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Senza parole

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Un’attrice sul viale del tramonto riceve lettere di minaccia da un fan impazzito, ma Julia é incredula, pensa a una montatura per tornare in auge... Eppure la diva viene trovata morta assassinata nella vasca da bagno... Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino...!

Luogo comune mezzo gaudio
recensione di Giuseppe Pelosi



TESTI
Sog. e Sce. Giancarlo Berardi,
Giuseppe De Nardo e Maurizio Mantero
   

Per un punto, Martin perse la cappa... E per un’ombra il colpevole si fa acchiappare. Che pollo. Del resto si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi...

Julia coltiva le sue orchidee e sorseggia la sua birra, fa lavorare le celluline grigie, lancia la sfida al lettore più o meno a pagina 64, e risolve tutto con un: “elementare, Webb, elementare!”. Pur non essendo Nero Wolfe, né Poirot o Ellery Queen, né tantomeno Sherlock Holmes, la nostra criminologa usa ugualmente i più tipici luoghi comuni del genere giallo, e ancora una volta non ci sorprende per originalità di elementi narrativi: la lettera minatoria all’attrice che sta per essere dimenticata; l’ora dell’omicidio cammuffata tramite un condizionatore d’aria; il colpevole tradito dalla luce di una fotografia... Persino il fotografo pasticcione non è un personaggio così inconsueto, e individuare il colpevole è un gioco che riesce facile al lettore abituale di Julia. Del resto, a buon intenditore bastano poche parole, mentre qui gli indizi sono sparsi in maniera assolutamente insistita: le allusioni al condizionatore d’aria, che si rivelerà un elemento importante per scoprire il tutto, sono evidenti già dalle prime pagine, e anche tutto il rilievo dato al fotografo fa capire che non si tratta di un semplice comprimario... E poi il fotografo mente, e le bugie hanno le gambe corte.

"Ancora una volta Berardi risulta più attento agli elementi di contorno che al giallo in se stesso"    

Eppure, nonostante il soggetto non presenti elementi di sorpresa, l’episodio risulta leggibilissimo, dato che non tutto è oro, quel che luccica... Ancora una volta Berardi risulta più attento agli elementi di contorno, ai personaggi secondari, alle atmosfere, piuttosto che al giallo in se stesso. Molto spazio viene appunto dato agli interrogatori che Julia e Webb effettuano ai comprimari: appare così l’amante da palestra, l’agente furbetto, il produttore porcello, per non parlare della sorella che fatica al ristorante o della cameriera affezionata.

Lo stereotipo e il luogo comune dominano, ma non spazientiscono il lettore, che se li gode proprio perché li conosce e li riconosce, proprio perché tranquillizzato e appagato da quest’atmosfera classica e tipica, dalla riconoscibilità del genere. Quando non si può raccontare una storia nuova, bisogna almeno raccontare bene quella che si sa. Pasticciere, fai il tuo mestiere...

"Ogni numero di Julia è, se non altro, un manuale su come si scrive un fumetto"    

E la sceneggiatura questo lavoro lo esegue al solito con cura e precisione: ogni numero di Julia è, se non altro, un manuale su come si scrive un fumetto; mai, nei ventuno numeri della collana, Berardi è parso non sapere come gestire le pagine in più che la sua testata ha rispetto agli altri albi bonelliani; mai la trama è risultata diluita da scene meno che necessarie o meno che funzionali ad un certo tipo di narrazione, a volte intimista, a volte lenta, magari a volte anche fredda, ma mai banale.

Qui la sceneggiatura ci presenta un inserto iniziale, la strage al Blue Parrot, che può parere assolutamente inessenziale, e invece, oltre a essere narrata alla grande, ha il preciso scopo di introdurre la figura del fotografo Alvin Bloom; poi c’è Shona Laszlo che denuncia le lettere anonime, a cui Julia non crede (e infatti risulteranno scritte dall’attrice stessa), e poi c’è subito il ritrovamento del cadavere. Il resto è interrogatorio di personaggi ben descritti, molto caratterizzati, dal produttore alla cameriera e via così; il tutto è inframmezzato, ma con delicatezza ed equilibrio, da una gag del tenente Webb, che parla al telefono con Julia appostato fuori dalla casa di lei (in amore vince chi fugge), o dall’immancabile incubo della criminologa (i sogni sono l’infinita ombra del vero), o da Emily che odiosamente svela il finale di un film a Julia (un bel tacer non fu mai scritto), o dall’ennesima litigata tra il tenente e la criminologa (l’amore non è bello se non è litigarello...), per non parlare del finale che rivede per l’ennesima volta Julia davanti al colpevole, pistola puntata, a convincere l’assassino a consegnarsi alla polizia tutta da sola (chi fa da se fa per tre).

E, al solito, delle sceneggiature di Berardi quello che piace di più è proprio la sua capacità di usare il medium, di fondere immagini e testo, di realizzare cinema di carta. Con Berardi, una delle parole che più vanno di moda ultimamente, e di cui più spesso si abusa, diviene sacrosanta: sinergia, sinergia di parole e immagini. Conseguentemente, ben venga il luogo comune, per chi legge con attenzione ai meccanismi della narrazione per immagini sarà comunque un mezzo gaudio..



DISEGNI
Giancarlo Caracuzzo    

Ci sono fumetti seriali, per rimanere in ambito Bonelli, che risultano ambientati in contesti estremamente interessanti, per un disegnatore: il lontano West, le foreste o le paludi di qualche stato americano del sud, la giungla amazzonica, il medioevo prossimo venturo, il futuro, sono indubbiamente luoghi che stimolano la fantasia visiva, che permettono al disegnatore anche qualche virtuosismo, qualche invenzione, che permettono in definitiva di spettacolarizzare il proprio disegno; ecco, Julia no. Anche nell’ambientazione Julia resta quanto di più comune e quotidiano ci possa essere. Appigli alla visionarietà, zero, se si esclude qualche incubo una volta ogni tanto... Tanto più difficile, dunque, colpire il lettore con il proprio tratto: al disegnatore resta “solo” la gamma delle espressioni, la “recitazione” dei personaggi, e magari qualche scena di movimento. Ci vuole anche una certa umiltà, dato che in situazioni narrative di questo genere risulta fondamentale che il disegnatore sia completamente al servizio della storia, si attenga scrupolosamente alle indicazioni dello sceneggiatore e “inventi” poco o nulla.

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Come un film al rallentatore. Disegni di Caracuzzo (c) 2000 SBE

Date queste premesse, la prova di Giancarlo Caracuzzo appare degnissima: il meglio viene dato nelle espressioni del volto, dove la gamma è estremamente ampia, ma anche le scene di movimento sono mirabili, come dimostra l’esempio qui riportato: un dettaglio, la pistola che viene estratta, un movimento, segnato dal busto girato rispetto alle gambe nonché dalla riuscita espressione del volto, e dalle belle espressioni degli astanti, “gelati” in uno sguardo di sorpresa e paura, un controcampo sul bersaglio, con improbabile ma efficace schizzo di sangue e segnalare che il colpo è andato a segno, e la caduta dalla sedia; quasi un ralenty. Sono le scene come questa che ci fanno dire che Julia è un manuale su come si realizza un fumetto.



GLOBALE
 

La copertina di Marco Soldi presenta i pregi e i “difetti” di sempre: inquadratura, luce, colore, sono bellissimi, ma si lamenta il fatto che Julia indossa un abbigliamento che poi non gli ritroviamo nella storia (di fronte al colpevole sarà in pantaloni), e soprattutto la scena raffigurata non fa parte della storia; del resto gli ammiccamenti al lettore in copertina sono comuni, e, sinceramente, con le edicole affollate da pubblicazioni, non ci sentiamo di rimproverare troppo scelte di questo genere.
 

 


 
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