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"Ghost Hotel"

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Darknight

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Non ci sono pi� le mezze stagioni. La mamma � sempre la mamma. Gli immigrati vengono qui e ci rubano il lavoro. Non ci sono pi� i Dylan Dog di una volta. I politici sono tutti ladri.
Se il Dylan Dog n.146 non vi serve per abbandonare almeno uno di questi luoghi comuni (indovinate quale), peste vi colga!

Spoon River Hotel
recensione di Paolo Ottolina



TESTI
Sog. e Sce. Tiziano Sclavi    

Tutte le ultime fatiche di Tiziano Sclavi non sono tipiche storie bonelliane. A fare i faciloni, sono strane. Al di l� dei pochi commenti letti in Rete, al di l� delle lettere che possono arrivare in Via Buonarroti, non ho sinceramente idea di come la gran massa del pubblico dylandoghiano possa reagire di fronte alle stranezze di Sclavi: i finali "insensati" (cfr. "Apocalisse" e "Il cane infernale"), i mille, stordenti, calambour dei dialoghi, i dettagli che non tornano nelle indagini di Dylan, i personaggi verbosissimi e per nulla verosimili. Ho come il sospetto che il pubblico pagante tenda e tender� a rifiutare questo tipo di storie come inqualificabili stranezze, a chiudere l'albo, a spegnere il cervello trincerandosi dietro un tranquillo "non ci ho capito niente!". A preferire l'ordinario tran tran degli onesti artigiani dei testi che si sbattono perch� la serie sforni le sue 21 storie annuali (12 regolari + 1 speciale + 1 albetto + 4 "giganti" + 3 "maxi"), manierando ancor di pi� lo Sclavi di maniera: gialli soprannaturali, con un pizzico di retorica, qualche bella figliola, quattro barzellette di Groucho, qualche novello Frankenstein che pasticcia con la scienza, l'autoironia di Bloch...

E' un diritto del pubblico pagante rifiutare le autorali svirgolate di un Autore. E' un peccato, per�, che molti ex-lettori di Dylan Dog continuino ad affermare che dopo il n.100 la serie ha offerto solo schifezze, amanti offesi e umiliati proprio da quell'anniversario che aspettavano forse con troppa ansia. Ed � quasi una bestemmia che molti ex-cultori del personaggio, monomaniaci al punto da citare a memorie le battute di Anna Never o da contare quante volte Wells pronuncia "anzichen�" nelle sue comparsate, oggi non riescano a cogliere la ricchezza delle nuove storie del nuovo Sclavi, e le rifiutino aprioristicamente.

Questo numero � la pi� riuscita e paradigmatica delle nuove storie di Sclavi    

Questo "Ghost Hotel" � la pi� riuscita e paradigmatica delle nuove storie sclavate. Un episodio dalla densit� di lettura spaventosa, un gioco all'accumulo forsennato, uno stuporificio che apre alla prima tavola e stacca la spina all'ultima. In mezzo, l'Autore ci infila il Diavolo, una giornalista d'assalto, fantasmi a gog�, andirivieni temporali, sesso, sangue e temi ad alto peso specifico. Probabilmente nemmeno Tiziano sa dove andr� a parare quando attacca a scrivere una nuova sceneggiatura per Dylan: mentre nelle mani altrui la serie � semplicemente una serie popolare, nelle sue mani diventa veramente un lavoro d'Autore. Perch� l'Autore si guarda intorno, nel mondo, e sbatte a fianco del suo alter ego le suggestioni e gli spunti pi� disparati, perfetto specchio della cultura postindustriale, in cui "alto" e "basso" si mescolano senza remore: dal creazionismo pre-socratico alla Settimana Enigmistica, da un tema nobile come la pena di morte a gag demenziali come la Morte che impiglia la falce in una finestra (e quanta differenza qui, dalla seriosa entrata in scena della Morte di "Attraverso lo Specchio", n.10: "[...] La Morte schifosa, la Morte lasciva! La Morte! La Morte! La Morte che arriva! [...]").

Il Limbus Hotel � la metafora del mondo, l'uomo alla reception � come l'Autore, testimone muto dell'andirivieni dei clienti di questa Terra. E' muto, ma si pu� affidare alla carta per raccontare la sua disillusione e la sua ricerca di quel "qualcosa" che d� senso all'esistenza ("[...] e so che aspetto invano, / l'inizio di qualcosa... / ...che forse � gi� finita"). E questo portinaio ha tempo di raccontarci una serie di storie di fantasmi: come tali storie malinconiche, crepuscolari, ma scevre di quel facile "pessimismo cosmico adolescenziale" su cui la serie ha troppo spesso fatto leva (e cos� altre serie, come ESP o Brendon). I personaggi sono tutti morti e come nello "Spoon River" di Edgar Lee Masters, vivono di rimpianti e di ricordi, ma al contempo esprimono i loro sentimenti col sereno distacco di chi � trapassato: "Scusate se vi ho disturbato", dice uno dei fantasmi e torna al suo limbo.

Dylan � un indagatore, e Sclavi non si pu� sottrarre alla prassi dell'indagine, ma lo fa a suo modo    

Dylan � un indagatore, e Sclavi non si pu� sottrarre alla prassi dell'indagine, ma lo fa da par suo: in una storia cos� marcatamente metaforica e ultraterrena, Sclavi bara sapendo di barare. Non c'� nulla da prendere sul serio nelle deduzioni di un Dylan che svela suicidi pi� che improbabili (suicidio con un foglio di carta???), o smaschera un serial killer annerendo puntini contro il muro. Il Limbus Hotel � un'allegoria, i personaggi sono finti (sono fantasmi), e anche le indagini di Dylan non esistono: come gi� nella geniale "Ombre Rosse" (MN n.105/107) anche questo racconto potrebbe essere archiviato come imaginary tale.

Il ritmo dei dialoghi � assolutamente straordinario: un gioco di intarsi meticolosissimo quanto forzato, in cui l'autore cesella ogni battuta in mondo che neanche uno dei possibili doppisensi vada sprecato (addirittura con l'uso di regionalismi: "pistola" � un epiteto tipicamente lombardo).

Per una volta il diavolo fa le pentole e anche i coperchi: il finale chiude il coperchio sul ribollente calderone cucinato fino a quel punto e dona una nuova luce e un'inaspettata compattezza alle microstorie narrate, eterogenee solo in apparenza.

E oltretutto ci aiuta a vergognarci per un attimo di appartenere alla razza umana.



DISEGNI
Bruno Brindisi    

(19k)
Il mefistofelico Darknight. Disegni di Brindisi
(c) 1998 SBE
   
 
Se Sclavi ha scelto di affidare tutte le ultime storie a pi� alto "peso specifico" degli ultimi anni (da "Finch� morte non ci separi" a "Lass� qualcuno ci chiama" a questo "Ghost Hotel") alla matita di Bruno Brindisi, un motivo ci sar�. E francamente non ci vuol molto a scoprirlo.

Il suo segno � pi� classico di quello di altri illustratori dylaniati, lontano dai neri tormentati di Corrado Roi, ma anche dai volti scavati di Giampiero Casertano. E' un segno meno inquietante, ma ugualmente perfetto nel rendere le atmosfere che la prosa di Sclavi richiede.

Merito della sua assoluta padronanza della figura umana e dell'espressivit� dei volti: mefistofelico e beffardo Darknight, sbruffona e sicura di s� la reporter Kowalsky, malinconici e rassegnati i suoi fantasmi, sereno e dolente l'ex-boia Crane.

Disegna bene i belli, disegna bene i brutti, disegna bene gli ambienti. E' bravissimo a non far soccombere la parte grafica sotto i testi soverchianti di Sclavi, � bravissimo a passare da chine coprenti a neri pi� smumati. E' bravissimo e basta. Ed � pure veloce.

Non lo gratifichiamo col massimo assoluto solo perch� ci aveva gi� abituato troppo bene. Fossero solo questi i difetti in casa Bonelli...



GLOBALE
 

Dylan Dog � una serie che ha sempre avuto molti volti, molte anime: basti pensare alla differenza abissale di tematiche e sensibilit� che corre tra gli episodi eletti dai lettori come loro totem. Dal pietismo non retorico di "Johnny Freak" alla poesia de "Il lungo addio", dal serial killer di "Memorie dall'invisibile" al metafumetto di "Morgana", e via dicendo.

La nuova vena creativa di Sclavi si pone in un solco ancora diverso. Se proprio dovessimo cercargli un "antenato" tra gli albi di antica data, allora io sceglierei "Dopo Mezzanotte": in quella storia, Sclavi inanellava una serie di personaggi sconclusionati e grotteschi e cacciava Dylan in un tunnel continuo di situazioni spiazzanti e sorprendenti, il tutto legato dalla solita, tipica di Sclavi, giocosit� dei dialoghi. Nelle "nuove" storie, abbandonata la compattezza narrativa che anche storie come quella possedevano (e che anche altre storie apparentemente folli come "Storia di nessuno" avevano), Sclavi si abbandona a suggestioni multiple, sfilacciate, sempre disonterianti per il lettore, che non fa in tempo a ipotizzare uno sviluppo senza che la storia lo beffi con una repentina svolta. Le svolte sono eccessive, spesso ridondanti e autocompiaciute, ma in un panorama bonelliano fatto di tante storie buone, buonine, discrete e carucce eppure terribilmente prevedibili e risapute, le allegorie di Sclavi sono una manna dal cielo. Rileggete quest'albo 10 volte e 10 volte noterete spunti nuovi. E 10 volte vi troverete a chiedervi senza risposta a cosa allude una certa frase di Dylan, un certo passo della filastrocca o una "frase storica" di uno dei fantasmi.

E se invece dovessimo cercare un paragone cinematografico, allora mi viene in mente il geniale Emir Kusturica, i cui film sono percorsi da un'inestinguibile invenzione visiva, cos� come le sceneggiature di Tiziano Sclavi sono percorse da un'inestinguibile invenzione linguistica. E i cui film sono assolutamente imperfetti, tanto imperfetti da risultare imperdibili.
 

 


 
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