Venti anni con Dylan Dog


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Scheda IT-DD-241-242

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Poi l’incubo divenne impegnato e perse il filo

Dopo il n.100, niente è più come prima, né il personaggio, né, soprattutto, l'autore.

Le vicende dell’uomo Sclavi (sposato, dimagrito, più disponibile verso i media) si riflettono sulla sua scrittura: scacciate le sue inquietudini, le razionalizza ed inizia a puntare dritto a temi più concreti e socialmente impegnati. Orrori più fisici e più terribili: la violenza oltranzista in nome di un ideale ("Finché morte non vi separi"), i reietti di fine millennio ("Il ritorno di Killex"), il razzismo più bieco ("Cattivi pensieri") o le donne maltrattate ("Verso un mondo lontano").

Cambia anche il modo di raccontare questi orrori, che diventa meno mediato, meno metaforico. Sclavi scrive direttamente il suo pensiero anziché suggerirlo armonicamente nella narrazione, caricandolo di una rabbia urlata senza filtri, prendendo posizione in prima persona con Dylan (n.140, pag.49: "Gli uomini che picchiano le mogli sono tra le persone che odio di più, che mi fanno più schifo! Sadici, vigliacchi...") oppure attraverso le tirate "politiche" che, per essere alleggerite, sono infilate in bocca anche ad una figura comica come Groucho (come nel n.125 sull’economia o nel n.129 con un parallelo tra Hitler e l’antiCristo).

Si accentuano, inoltre, le stranezze (alcuni finali sconclusionati, come quelli di "Apocalisse" o "Il cane infernale", o del tutto mancanti come ne "Il progetto"), i giochi di parole e le geniali invenzioni linguistiche. In ogni caso, mentre nelle mani altrui la serie resta semplicemente una serie popolare, nelle mani di Sclavi si conferma un lavoro d'Autore. Perché l'Autore si guarda intorno, nel mondo, e sbatte a fianco del suo alter ego gli spunti più disparati, da temi nobili a gag demenziali: abbandonata la "compattezza" narrativa (le virgolette sono d’obbligo) del primo periodo di Dylan Dog, Sclavi si lascia andare sempre più spesso a suggestioni multiple, sfilacciate, sempre disorientanti per il lettore, che non fa in tempo a ipotizzare uno sviluppo senza che la storia lo beffi con repentini cambi di rotta, in un susseguirsi di colpi di scena. Le svolte sono eccessive, spesso ridondanti e autocompiaciute, ma anche se ricorre sempre più spesso a collage di variazioni sui temi classici di Dylan Dog, Sclavi ha sempre qualcosa da dire, un suo pensiero che ci vuole fare arrivare più o meno direttamente (che si tratti delle perplessità sulla diffusione del telefonino o della "dannazione" del denaro).

La rabbia senza filtri
disegni di Bruno Brindisi, Dylan Dog n.125

(c) 1986-2006 Sergio Bonelli Editore

La rabbia senza filtri<br>disegni di Bruno Brindisi, Dylan Dog n.125<br><i>(c) 1986-2006 Sergio Bonelli Editore</i>

Sclavi si lascia andare a suggestioni multiple, sfilacciate, sempre disorientanti per il lettore
Un’altra transizione artistica dello Sclavi di questo periodo è l'accentuazione dell'elemento umoristico, leggero e ludico nei dialoghi, ora non più confinato a una figura deputata alla risata come Groucho, ma infilato nel parlare di quasi tutti i personaggi o nelle situazioni che questi vivono. Si pensi all’evoluzione nella rappresentazione della Morte: dalla sua seriosa e drammatica entrata in scena in "Attraverso lo specchio" alle imprecazioni che lancia in "Ghost Hotel" per avere incastrato la falce in una porta scorrevole.

L'evoluzione della Morte nella poetica di Sclavi
disegni di G.Casertano (Dylan Dog n.10) e B.Brindisi (Dylan Dog n.146)

(c) 1986-2006 Sergio Bonelli Editore

L'evoluzione della Morte nella poetica di Sclavi<br>disegni di G.Casertano (Dylan Dog n.10) e B.Brindisi (Dylan Dog n.146)<br><i>(c) 1986-2006 Sergio Bonelli Editore</i>

Con il progressivo distacco delle storie di Sclavi da Dylan Dog (non solo come quantità di storie, ma anche in termini di capacità di riformulare il personaggio o di congegnare trame diverse e nuove rispetto alle solite), sino alla loro totale scomparsa nel lustro 2001-2006, la testata evidenzia un progressivo sfocarsi e decolorarsi. Dylan Dog perde una cifra stilistica e ancor più ideale, un filo coerente - narrativo e di pensiero - che proponga una sintesi di un modo di essere e sentire, come è stato a cavallo degli anni ’80 e degli anni ’90, ed inizia a campare di rendita senza avere però più niente di innovativo.

Da un certo punto, Dylan Dog perde una cifra stilistica e ancor più ideale, un filo coerente - narrativo e di pensiero- che proponga una sintesi di un modo di essere e sentire
Con una serie così caratterizzata dallo stile del suo creatore e, allo stesso tempo, ingessata nei suoi elementi di base (oltre al trio di protagonisti, i comprimari, come la medium Trelkovski, Lord Wells o l’idiota Jenkins, si contano sulle dita di una mano e sono riferiti sempre a quelli creati da Sclavi) e senza la possibilità di imprimere svolte, gli altri autori che si sono affacciati alla testata hanno incontrato, inoltre, delle naturali difficoltà ad interpretarne lo spirito. Nelle mani degli autori chiamati ad alternarsi a Sclavi e, poi, a sostituirlo del tutto, la serie, da un certo punto in poi, si ritrova arroccata su uno stereotipo di avventura horroreggiante, con la ripetizione di temi e situazioni ormai stantie, tra una battuta di Groucho, il Mad Doctor di turno, l'idiozia di Jenkins e non richieste tirate retoriche, dove l’orrore e l’incubo del padre del personaggio finiscono per stemperarsi in horror di maniera, privi di suggestioni. Storie che non suscitano il senso dell’orrore, che non scavano nell’orrore quotidiano e mentale, non certo nel limitativo significato di corpi squartati o schizzi di sangue (che comunque, con il tempo, sono diventati molto meno presenti e rappresentati in tono minore rispetto ai primi anni della serie). Naturalmente ci sono eccezioni date dai guizzi personali degli autori che, tuttavia, hanno puro carattere incidentale.


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