Anime alternative

quattro ipotesi di Dylan
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Dylan Dog Color Fest 10

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Anteprima

Nel grigiore e nella banalità della serie regolare di Dylan Dog, ormai a tal punto introiettati, l’uno e l’altra, da non esserci neppure accorti di aver smesso di leggerne gli albi, perché talmente vuoti da confondersi con una non lettura, diventa gradita fonte di piacere ritrovare Dylan Dog sulle pagine del Fest, appuntamento divenuto abituale. Ha qualcosa di ironico ritrovare un personaggio in un albo che ne racconta degli Altroquando :-).

Addio, Groucho

La storia di Alessandro Bilotta è, per più di un aspetto, la più interessante: fin qui nulla di sorprendente visto l’autore; tuttavia non convince del tutto. È vero, siamo in un Altroquando, come in tutte le altre storie dell'albo (e in un prequel della storia di Bilotta apparsa sul secondo Color Fest); però il Dylan delineato nel suo racconto è troppo fuori personaggio. È un Dylan più che sconfitto, vecchio nell'anima prima che nelle fattezze, sconfitto dalla vita, nella vita, a causa della vita: ciò che accadrà a Groucho non c’entra con questa sconfitta esistenziale. Un Dylan che dà un sentore di putrefazione, spirituale e fisica. In linea con una storia che narra i prodromi del disfacimento di ogni tessuto sociale e psicologico, un disordine che scardina perfino l'operare ordinante e ordinatore della Morte. Siamo in un Altroquando, si diceva: dunque ci sta?

Per me no, qui si va oltre l'Altroquando, si delinea un altro personaggio: Dylan Dog può avere toni cupi, può essere sconfitto, trovarsi in balia degli eventi; può perdere la bussola interiore. Però non può perdere quel basilare amore per la vita che è l'amalgama di tutte le sue sfaccettate dimensioni; quella risposta che è profondamente dentro di lui al richiamo della vita. Il Dylan di questa storia è morto dentro, definitivamente. Non è un Altroquando, è un racconto che sconfina dai limiti del personaggio: non li espande né ne esplora gli angoli inesplorati o nascosti. C'è una differenza tra un Altroquando dove agisce un personaggio seriale e uno dove il protagonista non lo è; nel primo caso il comportamento del personaggio non può comunque essere diverso dal proprio, e tanto meno il carattere: si tratta dei cardini entro i quali deve strutturarsi il rapporto tra il personaggio e la realtà altra. Il Dylan di Bilotta non struttura la storia; ne viene invece strutturato, come sarebbe giusto per un protagonista non seriale.
La storia di Alessandro Bilotta è, per più di un aspetto, la più interessante, tuttavia non convince del tutto.

È probabile che i disegni di Paolo Martinello, per altro così suggestivi e di grande effetto psicologico, tecnicamente molto belli, rafforzino non poco le sconnessioni negative tra il personaggio e il narrato: sembra quasi di vedere un Dylan disegnato da Riccardo Mannelli. E Mannelli è illustratore magistrale della laidezza che si annida nell’umano (è anche molto altro, ma qui è questo aspetto a connetterlo con i disegni della storia). Martinello risulta in questo modo perfetto nel raffigurare il mondo attorno a Dylan, ma rafforza l’impressione che Dylan sia completamente fuori schema. A latere, resta intatta l’abilità di scrittore di Bilotta, la sua capacità di affabulazione e la sua maestria nell’uso delle parole e delle emozioni suscitate attraverso di esse. Al di là della tecnica, uno scrittore nato, che riconferma tale qualità.

La banda maculata

La storia scritta da Antonio Serra per i disegni di Alessandro Bignamini appare la migliore dell’albo, la più riuscita anche tematicamente. A onta della sua leggerezza e dell’apparente semplicità e ordinarietà, è un meccanismo cesellato con magistrale abilità. Serra imbastisce un Altroquando perfettamente funzionante, che il finale rende compiuto, svelandone appieno tutta la raffinatezza, fin lì non completamente manifestatasi. In Serra è abituale il gioco dei rimandi e delle citazioni; ma qui, stante anche la brevità della storia, esso appare particolarmente ben riuscito e governato: nello spazio compresso delle poche pagine l’autore fa convivere molti aspetti narrativi diversi.
La storia scritta da Antonio Serra appare la migliore dell’albo, la più riuscita anche tematicamente.
Costruisce una storia come davvero l’avrebbe potuta scrivere un giovane Arthur Conan Doyle, o uno dei suoi colleghi dell’epoca: non è impossibile figurarsi il futuro inventore di Holmes che trae ispirazione e suggestioni dal lavoro del quasi contemporaneo Poe dei racconti di Dupin; vivendo per di più immerso in quel gusto per l’esotismo che si imponeva in letteratura. Serra crea così delle figure femminili credibilissime per un racconto dell’epoca; delinea un cattivo altrettanto in linea con la letteratura coeva; offre un mistero, un meccanismo e una soluzione plasmati sui gusti del tardo '800 e primo '900; e infine il Dylan Dog e il Groucho che cala nella narrazione vi appaiono ben inseriti; sono adattati al tipo di storia, ma senza perdere la propria pelle. Crea un Altroquando autosufficiente che racchiude l’Altroquando dylaniano senza smagliature, arricchendo il personaggio di una piccola sfaccettatura: è in questo a risultare davvero raffinato.

I disegni di Bignamini fanno emergere accuratamente l’atmosfera ottocentesca e vittoriana, sia nel fascino per l’esotico, al di sotto del quale serpeggiava la vitalità negata dell’erotismo, sia nella severità fredda, nel distacco emotivo esibito, che invece si vollero come cifra ufficiale e istituzionale dell’epoca.

I giorni oscuri

L’episodio scritto da Chiara Caccivio e disegnato dai fratelli Gianluca e Raul Cestaro appare invece debole. Non per il lavoro dei disegnatori, che è splendido e ricostruisce con minuzia e cura per il dettaglio l’Altroquando storico e psicologico delineato dall’autrice.
La storia di Chiara Caccivio appare debole e non riesce a liberarsi di un’atmosfera di scolastica correttezza, nella scrittura e nelle soluzioni narrative.
È però il racconto in sé a essere nel complesso scialbo e privo di attrattive; non perché Caccivio scriva male o vi siano falle evidenti nel suo racconto, né in verità perché la trama sia priva di spunti interessanti: a tratti vi si ritrovano le stesse suggestioni incontrate nella storia di Bilotta, lo stesso insistere su una realtà a tal punto collassante da aver smarrito anche l’effetto riequilibratore della morte (cioè dello sviluppo logico e consequenziale degli eventi in funzione del trascorrere del tempo lineare). La storia di Chiara Caccivio non riesce però a liberarsi di un’atmosfera di scolastica correttezza, nella scrittura e nelle soluzioni narrative. È un compito svolto con diligenza e qualche volo più alto: il rapporto di Dylan con l’amore è colto molto bene, con una cifra adolescenziale e un’instabilità di fondo che denotano l’attenzione e la sensibilità della sceneggiatrice; ma è un compito privo di genuina originalità: originalità intesa come impronta personale che si sappia conferire a quanto si narra. Mal sviluppato, anzi sì e no sfiorato, è invece il tema introdotto dal "mostro" che appare nell’orfanotrofio, e che uno Xabaras in versione salvifica allontana da Dylan: si tratta forse della Madre, e attraverso di essa del Femminile (con quella vagina che pare aprirsi per divorare/accogliere il Dylan bambino)? Forse l’autrice più che non voler approfondire non ha semplicemente potuto. Il tormentato rapporto figlio/genitore tra Dylan e Xabaras ricalca schemi fin troppo abusati e visti (meglio) in più di una occasione; sono venuti ormai a noia, e questa storia interviene senza appunto aggiungervi alcunché. Il tema portante del racconto risulta in tal modo scontato fino ad altrettanta noia. Le suggestioni grafiche infuse alla storia dai Cestaro ne innalzano però il tono, Fest(a) barocca per gli occhi e lo spirito.

Doppia identità

La vera sorpresa dell’albo è però rappresentata dalla storia di Giovanni Gualdoni. In origine, prima di abbandonarsi al "Gualdonismo", cioè a quella scrittura dove convergono insipidezza emotiva e narrativa complete, e spesso falle logiche (in)degne del peggior Nizzi, Gualdoni aveva scritto un paio di storie molto buone. Qui si ritrova parte di quella brillantezza perduta e che sperabilmente si vorrebbe ritrovare non solo nella sue storie a venire, ma in tutta la serie, della quale Gualdoni ha la curatela. La storia parte gualdoneggiando, poco aiutata dai disegni di un Luca Raimondo che pare un clone sfocato di Bruno Brindisi - ma che crescerà molto nel corso della storia arrivando a interpretarne la cifra fintamente dimessa; e procede di cliché adolescenzial-chiaverottesco in cliché adolescenzial-chiaverottesco.
La vera sorpresa dell’albo è rappresentata dalla storia di Giovanni Gualdoni.
L’adolescente infantile (qui è davvero attempato) e inconcludente; il padre dappoco, sessista e tirannico; la madre che vizia e rovina il carattere del figlio. Non manca l’amica stronza (e magari la facciamo anche un po’ peripatetica d’animo). Sembra in tutto e per tutto lo scenario per un’abituale gualdonata - o appunto di una storia di Claudio Chiaverotti. Ma, forse perché deve costruire un Altroquando e non un’ennesima risciacquatura di piatti per la serie regolare, a un certo punto Gualdoni fa deragliare il suo meccanismo abituale. Fino a una conclusione che non ha nulla di spettacolare o imprevedibile, e che in qualche modo è semplicemente funzionale a sciogliere il nodo del mescolarsi delle realtà e ricomporre il senso dell’Altroquando; ma che per il suo essere beffarda e dolente allo stesso tempo, fa assaporare un lampo di Sclavi, allontanando ogni sentore chiaverottiano.

Il meccanismo creato da Gualdoni riesce a deragliare in un qualcosa di differente dalla solita mancanza di pathos perché non è poi così difficile immaginare che, parlandone da essere umano reale, Dylan - e proprio il Dylan Dog di Sclavi - avrebbe potuto essere come il protagonista di questa storia. Se avesse avuto una famiglia come quella in cui Gualdoni inserisce il protagonista della storia, Dylan Dog avrebbe avuto, credibilmente, il suo destino. Gualdoni cala il Dylan sclaviano in un Altroquando che è un possibile spaccato di comunissima realtà e gli cuce addosso una biografia e una personalità che suonano credibili.

Dylan Dog Color Fest 10: Altroquando, di autori vari, 132 pagine a colori, Sergio Bonelli Editore, aprile 2013, € 5,20

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