La sindrome di Dio

Viaggio nei meccanismi della creazione
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La sindrome di Dio
Le Storie 12

La sindrome di Dio

Scheda IT-LSTR-12

Anteprima

Un burattinaio all'opera

Il complesso di Dio. O una sua apprezzabile approssimazione: un complesso del burattinaio. Sotto le spoglie di una narrazione dalle forti coloriture noir e hard-boiled, abilmente orchestrata, Paola Barbato imbastisce l’architettura articolata della rappresentazione di un’anima difficile, complessa, ambigua, disturbata. Douglas Monroe è un personaggio difficile da dimenticare, sotterraneamente affascinante. Sotterraneamente perché a dispetto della sua assoluta centralità nella storia portante dell’albo egli appare defilato nella sequenza narrativamente più evidente ed esibita, la caduta del divo Barry Melville. Il suo ruolo di agente del destino, o ancor meglio di agente della Nemesi (agente di Dike, no: non in un racconto dove comunque l’ambiguità prevale sulla chiarezza), ancorché ne faccia una figura centrale, lo pone per il lettore in una posizione da protagonista "esterno" che è del detective classico, che conduce per mano la vicenda dal punto iniziale A al punto finale B, facendo in modo che tutto collimi e l’ordine venga ristabilito - e in questo Paola Barbato si allontana da un’ambientazione noir e hard-boiled per accostarsi alle atmosfere del mystery di impianto più tradizionale.
La pazienza del destino conferma l’eccellenza della collana delle Storie
Sotterraneamente perché anche in chiusura dell’albo, al termine del lungo racconto di Douglas dove ogni cosa trova il suo posto, ogni dettaglio la sua spiegazione e ogni attore il suo destino, tuttavia Douglas continua in qualche modo a sfuggire restando sotto traccia. I suoi moventi sono chiari; il suo ethos appare delineato nelle poliedriche e cangianti sfaccettature che il racconto fa affiorare; molti aspetti della sua psicologia emergono in tutta evidenza e si impongono al lettore: su tale ultimo punto vi è un deciso momento di verità quando a pag.104 Douglas va concludendo la sua storia di Barry Melville/Vinnie Lo Bianco, e riferendosi a costui dice: Io volevo spazzare via tutto quello che aveva costruito sulle tombe di mia sorella e di mia nipote... e su quella della nostra amicizia. E su quella della nostra amicizia: per una personalità maniacale e affetta da delirio di onnipotenza il delitto principale di Barry/Vinnie è di essere sfuggito al suo controllo e alle sue capacità di previsione, e dunque dovrà essere ricondotto sotto quel controllo, attraverso le capacità di previsione. Un burattinaio, se non Dio. Pur così, c’è una parte dell’anima di Douglas che percepiamo ancora non conosciuta, forse inconoscibile. Non è soltanto che Paola Barbato lascia correttamente fuori della nostra conoscenza gli eventi, i sentimenti e la vita che hanno condotto Douglas a essere come ci viene mostrato; è l’opacità del suo mondo interiore più caldo a renderlo in ultimo sfuggente: i veri desideri di Douglas restano dentro di lui; né le sue parole né il racconto barbatiano se li lasciano sfuggire, occupati l’uno e le altre a fuorviarci con la scolastica storia lacrimevole delle aspirazioni da quattro soldi e della debolezza spirituale di Vinnie, la falena abbagliata dalle luci di Los Angeles che finiranno per bruciarla.
Douglas Monroe è un personaggio difficile da dimenticare, sotterraneamente affascinante.
Lo schermo di Vinnie/Barry può al massimo suggerirci una specularità/complementarietà di Douglas; Paola Barbato non concede altro alla storia e al lettore, rendendo in tal modo il racconto molto più stimolante e avvincente. Sotterraneamente infine, perché il suo apparente defilamento e la sua sfocatura permettono il suo insinuarsi lento, sotto traccia, all’attenzione del lettore. Con quella faccia da Humphrey Bogart che gli autori gli hanno affibbiato è chiaro da subito che Douglas è un personaggio importante, ma proprio perché essa lo viene a caratterizzare immediatamente come "Il detective" è anche un dettaglio fuorviante, che solo sotterraneamente verrà sanato, e comunque mai del tutto: la sola categoria nella quale appare inquadrabile Douglas è quella più vaga e al contempo completa che ci sia: umano.

Teatro di Marionette 1
disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Teatro di Marionette 1<br>disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>

Un burattinaio come opera

Douglas, come colei che ha scritto la sua storia, si prende il diritto di governare le vite di chi si sottrae al suo controllo e viola i confini della sua realtà: è arduo rinunciare alla fascinazione dell’aver visto in atto attraverso le modalità di azione di Douglas Monroe il processo creativo dell’autrice e ancor più il suo rapporto con i personaggi che ella crea.
Chi o cosa abbia forgiato la personalità di Douglas per come essa è resta ignoto. Il lettore assiste agli eventi che il suo delirio di onnipotenza suscita, mette in moto e conduce a termine. È sin da bambino che Paola Barbato ce lo mostra già così, quando interviene in difesa di Vinnie contro un gruppetto di bulletti campagnoli. Non gli piacciono "quelli che se la prendono con i più deboli": questo è chiaro ed è vero, ma diverrà chiaro in seguito che il motivo per cui non gli piacciono è perché nella realtà di Douglas Monroe solo Douglas Monroe è intitolato a governare gli eventi. Attraverso un personaggio mostrato come deus ex machina Paola Barbato fa emergere un uomo che si sente Dio, o almeno un burattinaio. O meglio: una scrittrice. Douglas, come colei che ha scritto la sua storia, si prende il diritto di governare le vite di chi si sottrae al suo controllo e viola i confini della sua realtà: è arduo rinunciare alla fascinazione dell’aver visto in atto attraverso le modalità di azione di Douglas Monroe il processo creativo dell’autrice e ancor più il suo rapporto con i personaggi che ella crea. L’elaboratissimo piano attraverso il quale Douglas riconduce l’esistenza di Barry/Vinnie all’interno del suo ordine delle cose è un trionfo di complessità e precisione paranoiche, l’opera d’arte di un burattinaio (o appunto di una scrittrice dall’innegabile talento). Un burattinaio complessivamente benevolente, ma non per questo meno pericoloso. Ambiguo. Umano. E come tale mai completamente conoscibile. Sono le pieghe in ombra di questa ambiguità e le profondità serrate di questa complessità a fare di Douglas un personaggio reale, lasciato al giudizio del lettore, alla capacità del suo occhio di osservarne i gesti e ascoltarne le parole come farebbe con il vicino di scrivania o il compagno di viaggio sul treno.

Teatro di Marionette 2
disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Teatro di Marionette 2<br>disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>

Un burattinaio con i suoi burattini

Paola Barbato è una narratrice nata; le sue prime rozze storie per Dylan Dog non nascondevano il suo talento, l’urgenza di raccontare ciò che ha dentro e che appariva insopprimibile. Non nascondevano neppure, però, come le mancasse, fosse ancora appunto rozza, la tecnica professionale. Ma la tecnica si può imparare, laddove invece la capacità di narrare è qualcosa che la vita stratifica in noi negli anni formativi (come ha sicuramente fatto in Douglas, sebbene per pudore Paola Barbato non ce lo mostri). E ben difficilmente è qualcosa che può apprendersi scolasticamente come la tecnica dello sceneggiare o dello scrivere frasi che "funzionano". Sulle pagine di Dylan Dog e altrove, gli ultimi anni mostrano una Barbato sempre più padrona degli strumenti del mestiere e la cui abilità narrativa va ulteriormente maturando e affinandosi. Il Boia di Parigi è storia forse più avvincente della presente, ma contiene ancora elementi di squilibrio, e un eccesso pur veniale della necessità di piegare gli eventi e i significati storici alle suggestioni del bel racconto e della tesi da dimostrare. La pazienza del destino mostra un equilibrio pressoché perfetto, i due livelli della storia si fondono armonicamente pur restando ben distinti. Il canovaccio della caduta di Barry/Vinnie è un contenitore che avvolge la figura gigantesca di Douglas Monroe/Paola Barbato adattandovisi come una pelle sottilissima, che lasci affiorare in rilievo il suo contenuto, mostrandone la forma e nascondendone gli aspetti più intimi.
A rendere avvincente il racconto è l’abilità di narratrice di Paola Barbato e la mano sempre più sicura della professionista. Cole, Jolie, Malcolm, il regista Kerr, il detective Stockwell sono tutti personaggi che la narrativa, il fumetto, il cinema noir e hard-boiled ci hanno fatto conoscere fino alla nausea, alla base vi sono schemi narrativi di estrema essenzialità; Paola Barbato ce li fa digerire una volta di più perché vi troviamo dentro le persone che incontriamo ogni giorno, quelle che vorremmo incontrare, quelle a cui vorremmo sfuggire.
Un contenitore e un contenuto che l’autrice popola di figure delineate in modo classico, perfino di maniera, ma che sa rendere realistiche con l’arte di dialoghi asciutti e a un tempo suggestivi e ricchi di atmosfera, attraverso inquadrature e una scansione della narrazione molto regolari e in grado di restituire la quotidianità dimessa della vita così come l’accendersi del furore, il precipitare della paranoia, l’erosione spirituale della meschinità. Perché al di là del personaggio di Douglas, del fascino della sua psicologia frastagliata e della sua anima sfuggente, il racconto della caduta di Barry/Vinnie è una lettura che si fa con divertimento. La storia è ampiamente già vista, ampiamente già raccontata, i personaggi principali e quelli di contorno sono da manuale. A rendere avvincente il racconto è appunto l’abilità di narratrice di Paola Barbato e la mano sempre più sicura della professionista. Il discrimine quando si maneggia un materiale ricorrente, quando si mettono in scena degli stereotipi, è nella capacità di farli fuoriuscire dallo stereotipo creando delle figure autentiche di esseri umani e facendo assaporare al lettore la quotidianità della vita nel succedersi degli eventi narrati. Sta nell’abilità di disseminare quelle infinitesime differenziazioni che trasformano schemi narrativi raccontati innumerevoli volte in un quadro nuovo proprio come nella nostra vita i giorni e gli eventi possono succedersi apparentemente uguali ma sempre diversi. Cole, Jolie, Malcolm, il regista Kerr, il detective Stockwell sono tutti personaggi che la narrativa, il fumetto, il cinema noir e hard-boiled ci hanno fatto conoscere fino alla nausea, alla base vi sono schemi narrativi di estrema essenzialità; Paola Barbato ce li fa digerire una volta di più perché vi troviamo dentro le persone che incontriamo ogni giorno, quelle che vorremmo incontrare, quelle a cui vorremmo sfuggire.

Giovanni Freghieri non ha forse la profondità introspettiva che sarebbe servita a questa storia per tradurre graficamente l’estrema complessità di Douglas; tuttavia sa rendere al meglio le suggestioni e le atmosfere del canovaccio sovrastante, racconta visivamente in modo puntuale gli ambienti urbani classici del genere; tutti gli instrumenta a corollario, dalla pioggia fitta agli arredi d’epoca, dagli abiti degli anni ’50 agli ambienti naturali e alla fauna umana rurali degli anni '20/30 sono curati con attenzione. Le inquadrature accentuano la drammaticità degli eventi ogni volta che si rende necessario per la progressione della storia e i volti e le loro emozioni sono visivamente di sicuro impatto. Un buon lavoro, sebbene resti quella perplessità di cui dicevo prima.

Teatro di Marionette 3
disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12

(c) 2013 Sergio Bonelli Editore

Teatro di Marionette 3<br>disegni di Giovanni Freghieri, Le Storie n.12<br><i>(c) 2013 Sergio Bonelli Editore</i>
La pazienza del destino conferma l’eccellenza della collana delle Storie, sulle cui pagine mancano all’appello ancora molti dei migliori scrittori e disegnatori della Sergio Bonelli Editore, che non nascondiamo di essere curiosi di vedere alla prova. La pazienza del destino, Le Storie n.12, di Paola Barbato e Giovanni Freghieri, 110 pg. b/n, brossurato, Sergio Bonelli Editore, settembre 2013, € 3,50

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