Di progetti incerti e dintorni
humor o non humor, questo è il problema
Recensione di F.Sconza, T.Barone | | dylandog/
Dylan Dog Color Fest 4
Di progetti incerti e dintorni
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Scheda IT-DD-CF4a
- Manichini
valutazione (2,3,6) 52%
Scheda IT-DD-CF4b
- Situazione pesante, Una
valutazione (5,5,7) 80%
Scheda IT-DD-CF4c
- Morire dal ridere
valutazione (4,4,6) 67%
Scheda IT-DD-CF4d
- Lettera bianca, La
valutazione (5,6,4) 71%
Allegro ma non troppo
Il Dylan Dog Color Fest nacque tre anni or sono sotto i migliori auspici. Sperimentalismo fu la parola dordine. E liniziativa, seppur tardiva per un personaggio collaudato e famoso come Dylan Dog, era degna di nota. Esplosione di colori, si diceva. Ed esplosione di colori fu. Ma qualcosa non funzionò sin dallinizio. Qualcosa che rese la pubblicazione extra nientaltro che una replicazione di quella regolare, con i suoi pregi e i suoi difetti (soprattutto questi ultimi). A una volontà sperimentale ben visibile dal punto di vista grafico fece da contrappeso una narrativa pressoché invariata. Certo, nel corso degli anni si sono avvicendate storie poco riuscite o normali (anche di buona fattura, come Videokiller o La fiaba nera) ad alcune eccellenti varianti (Il pianeta dei morti). Mai però si è assistito a una convincente linea editoriale che connotasse con chiarezza dintenti la sua ragion dessere: la variante, la sperimentazione, si è limitata alliniziativa del singolo sceneggiatore. Ecco dunque arrivare un altro esperimento, il Color Fest Humor, reinterpretazione grottesca e spiritosa del mondo dellIndagatore dellIncubo, nonché primo numero "a tema" della collana. Ma, ancora una volta, incertezza e indecisione prevalgono. Lo humor è da intendersi soltanto per quanto concerne il comparto grafico, ma le storie sono "normali", persino drammatiche. Solo due autori, rispettivamente Faraci ed Enna, e con esiti diametralmente opposti, cercano di rintracciare lo spirito e il tema della pubblicazione; gli altri due, Bartoli e Gualdoni, procedono senza curarsene (questultimo forse ancor di più). E dunque ancora una volta si resta sostanzialmente a metà del guado, seppur con una differenza: questo Color Fest ci dice espressamente quale avrebbe dovuto essere il suo significato originario. Sperimentazione, appunto. Le nostre quattro storie sarebbero (state) in tema anche senza essere raccolte come altro rispetto al progetto tradizionale.Una frivola "musealizzazione"
Tiene a battesimo questo quarto Color Fest con la sua Manichini Tito Faraci, coadiuvato ai disegni da un Cavazzano molto brillante e vigoroso.La storia, che di primo acchito sembrerebbe calarsi letteralmente nello spirito del volume (complice anche l'impatto che disegni così disneyani certo suscitano nel lettore abituale), è fondamentalmente un esercizio di stile in cui si cerca di giocherellare con la psicologia del personaggio e con i meccanismi della narrazione dylandoghiana (tanto che le ultime pagine mostrano una classicissima conversazione di Bloch e Dylan in un pub). Per qualche tavola vengono sbeffeggiate la simpatica cialtroneria del personaggio, la sua facilità allinnamoramento e altre piccole manie (non ultima quella relativa allabbigliamento!), e però procedendo di cliché in cliché, senza creare unimpalcatura solida che sorregga la storia - le battute, singolarmente prese, potranno anche essere divertenti, ma la loro vita si esaurisce nello spazio di una-due vignette, troppo poco per creare una narrazione. Tuttavia lo sceneggiatore va ben presto a sostanziare la sua creatura con un accenno di trama, sia pur minimale. E come avveniva per la prima parte, anche l«espediente narrativo» rimarrà fine a se stesso: si sottolinea che si vuol far ironia anche sui meccanismi narrativi, e a questo ci si limita.
In sostanza, la storia di Faraci si configura come unepidermica rimasticazione dei luoghi comuni dylandoghiani priva di un vero spessore umoristico, che vira verso una comicità eccessivamente leggera, tanto da rendere alquanto vacua tutta loperazione, quasi un guscio vuoto. Pur ravvisandosi una tecnica scrittoria ineccepibile sotto il profilo formale, essa si dimostra insufficiente a reggere le trentadue pagine. Neppure trovate quali quella della ragazza svedese poco loquace o dellesistenza di una Londra popolata da manichini sottraggono la storia dalla frivolezza più impalpabile.
Dicevamo di Cavazzano. Vigoroso e brillante sì, ma anche accurato e caricaturalmente efficace. Oltre che esaltato da una colorazione rutilante e vivace che ne valorizza lespressività del tratto e lo slancio delle anatomie.
La prigione di carne
La seconda storia è opera di due esordienti di vaglia, di cui uno alla sua prima prova in assoluto con il personaggio: esordienti rispetto alla nostra serie, naturalmente, ché si tratta di due nomi ben noti al pubblico delle nuvole parlanti. E per la sua prima Bartoli sincentra su un tema particolarmente delicato quale quello dellaspetto fisico e dei problemi di (auto)accettazione a esso connessi. La mano dello sceneggiatore modella armoniosamente personaggi e psicologie sviluppando una trama dai toni delicati e di spessore, senza eccedere in gratuiti virtuosismi. Né tragga in inganno la semplicità del soggetto o persino la sua presunta prevedibilità: lautore riesce a imbastire una storia perfettamente calibrata per le trentadue pagine, nonché straordinariamente aderente al protagonista.Dylan Dog ingrassa a ritmi vertiginosi senza alcuna apparente spiegazione; tormentato da dubbi ossessivi innescati dalla paura per il mutamento del proprio corpo e dalleffetto che questo mutamento genera nellopinione altrui (emblematica la sequenza onirica delle pp. 48-51), egli trova sostegno e comprensione in Jenny, titolare di un negozio dabbigliamento. Con queste premesse, Bartoli delinea incisivamente la natura del disagio, mostrandone le sfaccettature; e agendo con cautela sul protagonista trasporta il lettore fino alla rivelazione finale. Una rivelazione che, per quanto non rinunci in toto alleffetto sorpresa e, in parte, a una manierata leziosità, mette in gioco sentimenti autentici, persino toccanti, che escludono la possibilità di una deriva retoricheggiante (significativa lultima tavola, in cui Dylan scrive nel suo diario, concludendo con sentita malinconia lintera vicenda). Mette conto sottolineare anche la disinvolta gestione di Groucho, che torna ad essere lassistente demenziale di sempre e in simbiosi narrativa con il suo capo. Senza cadute di stile o forzature di sorta.
Per parte sua, Carnevale esalta la storia mediante tonalità cupe e luci soffuse, delicate ma inquietanti, tendenti a evidenziare quei sentimenti che scorrono tra le pagine con naturalezza e vanno a comporre il mosaico di tutta loperazione. Lartista non ha difficoltà a rappresentare le diverse sfumature del racconto, cogliendone lo spirito fino a portarlo al suo compimento, finanche allesaltazione visiva (si veda a titolo desempio il primo piano del demone Samael a p. 64). Il registro prettamente grottesco consente al Nostro di rappresentare un Dylan e un Groucho fortemente espressivi, ben modellati nelle pose e nei movimenti. Il dinamismo vibrante del tratto restituisce allocchio tutti quei dettagli grafici che arricchiscono la scena, rendendola magneticamente suggestiva e completa.
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