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La musica del diavolo recensione di Giorgio Loi I miti della musica possono essere in debito con i vampiri? Possibile che i conservatori bacchettoni che negli anni cinquanta bollavano il rock 'n' roll come musica diabolica, deviante, corruttrice di anime, non avessero tutti i torti?
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Non si pu� dire che il soggetto di Boselli non sia originale: blues, rock e vampiri. Cattivante? Senza alcun dubbio. Riuscito? Non del tutto.
Il risultato � una storia che a tratti risulta difficile da seguire. Passato e presente si alternano di continuo, introducendo un numero crescente di temi e personaggi che solo alla fine trovano una corretta collocazione, non sempre spiegando tutto (vedi anche la scheda della storia). Occorrono diverse letture per cogliere appieno tutti i risvolti e, a onor del vero, bisogna dire che la sceneggiatura non presenta "buchi" (con un soggetto cos� complesso, non era facile). Anche i dialoghi sono di buon livello e tradiscono, in pi� di un passaggio, una profonda passione per la musica blues che Boselli evidentemente coltiva. L'azione non � travolgente ma non manca, ed � orchestrata con la consueta perizia dall'autore. La figura per noi pi� azzeccata � quella dello sceriffo Duquesne, tipico poliziotto del sud degli Stati Uniti: rozzo, violento e razzista ma, a quanto dicono i suoi uomini, anche molto in gamba; una figura ambigua e interessante che rester� tale per buona parte della storia. Restano le perplessit� per la figura di un vampiro che, fingendosi una divinit� ma praticando un'assai terrena attivit� criminale, cambi� per sempre il destino di colui che sarebbe stato ricordato come uno dei grandi chitarristi blues del Delta del Mississippi.
Dotti � dotato di uno stile realistico e particolareggiato capace di interpretare in modo soddisfacente questa doppia storia di musica e vampiri. Ottima sia la resa delle scene di pura azione sia di quelle pi� statiche e recitative. Le scene notturne sono forse quelle pi� riuscite e non mancano, nelle sequenze oniriche, alcune tavole a carboncino particolarmente suggestive.
L'espressivit� dei volti � discontinua, con alti e bassi, ma la recitazione dello sceriffo Duquesne � magnifica. Dotti usa numerosi angoli di ripresa, compreso in certi casi l'impiego del "grandangolare" (come nella prima vignetta di pag.89, n.16). Questo conferisce un buon ritmo alla narrazione, di taglio prettamente cinematografico, nonostante la presunta staticit� della cosiddetta "gabbia bonelliana".
Le copertine di Riboldi sono entrambe ben realizzate, bench� la prima sia sicuramente pi� spettacolare. Una volta di pi� si conferma il fatto che Riboldi � un bravo disegnatore ma che, per qualche motivo tuttora ignoto, non gli riesce di interpretare bene il viso di Harlan. Curioso il fatto che, bench� l'intera vicenda ruoti intorno a Robert Johnson, egli sia assente da entrambe le copertine, che mostrano invece un "focoso" Roger Sheldon e un "satanico" Baron Samedi (che nella storia fa solo una fuggevole comparsa).
Una buona storia che, seppur non priva di difetti, gli amanti della musica troveranno affascinante per l'originalit� del soggetto e l'architettura della sceneggiatura. Per questo aggiungiamo alcuni punti di merito alla votazione finale.
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