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Sog. e
Sce. Gianfranco Manfredi
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Di nuovo Manfredi sulle pagine di Dylan e di nuovo su di un albo fuori dalla serie regolare. Tema dell'albo, l'immortalità, raggiunta per mezzo di un cocktail a base di giandole pineali. Materia prima che, come è lecito attendersi, si ricava da un processo abbastanza truculento. Aggiungendo anche un ghoul medioevale, gli elementi per un lugubre DylanDog ci sono tutti.
I personaggi di cui Manfredi circonda il nostro sono molto vari; dalla interessante Lisa, studentessa di storia medioevale, al problematico ragazzone Walter, oltre al peperino Beth, poliziotto in gonnella, questi cooprotagonisti riescono a dare un minimo di spessore alla storia. A questi si aggiungono gli inquietanti protagonisti dei flashback mediovali, cattivissimi & diabolici.
Qualche clichè di troppo, certamente, ma oramai è un morbo diffuso; qualcuno direbbe "Non esistono più personaggi originali da Ulisse in poi".
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Qualche clichè di troppo, certamente, ma oramai è un morbo diffuso; qualcuno direbbe "Non esistono più personaggi originali da Ulisse in poi"..
Le parti della vicenda meglio costruite sono i già citati flashback e le uccisioni operate dell'estirpatore di ghiandole. Queste ultime colpiscono davvero per la loro efferatezza e per alcune scelte d'inquadratura davvero crude (pag. 186, il sangue del commesso che sporca le bottiglie di latte). E ce ne vuole per turbare un lettore dylaniato, "allenato" da oramai 15.000 pagine di omicidi in tutte le salse.
In definitiva una storia senza pause, ben costruita e con discreti personaggi.
  

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Maurizio Di Vincenzo
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Bella la prova di Maurizio Di Vincenzo, che non disattende le aspettative
nate dopo il suo primo lavoro, Hook l'implacabile (n.139).
Il rookie di casa Bonelli ha brillantemente superato il campo minato del formato A4 dal
DylanDog gigante, che pure in passato ha fatto vittime illustri. Infatti il 29x21 cm, doppio
in dimensioni rispetto al classico formato Bonelli, richiede, per evitare un fastidioso effetto sgranamento,
il doppio di definizione dei disegni. Il tratto spesso di Vincenzo aiuta a non perdere di qualità.
Dal punto di vista prettamente artistico, magistrale l'uso dei chiaroscuri che, soprattuto nei flashback medioevali,
donano dinamismo e atmosfera alle scene. Inoltre sempre consone alle occasioni le espressioni dei
personaggi.
  
Se non fosse per il finale troppo convenzionale, questa storia sarebbe un gioiellino. Così, però,
fa la figura del gigante dalla testolina minuscola. Perché sceneggiatura e disegni meritavano
ben altro plot.
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