Cinquecento di questi Alan!


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Il dilemma creativo: quali prospettive?

Se è vero che, in linea generale, un artista ripropone tutta la vita sostanzialmente la stessa opera, idea o messaggio sotto forme diverse, è anche vero che forse nel caso di Alan Ford quella che era nata come idea o serie di idee geniali aveva finito per diventare una gabbia.

Solitamente un artista o un creatore che giunge alla fine di un ciclo creativo si trova davanti a tre scelte: continuare, smettere o cambiare.


La prima opzione: smettere

  • Smettere al momento giusto garantisce sicuramente l’ingresso nella leggenda, specialmente se le circostanze sono particolarmente drammatiche (vedi Jim Morrison o John Belushi), anche se tale requisito non è condizione imprescindibile (vedi i Beatles), e offre comunque la possibilità di un ritorno, una specie di bis a distanza di anni, come le cosiddette reunion di famose band, le quali si risolvono inevitabilmente e quasi unicamente in una malinconica e forse struggente kermesse commemorativa, il cui risultato principale è di confermare che i bei tempi sono andati e non torneranno più. Un episodio simile si ebbe a mio parere con Alan Ford n.200, Hic Hic Hurrà, che venne eccezionalmente disegnato da Magnus: un numero assolutamente non all’altezza dei primi 75, per i nostalgici dei primi tempi, ma dai toni grafici inequivocabili e indubbiamente celebrativo per il traguardo all’epoca raggiunto. Smettere, quindi, parrebbe essere la scelta ottimale, salvo ovviamente decretare la morte di una vena o di un’opera creativa e lasciare un triste velo d’amaro in bocca.
La seconda opzione: continuare
  • Se da un lato, ovviamente, quest'opzione tiene viva (o cerca di tenere viva) una vena creativa e non dà adito a rimpianti (almeno in teoria), comporta il rischio altissimo della ripetitività fastidiosa e della trasformazione di qualcosa nell’ombra di sé stessa, come un’ex star del cinema ormai ottantenne che esige ancora di interpretare il ruolo di tombeuse d’hommes. E questa era la strada che, in un certo senso, aveva imboccato Alan Ford. A conferma di quanto sto dicendo, la mia vicenda personale risulta emblematica nonché curiosamente sincronizzata con questa particolare fase "ripetitiva" della creazione di Max Bunker. Per motivi personali e di lavoro, infatti, rimasi lontano dal Bel Paese per circa un ventennio durante il quale cessai, giocoforza, di acquistare e leggere gli albi del mio fumetto preferito. Di ritorno in patria ripresi a frequentare l’edicola e ad acquistare gli episodi di Alan Ford che, come scoprii con piacere, veniva ancora pubblicato. La soglia del numero 400 era stata superata da poco ma, salvo allusioni a vicende quali il rimpatrio del Conte Oliver o lo snellimento dell’organico con l’eliminazione della folta schiera di animali che un tempo convivevano con i magnifici sette tra le mura del negozio di fiori tra la Quinta e la Sesta Strada, le storie non si erano molto trasformate.
La terza opzione: cambiare
  • A mio parere, quindi, la svolta che si ha nei numeri 427 La maledizione della luna verde mela, 428 Il presagio e 429 Un giorno nuovo è stata azzeccata e, nel complesso, ben studiata.

    Quando un artista "cambia", fa una grossa scommessa. Se la rottura con il passato è troppo radicale, snatura il lavoro fatto fin’allora e, sostanzialmente, ricomincia da zero. E se il cambiamento non è sufficientemente profondo, rischia di non cambiare. La virtù come sempre sta nel mezzo e, avviando il "nuovo corso", Max Bunker ha centrato l’obiettivo.

    Le vicende narrate nell’arco di quei tre numeri avrebbero (forse) potuto essere più interessanti o avvincenti. Mi si dirà, ed è assolutamente vero, che si fa prima a criticare che a fare. D’altro canto, se devo andare a gusto personale, la storia non risulta né particolarmente interessante, né particolarmente coinvolgente e forse l’elemento fantastico non si addice molto a quello che risulta un numero di importanza fondamentale nell’economia dell’intera serie. Sono tutte impressioni soggettive e mi si potrà anche dire che mai in Alan Ford il limite tra realtà e fantasia, ammissibile e inammissibile, plausibile e assurdo è stato particolarmente netto. Personalmente, e sottolineo quel personalmente, avrei fatto scomparire il gruppo nel corso di una missione con i piedi un po’ più per terra e la testa un po’ meno fra le nuvole. Ovvero, per entrare nel merito della vicenda, avrei lasciato perdere spiriti, vecchi tomi e lune verdi, e mi sarei dato a una vicenda più tagliata per un gruppo di agenti segreti. Tant’è. Il personaggio non è mio e non ho altra voce in capitolo se non quella di un lettore che esprime un’opinione personale. Se però lo scopo che si voleva raggiungere era quello di dare un colpo di spugna sul passato e ripartire da basi totalmente nuove, l’obiettivo è stato centrato completamente.

Il "nuovo" Alan Ford

Il "nuovo" Alan Ford vede un Gruppo TNT finalmente snellito e composto da Alan (che riprende il ruolo di protagonista o, se non altro, di coprotagonista), la sua bella compagna Minuette (finalmente una donna in quella che era stata una congrega di soli uomini, per di più poco fortunati con le rappresentanti del gentil sesso) e Clodoveo. Gli altri membri, che nel corso dei numeri successivi scopriamo essere in realtà scampati alla morte, si trovano finalmente liberi e "sdoganati", a condurre tutti una vita loro. Ciò non ne impedisce la comparsa o ricomparsa in questo o quell’episodio, da soli o nell’ambito di una vera e propria retrouvaille, ma quando questo avviene la vicenda si svolge finalmente fuori dagli schemi fossilizzati a cui li aveva finiti per costringere la precedente impostazione. Il Numero Uno, non più capo di un gruppo di agenti segreti, da ultimo si rivela palesemente (anche agli occhi di Alan, aggiungerei) per quello che è: un essere egoista, profittatore e vendicativo. Le sue apparizioni, più frequenti rispetto a quelle degli altri ex membri del gruppo, aggiungono il peperoncino necessario per rendere interessanti e attraenti le avventure.

Alan e Minuette
disegni di Dario Perucca

(c) Max Bunker Press

Alan e Minuette<br>disegni di Dario Perucca<br><i>(c) Max Bunker Press</i>
Che cosa sembra aver fatto Bunker? Sembra aver preso il vecchio puzzle che aveva ormai stufato tutti (autore compreso), ne ha separato i vari pezzi e li ha ridisposti in maniera diversa
In altre parole che cosa sembra aver fatto Bunker? Sembra aver preso il vecchio puzzle che aveva ormai stufato tutti (autore compreso), ne ha separato i vari pezzi e li ha ridisposti in maniera diversa. Non solo: li ha concepiti in modo tale da poterli mixare in modi sempre nuovi grazie a uno schema centrale più leggero, senza tuttavia perdere in continuità. Tutto sommato, infatti, le tessere del mosaico sono sempre le stesse: il Conte Oliver, che pure ricompare un albo sì e due no, il Numero Uno, Bob, la Cariatide, Geremia e tutti gli altri non sono cambiati.

Ecco quindi perché il nuovo Alan mi piace: è nuovo, più fresco, più arioso, più aggiornato, ma non ha perso pezzi per strada. Ci ritrovo gli stessi personaggi, con lo stesso carattere. Ci ritrovo le stesse gag alle quali ero abituato. E vi trovo la novità e varietà necessaria a mantenere il mio interesse a un livello sufficientemente elevato da spingermi a comprare il numero successivo. In altre parole, è vecchio e nuovo al tempo stesso e, soprattutto, non più ripetitivo.

Quale satira?

E così torniamo al punto di partenza. Se l’Alan degli inizi era figlio del suo tempo, così lo è l’Alan del 2000. Sfogliando i vecchi numeri di Linus degli Anni Settanta o Ottanta o le pagine di Frigidaire, sempre degli anni Ottanta, leggendo i fumetti di Andrea Pazienza, le strisce di Marc Reiser, B.C. o anche solo le raccolte di vignette di Forattini di quell’epoca, veniamo inevitabilmente proiettati verso un mondo che non c’è più. Chi ha vissuto quegli anni in prima persona, li trova godibilissimi, divertenti, emblematici. Nei cuori dei giovani d’oggi non fanno risuonare alcuna corda.

È fisiologico. Sarà così per i giovani d’oggi fra trenta o quarant’anni. Rimpiangeranno le partite a Pro Evolution Soccer guardando i propri rampolli morire dietro la nuova Playstation 8 con immagini olografiche tridimensionali in mezzo al pavimento della sala.

Tutto ciò è per dire che la nuova satira di Alan Ford non colpisce, né più può colpire, gli agenti segreti infallibili o le repubbliche delle banane, né può darsi alla satira della società. Gli agenti segreti ormai sono veramente fallibili o anche solo malvagi, le repubbliche delle banane si contano sulle punte delle dita e in questa società c’è ben poco da ridere.

Si potrebbe dire che forse il mondo è sceso a livelli non satireggiabili o che tutto il satireggiabile è già stato eviscerato dall’autore, in Alan Ford e, per quanto attiene la satira sociale, politica e di costume, in Maxmagnus (paurosamente attuale ancor oggi a decenni di distanza). Pertanto in Alan Ford, la satira ha lasciato il posto allo humor, alla gag, alla battuta. Alla battuta amara e mordace, a volte. E direi che forse è meglio così.

La realizzazione grafica di Perucca, restitutor patriae

Tutto ciò viene poi graficamente confezionato da Dario Perucca in un pacchetto decisamente gradevole. A chi mi chiede un parere in merito, io rispondo dicendo che Dario è un disegnatore onesto. Se è vero che Magnus è per molti versi davvero inarrivabile, Perucca è colui che (ad eccezione forse di Romanini) più di ogni altro ha saputo coglierne e riprenderne lo stile senza snaturarlo e con un grado di fedeltà encomiabile. Lo stile proprio di Perucca, che disegna gli altri personaggi di Bunker (come Beverly Kerr, Kerry Cross e Padre Kimberley o anche le avventure celebrative dei 45 anni di Kriminal e Satanik), è molto diverso da quello richiesto da Alan. Ciò nondimeno, la sua capacità di adattamento al disegno stile Alan (l’unico, in fondo, capace di comunicare l’essenza di questo fumetto sempre a metà fra il reale e il surreale, fra il serio e il faceto) è davvero notevole.

Dario Perucca


(c) degli aventi diritto

Dario Perucca<br><i>(c) degli aventi diritto</i>
Perucca, poi, sembra infaticabile, uno Stakhanov del disegno a fumetti. La continuità, grafica e produttiva, è sicuramente la sua caratteristica più interessante e quella che più lascia meglio sperare per il futuro, lungo o breve che sia. Come Magnus sa disegnare belle donnine e personaggi grotteschi, ma non del tutto improbabili. Forse rispetto al Divino il suo tratto è leggermente più rigido e meno plastico o dinamico. E ha forse peccato nel non aver ideato uno pseudonimo accattivante e nobilitante che lo proiettasse nell’Olimpo del fumetto. Dettagli trascurabili a fronte del merito indubitabile di aver recuperato Alan Ford dal disastro grafico in cui era finito, garantendogli una vecchiaia più che onorevole. Viste le infelici vicende passate, vien solo da ringraziarlo dal profondo del cuore e da augurarci che non molli più.


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