivante (contrariamente al solito) e per i difetti del soggetto ai quali ho accennato.

 

 


 
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